Parigi, un massacro che viene da lontano

Cavalchini nuovadi Pier Luigi Cavalchini
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Più di centotrenta vittime accertate, un centinaio di feriti, una città intera colpita al cuore e trasformata, da venerdì sera, in un cupo luogo dove tutti diffidano di tutti … Una condizione di angoscia continua che era stata predicata dalle menti bacate (e assassine) dei capi DAESH (ISIS) e che trova in un’Europa sostanzialmente impreparata un fertile terreno di coltura. Coltura, anzi (in)cultura dell’odio e della divisione, della vendetta e della mancanza di considerazione dell’altro, una spirale – così come desiderano i pazzi sanguinari che la stanno alimentando – che provocherà danni di ogni tipo e non solo nei rapporti tra Occidente e Mondo Musulmano.

Un imbarbarimento che parte dal mancato riconoscimento come entità umana (altra)Gheddafi di chi è diverso da noi, che ci porta – paradossalmente – a rimpiangere il periodo in cui c’erano “equilibratori” (magari feroci torturatori e barbari dittatori…ma equilibratori) come Assad padre, Saddam Hussein, Mouammar Gheddafi lo shah di Persia ecc. ecc.. Comincia ad essere ricordata come una “età dell’oro” persino la fase di garanzia internazionale fornita dalla Guerra fredda vecchia maniera… Incredibile… Per questo, per rispetto a chi ha sofferto e con un profondo dolore ripensando ai morti di Parigi, mi permetto di fornire una chiave di lettura che potrebbe aiutare a sciogliere futuri difficili nodi…

E’ molto probabile che, più che la penalizzazione seguita alla prima guerra arabo-israeliana del 1946 (e successive ripetizioni fino al 1973), abbia giocato – nel mondo arabo – la coscienza di poter “essere utili” all’Occidente impegnato, in modo sotterraneo, a combattere la presenza dei Russi (allora “sovietici”) nei territori dell’Afghanistan. In quell’occasione, immediatamente dopo lo smacco del VietNam, tra il 1979 e il 1988, il mondo arabo colto (e ricco, grazie al petrolio) si è reso conto di poter trovare un modo per differenziarsi dall’american way of life elemento unificante (percepito generalmente come positivo) di tutto il mondo da poco interlacciato da radio e televisione, dai film, dalla retorica militarista di due guerre vittoriose. Qui si è manifestata un’ambivalenza, un’accettazione ma anche un rifiuto che, sostanzialmente dura ancora oggi.

Tornando all’Afghanistan (nel conflitto anti-russo) si è visto, si è toccato con mano, che il singolo motivato, anche con poche armi, adeguatamente indottrinato, poteva essere un’arma letale specie in presenza di problemi di logistica e velocità di spostamento. E’ noto che l’ultima vera rete stradale afghana risale alla fase finale di permanenza inglese e che, da allora (tra fine ‘800 e fine ‘900) ben poco si è fatto per modernizzare commerci e sistemi “industriali”, non intaccando i rapporti tribali storicamente radicati e, di conseguenza, abitudini, comportamenti, idealità. Così, continuando a girare la testa da un’altra parte, facendo finta che un buon quaranta per cento della superficie abitabile della Terra fosse del tutto insignificante per le “sorti dello sviluppo” si è arrivati prima alla sottovalutazione del problema (si pensava di poter utilizzare la famiglia di sangue reale saudita di Osama Bin Laden proprio per fini “impropri”) per poi arrivare alla constatazione dell’esistenza di un problema, di un nodo che diventava vieppiù complesso e articolato.

Nell’’88 dello scorso secolo si giunge, quindi, alla vittoria finale (una piccola vendetta americana nei confronti dell’orso sovietico reo di aver aiutato i viet cong nella recente guerra indocinese), i russi se ne devono andare e, dopo poco, inizierà lo sfaldamento del “socialismo reale” ormai fuori dalle dinamiche economiche e sociali di fine secolo.

