di Pietro Mercogliano
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Il ventisei di febbraio ricorrevano i cinquant’anni dalla morte di Gino Severini (nella foto); in molti sanno che costui fu pittore e scrittore legato al Futurismo, ma non poi molti ne sanno citare le opere. Piú facile è per gli Alessandrini: di Severini sono i mosaici del Palazzo delle Poste in Piazza della Libertà.
Sul palazzo e sui mosaici si è scritto molto: diverse notizie sono rinvenibili non solo nel bel volume di Cristiana Volpi (Gangemi Editore, Roma 2012), ma anche in ben informate pagine in Rete. Riassumendo: il palazzo, di stile razionalista, fu edificato nei tre anni attorno al 1940 a cura del misconosciuto ma notevole architetto Franco Petrucci; il mosaico esterno, alto un metro e venti e lungo appena meno di trentotto, raffigura nella sua porzione centrale la storia delle comunicazioni e nelle due laterali i quattro Continenti extraeuropei, due per parte.
Le telecomunicazioni sono un tema caro al Futurismo. La facoltà di rendere presenti gli assenti grazie alla telecomunicazione a distanza e di far sí che le parole trasvolino l’oceano grazie all’elettricità – per parafrasare le scritte latine nel palazzo – appariva all’ideatore dell’opera musiva come l’espressione stessa di un Futuro possibile e prossimo: possibile e prossimo perché già Presente.
L’idea di “Futuro” che informa l’intero Futurismo mi sembra essere, in effetti, quella di un Presente rapidissimo e maschiamente potente: “Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.” dice il celeberrimo “Manifesto Futurista” marinettiano del 1909, di cui Severini fu tra i firmatari. Per la prima volta, insomma, il Futuro non è un’attesa, né di speranza né di terrore, ma attuazione puntuale di un attivo Presente. In questo orizzonte non c’è spazio per il Passato, che solo in una fase successiva – dopo il rappel à l’ordre degli anni Venti – un artista come il nostro Severini riprenderà a citare in vario modo: e vada il Lettore a trovare il gioviale toro mitologico d’Europa nei mosaici di Piazza della Libertà.
In questa estetica pienamente futurista ma ricondotta ad una sorta di neoclassicismo metafisico, perfettamente si spiega l’apoteosi della telecomunicazione celebrata da Severini: l’immediatezza del contatto oblitera lo Spazio grazie all’obliterarsi del Tempo, come se davvero non ci fosse tutto l’oceano a separare due che il telegrafo fa in un attimo cosí prossimi. In fondo, non è un’estetica diversa da quella dell’Apollinaire (amico comune di Marinetti e Severini) di “Lettre-Océan”, l’inenarrabile calligramma nel quale Roger Shattuck vede l’equivalente in Letteratura di “Les demoiselles d’Avignon” e “Le Sacre du Printemps”: in “Lettera-Oceano” la distanza fra la Parigi del Poeta ed il Messico del fratello è annullata dalla possibilità immediata di comunicare.
In Severini, i Continenti si riuniscono quasi in bizantina teoria attorno alla immanente e tecnologica ierofania della comunicazione a distanza.
Cosí questo mio articoletto, che ora concludo, in un tempo tanto breve da esser trascurabile valica con la disinvolta potenza della velocità onnipresente i seicento chilometri che mi separano dalla redazione della testata: futuristici prodigi!