Una miriade di critici, letterati, studiosi, scienziati, psicanalisti, ha cercato nei decenni di decriptare Aspettando Godot di Beckett inseguendo quello che sembra un enigma allegorico spregiudicatamente celato da un abile e furbo burattinaio, rifiutandosi di rivelare chi fossero veramente i personaggi e cosa volessero comunicare, secondo i dettami del romanzo giallo.
In Aspettando Godot al Café de la Paix (Miraggi Edizioni, in libreria dal 18 marzo) Eugenio Dario Lai si cala nei panni di un detective metafisico, sulle tracce evanescenti dell’inafferrabile Godot, Vladimir ed Estragon. “Fino a qualche anno fa – spiega l’autore – non pensavo che mi sarei cimentato con dei romanzi. Non avevo nessuna velleità di avventurarmi in questo mondo. La vita è imprevedibile e l’incontro fatale con Samuel Beckett è avvenuto per caso: mia figlia doveva sostenere un esame universitario in lingua inglese sulla pièce e mi aveva chiesto qualche spunto significativo sull’opera per stupire il docente. Non conoscevo il testo e la mattina dopo c’era già l’esame. Chiesi a mia figlia se c’era qualcosa che l’aveva colpita nell’opera teatrale. Alla sua risposta affermativa le proposi di spiazzare il professore con un paio di chicche “esoteriche”. Il docente fu colpito da quelle innovative risposte e a quel punto la curiosità prese il sopravvento. Comprai il testo in italiano e lo lessi tutto di un fiato. Sorpresa! Scoprii subito una singolare architettura matematico-geometrica celata tra le pieghe del testo e così iniziai il vero viaggio di scoperta di quell’uomo scontroso e burbero, misterioso nunzio mai compreso compiutamente dall’umanità”.
Da lì, si arriva all’idea del libro. “Nel romanzo – spiega Lai – faccio emergere in modo esplicito chi è e cosa rappresentano Godot e gli altri compari della storia, Vladimir ed Estragon, Pozzo e Lucky. L’editore afferma che ho scritto una bella storia gotica, dove cinque amici si scontreranno con terribili nemici annidati ai margini del nostro cosmo, con un preciso filo conduttore: scoprire l’arcano potere di Aspettando Godot. Il testo non lascia tregua, non è possibile prendere fiato tra gli innumerevoli ed imprevedibili capovolgimenti di scena. Si scoprirà un nuovo Beckett, completamente diverso da come lo raccontano le biografie. Di lui si sapeva poco, molto poco, ed io penso di aver fatto emergere uno splendido personaggio dotato di una sapienza molto rara…Certamente ho aumentato i misteri, costruendo una fitta ragnatela di allusioni. Chiaramente c’è un seguito, già scritto…”.
Ma attenzione, perché Eugenio Dario Lai e il suo Aspettando Godot al Café de la Paix vantano anche specifici legami con il territorio alessandrino: “Il mio legame personale con Alessandria è dovuto ai frequenti sopralluoghi presso la città e provincia per lavoro: la storia è incentrata su Torino ma, una delle tre protagoniste racconta alla voce narrante che “i miei genitori affermano di aver saputo del mio arrivo già al decimo giorno di gravidanza di mia madre. Era domenica pomeriggio e stavano guardando la televisione sul primo canale nazionale: senza un plausibile motivo l’apparecchio cessò la trasmissione come se fosse mancata l’energia elettrica; il black out durò per alcuni minuti poi il tubo catodico si riattivò trasferendo il collegamento su una emittente privata che stava pubblicizzando un’azienda produttrice di gioielli a Valenza. Il caso che colpì mio padre fu proprio il collegamento con questa cittadina, leader mondiale per la lavorazione dei monili con pietre preziose: il mercoledì seguente sarebbe dovuto andare proprio in quella località, presso una ditta privata indicatogli da un collega di Alessandria, per comprare dei gioielli da donare a mia madre. Questa anomalia sembrava il segnale di qualcosa che stava arrivando e mio padre la colse al volo dicendo: ho il presentimento che la nostra famiglia si allargherà…”
“Un altro particolare – conclude Lai – mi unisce ad Alessandria: Umberto Eco. L’editore continua a dirmi che il romanzo gli ricorda Eco. Un pò per la struttura del testo, organizzato in maniera inattaccabile, un pò per la ricchezza di citazioni esoteriche che spaziano tra la Cabala, l’alchimia, la Golden Dawn, Crowley, Yeats, la cultura nordica/norrena (Odino tanto per intenderci), i continui eventi soprannaturali ambientati in un mondo fantastico. Per chiarirci, il romanzo in qualche modo appare come uno specchio del “Pendolo di Foucault”. Certamente Eco era attratto dal mistero anche se apparentemente lo aborriva: la sua citazione sul mito di Cthulhu di Lovecraft aggiunge un legame con il sottoscritto. Infatti io tendo a sviluppare il testo in modo gotico: un mio amico scrittore (Guido Guidi Guerrera) sostiene che sono “il Lovecraft del XX secolo: in realtà questo autore l’ho scoperto solo grazie alle sue parole per cui certamente non c’è stata una contaminazione da parte mia”.
Eugenio Dario Lai nasce a Torino nel 1955.
Consegue il diploma da geometra e quattro anni dopo inizia a lavorare nella PA nell’ambito delle telecomunicazioni.
Sin dall’infanzia coglie la discrasia tra il mondo quotidiano e la straordinaria complessità del vasto e misterioso mondo magico con cui conviviamo senza rendercene conto.
Affascinato da quella realtà intrigante inizia già dall’adolescenza ad esplorare in modo autonomo le sue molteplici alterità e a vivere esperienze al limite dell’umana comprensione.
Sotto l’impulso di continue metamorfosi psicofisiche prosegue incessantemente nella ricerca spirituale avendo come punto di riferimento il pensiero del maestro Lao Tze che agli allievi insegnava ad amare l’oscurità e a cancellare deliberatamente ogni traccia della propria vita.
L’incontro con Samuel Beckett cinque anni fa lo disarciona da questa prospettiva votata alla pura ricerca interiore finalizzata ad una presa di coscienza individuale. Così, all’improvviso, è stato stimolato ad intraprendere un nuovo cammino che lo ha portato a scrivere ed a comunicare le scoperte fatte per coloro che si interrogano sul significato dell’esistenza.