Nome in codice, L’Iraniano (digitare sulla tastiera nome e cognome turba la mia sensibilità di scrittore), segni particolari, un asciugamano in testa (per dirla alla Maurizio Crozza), interessi, la cura dell’arte antica e di Persepoli. Destinazione, la conquista del Campidoglio.
Nota 1: da tenere sotto stretta sorveglianza visto che circola con 17 miliardi in tasca.
Nota 2: inscatolare la Venere Capitolina per non turbare il suo animo di religioso.
A questo punto obietto.
Uno. In qualunque transazione commerciale, l’interesse è reciproco. Quindi se uno firma contratti per 17 miliardi avrà il suo bel tornaconto nell’affare e il rapporto tra le parti lo si consuma in modo paritario.
Due. Mi ferisce e mi indigna la negazione della mia cultura, radice di un popolo, di un patrimonio invidiato dai più, un valore di bellezza e armonia pari a una qualunque divinità in cui possono credere altri. Si tratta di una ricchezza che ha reso l’Italia Fort Knox dell’Umanità Senziente. Mi disgusta la mancanza di dignità di chi gestisce il Mio Bene Pubblico nel nome di un insidioso concetto di rispetto messo in campo in occasioni simili.
Tre. Stiamo celebrando i giorni della Memoria. Il concetto di Negazione è stato alla base del dilagante orrore negli anni della tragedia nazista. Negare e Nascondere. Per dare risalto all’infamia del pensiero nazista. E svilisce, come oggi, facendo un lungo salto nel tempo, questi concetti (seppur come pillole di squallore) vengano ancora spalmati sul nostro vivere quotidiano. Possiamo accettare di inscatolare moglie e figli per non turbare un ospite a cena? Possiamo accettare di negare a una donna il diritto di vestirsi come le pare altrimenti un qualunque stronzo potrebbe allungare le mani e pretendere quanto ritiene essergli dovuto? Possiamo accettare il rifiuto di un ristoratore, come di un ufficio o di un mezzo pubblico, a chiudere le porte in faccia a un disabile? Perché la Negazione germoglia in questo letame di fatterelli troppe volte schedati come “sviste”, “di poco conto”, “se l’è cercata”. E si irrobustisce rosicchiando alla base del senso di appartenenza di un individuo. E l’Arte, per gli italiani (seppur colpevolmente disattenti ai beni che custodiscono), rappresenta il profondo legame dell’individuo con la vita e la collettività, il valore su cui si è sviluppata l’intera organizzazione sociale con i suoi risvolti di civiltà e progresso.
Quattro. Nuovi orrori sorgono all’orizzonte. Per stare nel campo dell’arte, la morte crudele del direttore del museo di Palmira, Khaled Asaad. La pubblica impiccagione di omosessuali e oppositori nella terra dell’Iraniano. Le esecuzioni e le lapidazioni in Arabia Saudita, dove i nostri diplomatici danno il meglio litigando in nome di un Rolex. L’Isis. Le decapitazioni. Il petrolio di contrabbando. Le connivenze turche.
Cinque. Il sentiero della sconfitta lo si imbocca partendo dai primi, timidi passi. L’arrendevolezza di fronte ai propri valori (così come sempre più spesso si manifesta nella nostra società) dà una spinta per il non ritorno lasciando spazio alla libera circolazione dei mostri del nuovo secolo. La storia ci ha messo a disposizione i suoi strumenti per comprendere, e mette in risalto questi elementi analizzando il passato. Ma ciclicamente ci sentiamo in diritto di rimuovere i suoi insegnamenti.
Sei. Arte è oggi un bieco slogan elettorale per chi ha pretese di sentirsi potente mentre il silenzio della politica sulle statue impacchettate porta in sé qualcosa di inquietante dimostrando come la gestione del potere sia di pochi al comando di una pletora di soldatini. Ormai vige il Pensiero Unico. Tanto da rischiare di scordarci del significato dei giorni della Memoria e di smarrirci nel freddo dei giorni della Merla.