Modalità di comunicazione classica: sintesi di concetti, chiarezza negli obiettivi, qualificazione nei contributi. Un sistema che ha già dato buona prova nello “ScalaMercalli Uno” e che ora viene riproposto. In questa prima puntata si punta molto sul “cambiamento possibile e necessario” con la dimostrazione pratica che, con le idee chiare e gli opportuni finanziamenti, si possono fare grandi cose. Purtroppo sono pochi, ancora, gli Stati che hanno dato la loro adesione ufficiale, con tanto di voto del Parlamento, alle indicazioni scaturite dal recente COP 21. Giusto alcuni Staterelli della Polinesia e poco più. A quando una vera inversione di tendenza? Nell’attesa, ecco il resoconto della serata del 27 febbraio 2016.
Questa seconda edizione di “ScalaMercalli” con Luca Mercalli a fare, come sempre, da conduttore, si apre con una puntata (in tutto sei) tutta incentrata sui “cambiamenti climatici” e su come si potrebbe tentare un’inversione di tendenza. Le notizie che ci vengono fornite, documentate e di qualità, ci confermano una situazione drammatica per l’aumento delle temperature (il 2015 appena passato è al top delle misurazioni di sempre), con mari che si innalzano, ghiacciai che si ritirano o, addirittura, si sciolgono frammisti al terreno come nella Siberia di oggi.
L’apertura vera e propria è sul l’accorato appello di Papa Francesco al Palazzo dell’ONU che ci ricorda, una volta ancora, la stretta dipendenza tra benessere fisico e mentale dell’umanità e la biosfera in cui si trova a vivere. I riferimenti alla recente enciclica “Laudato si’” sono correttamente riportati e servono come buon viatico.
E proprio per raccomandarci una maggiore attenzione ai nostri comportamenti vengono presentati – nella stessa serata – due diversi modi di vivere la modernità, in una zona al limite del sopportabile, il deserto arabico. A poco più di cinquanta km di distanza si trovano a convivere due realtà diversissime, una a Dubai e l’altra a Masdar negli Emirati Arabi Uniti: il contrasto è stridente ma l’effetto “didattico” è assicurato. A Dubai city si continua a costruire, si favoriscono investimenti stranieri con “free zone”, facendo crescere in poco tempo un centro modernissimo con tanto di skyline all’americana (molti grattacieli, megasupermercati, strade a otto corsie) e – come da aspettative – con un consumo energetico pro capite di 15.000 15mila kWh, il doppio dell’industriosa Olanda.
Mentre invece nella città di Masdar, negli EAU si è cercato di intervenire sulla dislocazione degli edifici, facendo attenzione al loro orientamento, al tipo di coperture e alle inclinazioni (mai con superfici in sole pieno) in modo da economizzare sull’aria condizionata e puntando sulle energie rinnovabili in tutte le eventualità possibili. Un complesso di realizzazioni, quelle di Masdar, poco conosciute, che ci presentano una società che guarda oltre l’attuale abbondanza di petrolio, riservando i prodotti da fonti fossili all’esportazione, con conseguente utilizzo ragionato di “rinnovabili”. E’ proprio qui una delle più grandi centrali solari termiche del mondo con performance rilevanti. Si tratta, infatti, di un impianto da 100 MW complessivi e da 210 GWh elettrici erogati ogni anno. Un bell’esempio di maturità che ci viene da un territorio, quello della penisola arabica, che solitamente sottovalutiamo.
Veloci, come di consuetudine, i passaggi tra argomenti anche se il “fil rouge” è facilmente riconoscibile. Sono, infatti, ben quattro – in stretta sequenza – gli scenari che riprendono il tema degli ‘effetti del riscaldamento globale’: la condizione del ghiacciaio Chardonnay del Gran Paradiso, il pericoloso scioglimento del permafrost siberiano, l’ingrossamento di flussi d’acqua nelle Grotte di Bossea presso Cuneo e l’altrettanto imprevedibile aumento dell’Oceano Pacifico in Polinesia. Nel primo caso è il nostro Luca ad andare in due diversi momenti sul Gran Paradiso per verificare di persona quanto si sia assottigliato il ghiaccio e di quanto sia arretrato il fronte del ghiacciaio; le constatazioni sono fatte in pieno luglio e a settembre dello scorso anno e i dati sono drammatici: l’arretramento della linea di partenza del ghiacciaio è di una trentina di metri e il suo assottigliamento raggiunge i due metri in media. Prossimo annunzio di una trasformazione in pietraia, così come è successo in molti altri casi.
