Rottamare l’orario di lavoro come unità di misura nei contratti per il salario e immaginare strumenti nuovi che tengano conto dei cambiamenti tecnologici.
Il giorno dopo le dichiarazioni sulla scarsa utilità delle lauree in età avanzata per trovare un’occupazione, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti apre un nuovo fronte sul contratto e l’orario di lavoro affermando che “l’ora-lavoro” è un attrezzo vecchio. “Per molti anni i ritmi biologici e di vita si sono piegati ai tempi di lavoro, agli orari fissi, ma oggi le tecnologie ci consentono pù libertà. Dobbiamo immaginare contratti che non abbiano come unico riferimento l’ora di lavoro, ma misurare l’apporto dell’opera.”
Le dichiarazioni del Ministro Poletti (anche lui appartiene a quella categoria di comunisti pentiti che hanno dato vita al PDS, poi Ds e infine PD) fanno discutere.
A prescindere che non ho ‘afferrato’ interamente quello che ha voluto dire, occorre guardare avanti. Sul tema del lavoro il governo ha fatto una scommessa. Si va avanti. A settembre il CdM ha approvato quattro decreti attuativi.
Il ministro ha dichiarato di voler estendere gli ammortizzatori sociali a 1,4 milioni di lavoratori senza copertura, cioè i lavoratori in azienda da cinque a quindici dipendenti. A seguito conferma che la Naspi, il nuovo assegno contro la disoccupazione involontaria durerà 24 mesi fino a 36 mesi se si userà la solidarietà.
Inoltre i controlli a distanza sui dispositivi di lavoro in dotazione ai lavoratori potranno avvenire soltanto nel rispetto della privacy.
Questi decreti attuativi ci vengono presentati come grandi conquiste. E allora grazie Signor Ministro.
Nonostante i dati sull’occupazione cresciuta come dicono i dati Istat sarebbe bello conoscere anche i risvolti negativi che il Jobs Act ha incominciato a produrre, perché si sono verificati i primi licenziati del contratto a tutele crescenti. Sono tre operai della Cartiera Pigna Envelopes di Tolmezzo in provincia di Udine.
I tre lavoratori erano stati assunti a marzo con contratto a tempo indeterminato introdotto dal Jobs Act. Dopo soltanto otto mesi dall’inizio del rapporto di lavoro sono stati lasciati a casa. Motivazione del licenziamento: calo di produzione.
La società tuttavia ha potuto beneficiare degli sgravi contributivi previsti dalla legge di stabilità 2015, che esonerano il datore di lavoro dal pagamento di contributi per tre anni.
L’azienda ha giustificato la decisione con una riorganizzazione turnistica dovuta a un calo di produzione e con l’impossibilità di assegnare nuove mansioni.
Con il calo delle produzioni è scattato il licenziamento senza l’articolo 18. Per loro non è prevista la reintegrazione sul posto di lavoro.
Ecco quello che si delinea caro Ministro. Parliamo di cose concrete. Abbiamo dei contratti precari a tempo indeterminato. E l’indeterminato potrebbe finire ancor prima di incominciare.