Il bambino che faceva la rovesciata nell’acqua [Lettera 32]

Giuliano Beppedi Beppe Giuliano

 
Tra le molte immagini che in questi giorni troviamo in rete, mi hanno particolarmente colpito le prime di un video dell’Ajax, peraltro accompagnate in modo molto efficace da una versione per sola chitarra di Fortunate Son.

Sono quelle di Johan Cruijff bambino col pallone, che faceva il tunnel a un coetaneo, o che faceva la rovesciata nell’acqua.
Ci ricordano una cosa ovvia che però a volte trascuriamo: quando muore un’icona pop il nostro dolore collettivo, e nell’epoca dei social così palesemente manifestato, è l’espressione, diciamo di facciata, per un dolore e una malinconia, anche generazionali, che riguardano noi, non il lutto per la scomparsa in sé.
O per spiegarla con parole molto pertinenti, visto che le due grandi morti pop di questo inizio 2016 hanno parecchio in comune, mentre la vedova Iman ci ricorda che lei era sposata con David Jones, e che è proprio David Jones che è morto e le mancherà, tutti noi condividiamo immagini e suoni di David Bowie, il grande personaggio pop di cui è morto l’ideatore e interprete.

Il 24 marzo è dunque morto, “a soli” 68 anni, un uomo che era stato il bambino che faceva la rovesciata nell’acqua, e giustamente a piangerlo sono e saranno i suoi parenti e i suoi amici se ne aveva (pare non avesse quello che si dice “un bel carattere”).

Johan Cruijff il campione col numero 14, quello di cui tutti noi condividiamo Crujffimmagini e filmati, invece continua a vivere proprio in quelle memorie pubbliche. Semmai, a definirne una forma di eternità nella gloria (calcistica) resta l’ampiezza del “tutti noi”, dato che lui, e il suo Ajax, e il suo Barcellona, e la sua nazionale dell’Olanda sono unici nella popolarità mondiale, e nessun’altra squadra, in un fenomeno così divisivo come il tifo calcistico, riesce invece a unire altrettanto.

Per merito, indubbio, anche e soprattutto suo, il numero 14 stella dell’Ajax, stella della nazionale più amata di sempre, stella del Barcellona che poi contribuirà in modo determinante a fare diventare quella squadra capace oggi di vincere tantissimo, rimanendo comunque simpatica e amatissima.

“Era un attaccante smilzo e intelligente, conosciuto come l’uomo di carta, e a quanto pare il suo stile richiamava quello di Johan Cruijff.”

Un libro che mi sento vivamente di consigliare è senza dubbio ‘Ajax, la squadra del ghetto’ di Simon Kuper, che scrive di sport “da una prospettiva antropologica” (così si legge in una sua nota biografica).
Sono andato a riprendermelo proprio per vedere cosa scriveva del numero 14.
Mi ha davvero affascinato l’accostamento che Kuper fa tra lo stile di Cruijff e quello di “cartavelina” Sindelar, di cui ricordiamo la tragica storia e il mistero, per sempre irrisolvibile, della sua fine, mentre rimangono solo memorie che definirei epiche, oltre che vaghe, del suo essere campione sul campo da futbòl, per un breve periodo, in un’era poco o niente documentata dalle riprese filmate degli incontri, invece raccontata da inviati che sovente indulgevano più al romanzo che alla cronaca.

Ecco. Tra i tanti paragoni che leggiamo in questi giorni, proprio questo mi sembra il più pertinente, quello con un giocatore ormai più leggendario che reale, per un’infinità di ragioni assolutamente unico.