«E anche questo Natale… se lo semo levato dalle palle!»
Riccardo Garrone (nel ruolo dell’avvocato Giovanni Covelli), Vacanze di Natale, 1983
Com’è andato il vostro Natale? E che cos’è il Natale? Può essere solo un momento di “gaia narcosi”, per dimenticare, almeno un giorno, i problemi e gli affanni quotidiani?
La questione non è accademica, dal momento che il Natale è, per gli adulti, una festa “strana”: o la si ama, o la si odia. In entrambi i casi, profondamente.
Chi odia il Natale lo fa perché, tra le altre cose, odia la retorica melensa del “siamo tutti più buoni”. Sa bene che le peggiori litigate in famiglia sono quelle del pranzo natalizio. Il Natale è al massimo la festa dei bambini. Ma che passi presto, per carità.
Chi ama il Natale lo fa perché, tra le altre cose, pur non amando la retorica melensa del “siamo tutti più buoni”, in qualche modo la sopporta. In fondo, è cosciente del fatto che non è l’aspetto più importante della vicenda. Sa bene che le peggiori litigate in famiglia sono quelle del pranzo natalizio. Per questo cerca di evitarle, magari abbassando una spalla. Da momento “per bambini”, il Natale diventa la festa di chi è grato del fatto che Gesù è nato. Facendone memoria, tra alti e bassi, nel resto dell’anno.
Non sono poi così tante le differenze tra chi ama il Natale e chi cordialmente lo odia. Anzi, a guardare bene, la differenza è una sola: a qualcuno è capitato qualcosa, a qualcun altro no.
«Per sperare, bimba mia, bisogna essere molto felici, bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia», scriveva Charles Péguy (Il portico del mistero della seconda virtù, in I Misteri, Jaca Book, 1997, p. 167).
Una grande grazia… l’unica condizione per amare il Natale.