di Enrico Sozzetti
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“Ci proponiamo come soggetti che hanno qualcosa da dire”. Già. Il problema è che cosa hanno da dire. Cgil, Cisl e Uil confederali della provincia di Alessandria tentano di rilanciare un modello di confronto con le istituzioni locali. Sicuramente lo faranno anche in altre parti d’Italia. Ma siamo in Piemonte, siamo ad Alessandria. Restiamo sul territori e vediamo come potrebbe ripartire questa discussione. C’è da dire però subito che tra mancanza di idee e di proposte concrete capaci davvero di andare oltre semplici slogan, non traspare molto. Anzi. I segretari confederali alessandrini, Tonino Paparatto per la Cgil, Sergio Didier per la Cisl e Aldo Gregori per la Uil, cercano di alimentari segnali di vita con analisi come queste: “Il Piemonte è la regione che sta peggio di altre. Il Piemonte è il sud d’Italia e Alessandria è la peggior provincia”. Messa così, pare che a questa parte della nazione non resti altro che suicidarsi.
Invece, a pochi giorni dalle puntuali analisi sindacali ecco arrivare i dati sulla situazione del mercato del lavoro in Piemonte. Sono quelli del 2015, resi noti il 10 marzo dall’Istat (Istituto nazionale di statistica) ed evidenziano al contrario un aumento di 26.000 occupati e una flessione di 21.000 disoccupati, stimati nell’ultimo anno in 205.000 unità. “La valutazione appare tendenzialmente in linea con le cifre elaborate dalla Regione Piemonte” si legge si una nota diffusa dall’assessorato regionale al Lavoro, guidato da Gianna Pentenero. Come stanno andando le cose, quindi? Premesso che il Piemonte, come il resto della nazione, sono e resteranno lontani dai livelli precrisi del 2008, il saldo interannuale risulta comunque “positivo per tutti e tre i macro-settori, con un tasso di incremento più marcato per l’agricoltura, per merito del lavoro autonomo, ma con spunti significativi anche nel ramo commerciale e turistico (+ 16.000 unità) e nell’industria manifatturiera (+9.000 addetti), mentre ristagna l’occupazione nelle costruzioni, dove si assiste ad un travaso verso il lavoro alle dipendenze, e negli altri comparti del terziario. Secondo le attese, aumenta il lavoro a tempo indeterminato, fenomeno frutto della spinta impressa dall’esonero contributivo concesso con la legge di stabilità 2015”.
Che Alessandria non stia certo benissimo, lo evidenziano i dati disaggregati, anche se il quadro non è da ‘profondo rosso’ come sostengono i confederali. Sui territori si osserva un miglioramento diffuso nel Verbano Cusio Ossola, che quasi si affianca alla provincia di Cuneo nella posizione di eccellenza detenuta a livello nazionale, specie per quanto riguarda i livelli di disoccupazione. Nella graduatoria 2015, infatti, Cuneo si piazza al terzo posto fra le province italiane in termini di tasso di disoccupazione (5,3 per cento), ma il Vco, favorito anche dall’assorbimento elevato di manodopera frontaliera, si colloca immediatamente dopo (5,8 per cento), al quinto posto, e precede addirittura la provincia Granda in relazione alla disoccupazione giovanile. Permane critica, all’estremo opposto, malgrado i passi in avanti compiuti nell’ultimo anno, la situazione delle province di Torino e di Alessandria, con tassi di disoccupazione a due cifre (rispettivamente 11,9 e 11,5 per cento), mentre nelle altre province si resta al di sotto della soglia del 10 per cento, e tassi di occupazione bassi, inferiori alla media regionale.
Quadro critico, certo, però con dinamiche in larga parte da analizzare e gestire. Purtroppo a livello territoriale chi per anni questo lavoro di studio lo ha fatto, la Cgil, oggi non riesce a fornire nemmeno la fotocopia dei dati dell’Istat. La Cisl, dal canto suo, appare impegnata a svolgere un compitino che ha due obiettivi primari: mantenere le posizioni nell’area vasta di Alessandria e Asti (da alcuni anni la Confederazione ha fuso i due territori) e procedere con una riorganizzazione interna che sta facendo i conti con bilanci deficitari e personale da ricollocare in parte, mentre la Uil è forte di un Ufficio studi e ricerche nazionale capace di declinare le analisi a livello provinciale, ma la forza numerica e il peso politico è sempre ridotto.
Cosa resta dell’azione sindacale che ormai alcuni anni fa ha tentato di recuperare il ruolo, la credibilità, l’autorevolezza degli anni Novanta quando l’Alessandrino è stato uno dei pochi territori che è stato capace di intercettare, e usare, i fondi strutturali per le aree di crisi? Ben poco. La memoria storica appartiene a una manciata di protagonisti di quelle epoche, mentre la prima confederazione sindacale (la Cgil) guarda alla Provincia (ente di secondo livello, immerso nelle secche istituzionali e quasi privo competenze) e alla Prefettura (il cui unico compito istituzionale è la gestione delle crisi, non certo la progettazione) i fronti cui fare proposte. Però è vero, non manca qualche azione concreta. Hanno scritto a Confindustria Alessandria nel luglio 2015 per avere un incontro ufficiale e hanno rilanciato qualche settimana fa la richiesta. Finora, però, nessuna risposta. Per colpa di chi? Delle Poste o di una scarsa credibilità? Chiameranno anche Rita Rossa, presidente della Provincia e sindaco di Alessandria, per rilanciare le proposte. Quali? Nemmeno di fronte ai giornalisti, e alle domande formulate, hanno saputo rispondere. C’è stato l’elenco, il solito, dei fronti di impegno, per prima l’enogastronomia sostenuta da Paparatto. Quindi il Monferrato, Marengo, Volpedo, Borsalino. Di logistica non si parla, di focus sui settori innovativi tanto meno, di confronto con il mondo della ricerca neanche a dirlo. Sulla sanità, ecco riproporre l’idea del nuovo ospedale di Alessandria. Quel progetto che l’assessorato regionale alla Sanità, con Antonio Saitta, continua per ora a escludere. Questione di soldi (dal sindacato non arriva nessuna idea per intercettare risorse, ma dirà che non compete alle confederazioni) e di credibilità del territorio nel complesso.
Non mancano, al contrario, le ‘Città della Salute’ in Piemonte. A Torino, certo. E a Novara. Dove sorgerà il nuovo ospedale. E Alessandria? Nebbia fitta.