La retorica renziana, peraltro affatto originale rispetto ai nostri ultimi decenni, viene ulteriormente confutata, a suon di dati oggettivi alla mano, anche dagli esperti della Banca d’Italia.
Il supposto aumento di contratti di lavoro a tempo indeterminato che il toscano afferma derivi dall’applicazione del Jobs-act (giova ricordare che trattasi di una riforma del lavoro, che ha assunto questa affascinante, astuta denominazione…), in realtà non è altro, più semplicemente, che il frutto degli incentivi fiscali che il governo eroga alle aziende che assumono.
Così nel 2015, si afferma nello studio dei ricercatori, gli incentivi del governo hanno spinto a trasformare rapporti di lavoro precari o “atipici” in contratti di lavoro a tempo indeterminato “a tutele crescenti” e questo ha determinato quasi totalmente il marginale aumento dell’occupazione registrato.
Quanto all’effetto del Jobs-act, i ricercatori della Banca d’Italia affermano che di questo aumento, seppur marginale, tale misura del Governo ha influito soltanto per l’1%.
Che vuol dire tutto cio? Sintetizzando si può affermare senza ombra di dubbio che gli effetti dei provvedimenti riconducibili al Jobs-act, maggiore flessibilità, riduzione dei salari, restringimento dei diritti dei lavoratori e libertà di licenziare attraverso l’abolizione dell’art. 18, hano prodotto soltanto maggiori guadagni per le aziende ed un controllo sociale ancor più repressivo nei confronti di chi lavora.
Gli effetti degli incentivi caleranno quest’anno ed il prossimo e quindi ancor minore sarà l’incremento dell’occupazione, per annullarsi poi al termine del 2017?
Questo dato vuol dire che l’economia in Italia non va ancora e che conseguentemente di occupazione aggiuntiva non se ne parla.
Il mio non vuole essere un messaggio di non-speranza, ambisce solo a mettere tutti in guardia.
*Presidente Commissione ‘Riforme istituzionali’ Anci – Roma