E’ ormai noto che Confagricoltura non vuole gli Ogm a ogni costo, ma ritiene necessario che sia data fiducia alla ricerca scientifica nella valutazione dei vantaggi e degli svantaggi dell’ingegneria genetica applicata in modo rigoroso e non emotivo.
La battaglia ideologica che viene sostenuta da alcuni non interessa all’Organizzazione degli imprenditori agricoli.
Confagricoltura Piemonte circa un anno fa è stata firmataria, insieme ad altre Federazioni regionali sia del Nord che del Sud d’Italia, di un manifesto, il cui slogan recita “Più OGM meno chimica”, ossia se si rifiutano gli OGM si rende indispensabile il trattamento chimico.
In particolare il riferimento è ai trattamenti a difesa del mais dalla piralide, lepidottero che allo stadio larvale non solo scava gallerie nelle spighe di mais provocando consistenti perdite produttive, ma proprio dove erode il mais provoca la proliferazione di malattie fungine che producono tossine, la cui pericolosità per la salute è accertata. Grazie alla professionalità dei centri di stoccaggio queste partite contaminate vengono scartate dalle filiere zootecniche e alimentari e vengono destinate a utilizzazioni che non presentano rischi per la salute umana animale e per l’ambiente. L’alternativa sono trattamenti insetticidi, cui si fa ricorso, per salvare i raccolti e ottenere un prodotto pienamente rispondente alle norme igienico-sanitarie, su una superficie stimata in 900 mila ettari, trattata con oltre 100 mila litri di insetticida con un giro d’affari per le multinazionali della chimica che si attesta intorno ai 45 milioni di euro.
Il problema della piralide interessa solo il Sud dell’Europa, in particolare Italia e Spagna. Quest’ultima consente la semina di mais OGM e le produzioni sono arrivate a superare i 110 quintali per ettaro. In Italia, dove non è consentito seminare mais OGM, la produzione si attesta intorno ai 78,1 quintali per ettaro (dato 2013) ed è in continuo calo dal 2001.
Ma il mais che si autodifende dalla piralide è solo una delle colture che potrebbero avvantaggiarsi di autoresistenze riducendo notevolmente il peso della chimica a difesa dei raccolti: ad esempio, anche il melo resistente alla ticchiolatura, di ricerca italo-svizzera, potrebbe scongiurare moltissimi interventi chimici a tutto vantaggio della salute, dell’ambiente, riducendo i costi di produzione. Come pure la vite resistente o tollerante alle classiche malattie (peronospora, oidio, botrite) che la affliggono sarebbe coltivata minimizzando il ricorso alla chimica. Per non parlare del flagello rappresentato dalla Flavescenza dorata che sarebbe combattuta senza nessun ricorso a trattamenti contro l’insetto vettore.
“La competitività delle nostre produzioni è a rischio – ha commentato Luca Brondelli di Brondello, presidente di Confagricoltura Alessandria – Chiediamo con forza alla politica di riprendere la ricerca in questo settore nel nostro Paese per il futuro delle imprese agricole”.
I diciotto Stati membri dell’Unione Europea che chiedono il divieto di coltivazione, Italia inclusa, ammettono il consumo di 50 prodotti transgenici e il commercio di mangimi da essi derivati all’interno dei propri confini; siamo arrivati a un paradosso grottesco: l’Europa importa circa 40 milioni di tonnellate ogni anno di soia e derivati in grande maggioranza transgenici e di questi il 10 per cento (4 milioni di tonnellate ogni anno) è importato dall’Italia. E problemi sui miliardi di animali nutriti con tali mangimi da circa 20 anni non sono mai stati segnalati.
Di questi argomenti si è dibattuto al convegno organizzato da Confagricoltura Alessandria intitolato “ORGANISMI GENETICAMENTE MIGLIORATI IN AGRICOLTURA: REALTÀ, PROSPETTIVE E REGOLE NEL MERCATO GLOBALE” martedì 1° dicembre ad Alessandria presso l’Auditorium San Baudolino, davanti ad una vasta platea di associati, con alcuni illustri esponenti del mondo accademico e scientifico e dirigenti di Confagricoltura.
“L’innovazione è necessaria per poter competere in ogni attività produttiva, inclusa l’agricoltura. Da oltre un secolo il miglioramento genetico delle specie vegetali rappresenta un fondamentale caposaldo dell’innovazione in agricola – ha chiarito al convegno Davide Spadaro, ricercatore di Patologia vegetale dell’Università di Torino – Esso ha permesso di ottenere varietà maggiormente produttive, resistenti alle fitopatie e a condizioni climatiche avverse, con caratteri nutrizionali graditi ai consumatori”.
“Le imprese del primario del nostro Paese dal punto di vista dell’innovazione genetica hanno senza dubbio carenze, in quanto non possono far uso delle specie vegetali con le migliori performance produttive ossia OGM. Questo gap di innovazione incide molto sulla loro competitività e potrebbe compromettere la mera sopravvivenza di alcune colture: non è un segreto il fatto che il mais nazionale potrebbe essere completamente soppiantato da mais (GM) di importazione perchè contaminato, di peggiore qualità e di maggior costo ” ha affermato Roberto Defez dell’Istituto di Bioscienze e BioRisorse CNR di Napoli.
Lo stesso Defez, in sintonia con la senatrice Elena Cattaneo, chiede che siano etichettati come derivati da OGM i prodotti che utilizzano mangimi OGM. Questo per smascherare il clamoroso non-detto sugli OGM in Italia o almeno per privilegiare le produzioni di mangimi italiani.
“Il miglioramento genetico di piante ed animali rappresenta uno dei pilastri dell’agricoltura sostenibile e sempre più efficiente del futuro, un’agricoltura che nella sua naturale ricerca di aumento delle rese dovrà comunque garantire una sempre maggiore sicurezza, un utilizzo più contenuto e mirato della chimica, un minor uso di acqua e concimi, oltre a selezionare varietà che sappiano adattarsi ad ambienti difficili o marginali e alle condizioni climatiche sempre più variabili ed estreme. La nostra richiesta è quella di riprendere questa ricerca, che ci vedeva leader fino a pochi anni fa, di permettere la sperimentazione a pieno campo e l’utilizzo delle nuove tecniche di selezione basate su genoma editing e cisgenesi. Una ricerca che può tranquillamente essere portata avanti da Università e enti pubblici di ricerca e non solo da centri privati” ha concluso il componente della Giunta Esecutiva di Confagricoltura Antonio Boselli.