Resta il dato della “forza” rinnovata dell “islam”, della capacità di saper stare alla pari (anche, e soprattutto – non bisogna mai dimenticarlo – grazie alla manna dei combustibili fossili) delle potenze occidentali. Si calcola che siano stati circa 500.000 i morti delle varie formazioni dei “mujaheddin” coinvolte (a fronte di circa 25.000 caduti russi), soldati diventati martiri nell’immaginario collettivo e che sono, ancora oggi un modello per chi “si immola”. Forse, però, questa massa di persone non ha ben compreso per chi ha combattuto (e combatte)…

Sono del periodo tra il 1990 e il 2005 ben 1512 nuove acquisizioni diIsis aziende in difficoltà in Canada e Stati Uniti da parte di finanziarie quawaitiane, saudite, irakene, degli Emirati Uniti (Fonte AFL.Cio) e la dinamicità dell’imprenditoria industriale e finanziaria in qualche modo legata ai Paesi Arabi è troppo nota per essere riassunta qui. Ecco, proprio di lì occorre partire per comprendere cosa sta succedendo in Medio Oriente e, come si è visto, nel Mondo. La “macchina da soldi” che sta dietro agli agit-prop dell’ISIS, che ha gioco facile nel creare marionette disposte a tutto, è talmente sicura dei propri mezzi che si permette di non avere più bisogno di tutori dal pugno di ferro, personaggi, come al Assad padre o Moumma al Gheddafi.

Ormai troppo simili agli Occidentali, non più utili ad una modalità organizzativa che è ritornata senza problemi ad altri sistemi, non democratici, basati sul nazionalismo/territoriale, sul tribalismo, su un’economia di sussistenza, sulla povertà vissuta come dura quotidianità, sull’applicazione di poche regole draconiane che definiscano con nettezza le distanze fra le classi, senza “grilli per la testa” instillati dai “malvagi” occidentali . E chi è fortunato, chi è “toccato da una mano sublime” avrà ogni bene, avrà la possibilità di vivere come un nababbo, agli altri … (scegliete voi come riempire i puntini). Tutto qui.

KhomeiniSi accetta quello che per noi non sarebbe nemmeno ipotizzabile in una riedizione delle Mille e una Notte e che, però, ben può comprendere chi ha avuto vere frequentazioni con quei luoghi, chi ha vissuto nei loro villaggi a contatto con le persone in bisogno, chi ha capito che il “rancore covava da tempo” (frase usata dall’ayatollah Khomeyni nel 1978 poco prima del suo ritorno a Teheran) e che prima o poi sarebbe successo qualcosa.

Questo “qualcosa” non sono state, però, le varie “primavere arabe”, solo parzialmente riuscite e con un livello quantitativo di coinvolgimento autentico pari a meno del 5 per cento della popolazione. Evidentemente si è sbagliato qualcosa… E, quel che è peggio, si sono liberate – insieme a forze positive, ora minoritarie – forze tremendamente negative che fanno del “non riconoscimento dell’altro come persona” il loro dato di fondo. Su questo concludo, tornando ad una delle immagini usate in apertura. Purtroppo per questi sicari imbottiti di slogan e interpretazioni distorte di testi sacri e profani, noi non siamo umani, non siamo degni di misericordia o considerazione… Siamo solo un “fatto mediatico” e, pertanto, si comportano di conseguenza.

Ragionare su quanto è successo deve sicuramente essere il primo punto, ma il secondo – immediatamente successivo – deve essere quello di attrezzarsi in modo organico ad una difesa e ad una prevenzione millimetrica che deve trovare nell’apporto convinto di tutti un sostegno adeguato. E questo solo per “tutelarsi”… ma non è finita lì… Bisogna ricreare (o forse creare per la prima volta) le condizioni per una convivenza fra i popoli che non sia soltanto parolaia, che si basi sulla condivisione delle risorse, sul loro adeguato e ragionevole utilizzo, nella consapevolezza che solo questo percorso può portarci fuori dall’autodistruzione.