“L’integrazione fra le diverse sedi del nostro Ateneo tripolare sta cominciando a funzionare davvero, e i risultati concreti si vedono, in termini di iscritti come di qualità dei laureati e della ricerca, in base a dati certificati da terzi. E, a proposito di integrazione, per Economia su Alessandria potrebbe esserci una novità importante già a partire dal prossimo autunno”. La professoressa Eliana Baici, direttore del dipartimento di Studi per l’Economia e l’Impresa dell’Università del Piemonte Orientale, è anche una figura di primo piano, a livello piemontese e non solo, sul fronte dei rapporti tra banche, imprese e territorio, e conversare con lei consente di aprire ‘una finestra’ sul tema, delicato e di grande interesse, della ripresa dell’economia piemontese, e alessandrina.
Ma il punto di partenza è, assolutamente, l’Università del Piemonte Orientale, la sua crescita in assoluta controtendenza (le Università italiane hanno perso complessivamente, in pochissimi anni oltre 60 mila iscritti: a Novara, Vercelli e Alessandria gli iscritti aumentano invece in maniera significativa), i suoi progetti.
E, su questo fronte, anche se è certamente opportuno attendere l’ufficializzazione del progetto da parte del Rettore, pare ottimamente avviato il percorso di ‘duplicazione’ del corso di laurea in Amministrazione, Controllo e Professione, fino ad oggi presente solo a Novara, e che dall’autunno dovrebbe partire, con il primo anno, anche ad Alessandria.
“La formula dello ‘sdoppiamento’ dei corsi, da Economia a Giurisprudenza, ad altri non meno importanti si sta rivelando vincente in questi anni per il nostro Ateneo. Funziona benissimo, sia dal punto di vista della ‘risposta’ degli iscritti, che della qualità dei corsi. E risponde perfettamente alle esigenze di un territorio pluriprovinciale, tra l’altro con un sistema di trasporti certamente non tra i più efficienti”. Quindi, dopo la partenza del corso di laurea in Lettere, a Palazzo Borsalino in autunno dovrebbe crescere l’offerta anche sul fronte del polo di Economia, già presente e apprezzato. “I dati – sottolinea la professoressa Baici – evidenziano in particolare, per la provincia di Alessandria, che ancora esiste una significativa migrazione verso altre università, in regioni limitrofe. Per cui crediamo che ci sia uno spazio, un bisogno da soddisfare”.
Del resto, il fatto che complessivamente gli iscritti all’Università del Piemonte Orientale continuino a crescere, laddove le dinamiche nazionali mostrano una costante decrescita degli iscritti un po’ ovunque, è certamente un elemento su cui riflettere: “Innanzitutto – osserva Baici – va sottolineato come, in questi anni di attività, il nostro Ateneo abbia prodotto laureati ‘di prima generazione’ per quasi l’80% dei casi, il che significa aver dato un contributo fondamentale alla crescita culturale, ma anche sociale ed economica, di una parte importante del Piemonte. La decrescita degli iscritti all’Università a livello nazionale è un dato davvero preoccupante, che certamente dovrebbe avere più rilevanza nell’agenda di chi ci governa, a Roma come a Torino: basti pensare che in Italia, nella fascia d’età fra i 25 e i 35 anni, abbiamo circa il 25% di laureati, contro il 40% che ci chiede l’Europa: siamo stati superati anche dalla Turchia, che nell’ultimo decennio ha investito in modo davvero massiccio sull’istruzione universitaria”.
Un’Italia, dunque, avviata ad essere sempre più ‘fanalino di coda’ d’Europa, anche su questo fronte? “Speriamo proprio di no – sottolinea il direttore del dipartimento di Studi per l’Economia e l’Impresa dell’Università del Piemonte Orientale -, sarebbe gravissimo. Da questo punto di vista uno sforzo importante lo stiamo chiedendo anche al tessuto delle piccole e medie imprese piemontesi: perché investano davvero su questi ragazzi, a partire da periodi di stage e formazione ‘sul campo’ durante gli anni dell’Università, e perché capiscano che non è la stessa cosa assumere un diplomato o un laureato: può esserlo nel breve, o in singoli casi particolari. Ma tutte le ricerche nazionali e inteenazionali evidenziano un nesso strettissimo, indissolubile, tra successo di un’impresa e investimento in professionalità e specializzazione di chi ci lavora”.