Sono invece scienziati, esperti e semplici cittadini della lontana Jakutia a presentarci un fenomeno recente (esclusivo di questi ultimi vent’anni) che interessa quella particolare area dell’emisfero boreale, definita “permafrost”, letteralmente “terra ghiacciata”. E proprio dal progressivo scioglimento di questo particolare sostrato derivano innumerevoli problemi: dalla liberazione di bolle di gas metano e anidride carbonica, con conseguente aumento dei “gas serra” globali, alla creazione di voragini ed erosioni che vanno ad intaccare aree estesissime in parte di foreste e coltivazioni, in parte di centri abitati, con conseguenti crolli e smottamenti.
Siamo nel bacino del grande fiume Lena nell’estremo nord est della Russia, quasi di fronte all’Alaska, terra di ritrovamenti di mammuth conservati proprio dal permafrost e di cunicoli scavati ai tempi dei gulag staliniani. Ora, questi ultimi, sono confortevoli ghiacciaie collettive per il cibo, così come il particolare ambiente della tundra siberiana è stato trasformato dall’ingegno e l’industriosità di queste popolazioni che non gradirebbero un abbandono di massa di quelle terre.
Un esito simile, con aumento delle quantità d’acqua in scorrimento “carsico”, si ha nell’intricato sistema che caratterizza le Grotte di Bossea. Qui è visibilissimo l’incremento in volumi e continuità di afflusso delle acque che scendendo dalle montagne del cuneese vanno poi a perdersi nella pianura. Qui il segnale di allarme viene da un vertiginoso aumento dello scioglimento delle nevi (quasi) perenni che, oltre a cambiare l’aspetto interno delle Grotte, alla lunga porterà variazioni di rilievo nei livelli dei fiumi a valle. Un altro campanello che ci dovrebbe suggerire altri comportamenti è il netto e inesorabile rialzo del livello medio dell’Oceano Pacifico che, specie in alcune isole dell’arcipelago delle Fiji, arriva a mezzo centimetro in più ogni anno. Sembra poco, ma non è così per chi si trova fenomeni di rigurgito di acqua marina nei campi coltivati (con terreni a volte di soli tre metri sopra il livello del mare) e con fenomeni atmosferici, come tifoni o mareggiate, in continuo aumento, dovuti soprattutto al riscaldamento superficiale delle acque.
E’ l’oceanologo dell’Università del Pacifico-Sud Patrick Nunn (insieme a molti altri esperti e amministratori delle isole) a spiegarci in dettaglio motivazioni, caratteristiche ed effetti dei nuovi fenomeni che hanno avuto una forte eco anche nella recente conferenza mondiale di Parigi “COP 21”.
Riguardo a questo appuntamento è proprio uno dei massimi rappresentanti internazionali dell’IPCC (organismo internazionale di osservazione sul clima) il prof. Carlo Carrara, a ricordarci quali sono stati i molti aspetti positivi della COP 21. Il professore, docente di Economia ambientale alla Ca Foscari di Venezia, ha messo in luce la globalità dell’approccio dell’ultima conferenza, il suo valore – per certi aspetti – vincolante e, finalmente, la possibilità di avere quantità consistenti di denaro a disposizione per investimenti mirati a “restare entro un grado e mezzo di aumento eventuale entro la fine del secolo”. Con la non remota eventualità di abbassare nettamente, entro il 2080, il dato di 400 parti per milione di anidride carbonica presente in atmosfera. L’obiettivo sarebbe quello di arrivare a numeri compatibili con una migliore qualità di vita (il dato del 1958, attestato da Revelle e altri , era, per esempio di 310 ppm) ben sapendo che le esigenze dei vari Stati partecipanti sono assai differenti e a volte inconciliabili. Il tono del rappresentante dell’IPCC, pur non improntato ad ottimismo a tutti i costi, è stato comunque credibile nei dati forniti e realistico nelle ipotesi di realizzazione così come richiesto da questa complessa fase di passaggio.
Ha chiuso le due ore, letteralmente volate tra filmati, interviste e grafici, un’altra nostra vecchia (e gradita) conoscenza: il dott. Roberto Cavallo, qui in veste di esperto di trattamento dei rifiuti. Per l’occasione ci si sposta con il “rifiutologo” nel salernitano, per l’esattezza in una una grande azienda di ritiro, trattamento, riciclo e rigenerazione di carta lungo la media valle del Sele. Le immagini, anche qui dettagliate e precise, ci presentano l’arrivo di un camion pieno di carta, cartone e derivati. Se ne vedono anche le impurità all’interno ma, senza particolari problemi, si procede nelle varie fasi di rigenerazione e produzione ex novo. Il risultato è ottimo: si ottengono grandi rotoli da dieci quintali di buona carta pronta all’uso, si dimostra che “riciclare conviene” e che “non è affatto vero che va tutto insieme in discarica”. Anzi, proprio dalla Campania viene un segnale di modernità, attenzione, all’ambiente, capacità industriale al passo delle migliori tecnologie e, soprattutto, di etica comportamentale.
Il miglior “viatico”, riprendendo lo spirito ecumenico da cui siamo partiti, per le prossime trasmissioni.