Ecco, appunto: dove finiscono a lavorare, dopo la laurea, i ragazzi e le ragazze dell’UPO? E’ il Piemonte ad assorbirne la gran parte, o assistiamo sempre più a fenomeni ‘migratori’, non solo verso altre regioni, ma in direzione ‘mondo’, in primis Unione Europea? “Certamente il primo polmone di assorbimento rimane quello territoriale, ed esiste in Piemonte una rete di eccellenze ‘diffuse’, che magari non finiscono sulle prime pagine dei giornali, ma che attingono a piene mani al serbatoio dei nostri laureati: i quali, secondo dati Almalaurea, finiscono gli studi prima e meglio di molte altre università, anche limitrofe a noi, e trovano lavoro in tempi più brevi. La mobilità anche verso l’estero cresce, per dinamiche generali evidenti: così come un ruolo fondamentale, a Novara come a Vercelli ed Alessandria, lo gioca la vicina Lombardia, che rimane una regione trainante dal punto di vista occupazionale”.
Inevitabile, a questo punto, una domanda ‘maliziosa’: il Piemonte oggi è davvero ‘torinocentrico’, e tende a concentrare sul suo capoluogo e sull’area metropolitana i propri investimenti, oppure noi alessandrini soffriamo della sindrome di Cenerentola, e abbiamo il lamento un po’ troppo facile?
“Non credo sia un problema solo alessandrino – replica la professoressa Baici – poiché a Novara la sensazione è spesso analoga. Che le politiche regionali siano fortemente torinocentriche dubbi non ce ne sono, così come è evidente che si tratta di una scelta miope e sbagliata. Mi limito a parlare del settore che conosco meglio, ossia l’Università: le pare possibile che in Veneto esistano 4 Università generaliste tutte altrettanto forti e strutturate, e che il Piemonte ne abbia due soltanto, una delle quali, la nostra, continua a crescere, ma anche a confrontarsi con investimenti certo non paragonabili a quelli dell’Ateneo storico?” (Purtroppo la sensazione non è dissimile quando si parla di politiche sanitarie, e di investimenti strutturali, ndr).
I segnali di ripresa però, in base ad una serie di indicatori che ‘monitorano’ l’economia piemontese, sembrano esserci, “ma niente tornerà come prima, questo è chiaro: occorre investire davvero sull’innovazione, e un fenomeno interessante che constatiamo è che i giovani laureati sempre meno aspettano ‘il posto’ di lavoro, e sempre più cercano di fare impresa, o micro impresa. Con tutte le fragilità del caso, ovviamente: sia sul fronte della mancanza di capitali da investire, sia su quello della capacità analitica e gestionale. Per questo è fondamentale che ci siano realtà (a Novara abbiamo la Fondazione San Gaudenzio Onlus, ad esempio) che affiancano questi neo imprenditori, sia sul fronte del micro credito che della consulenza a tutto campo, per aiutarli a crescere nella fase, delicatissima, delle start up”.
Inevitabile chiedere, ad una interlocutrice qualificata come la professoressa Baici, anche una riflessione sul sistema bancario italiano: tantissimi piccoli risparmiatori sono terrorizzati, non pochi teorizzano la soluzione ‘soldi sotto il materasso’, ovviamente reazione emozionale che manifesta però un chiaro disagio, e un clima di sfiducia verso le nostre banche. Come stanno davvero le cose? “Il sistema bancario italiano è solido – afferma la professoressa Baici -, anche se naturalmente deve confrontarsi con direttive europee stringenti e precise, che prevedono ad esempio che, in caso di denaro prestato alle imprese, gli accantonamenti debbano essere maggiori che in caso di investimenti in titoli di Stato. Un mito va sfatato però, ossia che le banche italiane non abbiano mai prestato denaro a sufficienza denaro al sistema delle imprese. E’ l’esatto contrario, il 70% degli impieghi del nostro sistema bancario è verso il sistema delle imprese, contro il 20% di altre realtà europee, dove le imprese hanno una più forte capitalizzazione, e si finanziano in Borsa, e in generale appunto sul mercato dei capitali. Questa fragilità ce la portiamo dietro da decenni, addirittura dai tempi del Piano Marshall, e ovviamente oggi ne paghiamo seriamente il conto. Il sistema bancario però e rimarrà un pilastro fondamentale della nostra economia: semmai, per ripartire davvero, è auspicabile che si smetta di puntare soltanto sull’export (in calo, anche prospettico, per una serie di cause internazionali), e si creino le condizioni per una ripresa dei consumi interni”.
Ettore Grassano