Ciò che rimane la mattina dopo sono numeri. Numeri pesanti, freddi, destinati a rimanere nelle nostre menti. 127 morti, 180 feriti, di cui 80 in maniera grave. 6 luoghi attaccati nel giro di un’ora. 3 attentatori si sono fatti detonare, altri sono rimasti uccisi. “L’11 settembre francese” è esploso così velocemente e così velocemente è terminato, lasciando la sua scia di terrore e morte.
Lo stadio, il caffè, il concerto. Un normale venerdì dove i Parigini staccano dai ritmi settimanali. Qualcuno si gode la partita. Altri bevono qualche birra al bar cambogiano del 10 Arrondisment. I più giovani saltano nel Bataclan per il concerto degli Eagles of Death Metal. Altre persone passeggiano davanti al Centro Pompidou o al centro commerciale Les Halles.
Nel freddo di una Parigi vuota per il coprifuoco (non accadeva dalla Prima guerra mondiale), trafelata per lo stato d’emergenza (non accadeva dalla Guerra di Algeria nel 1962) e lacerata da colpi di kalashnikov, resta una sola domanda: perché?
È difficile spiegarlo, anche per chi come me vive di questi temi tutto il giorno. Studio l’ISIS da più di un anno ormai e niente lasciava presagire una tattica simile. C’erano state minacciate video nei mesi scorsi, ma tutti gli analisti ritenevano che il fine fosse solo quello di spaventare. Non si pensava a un attacco del genere contro civili e contro luoghi non simbolici.
Perché il modus operandi dell’ISIS era sempre stato territoriale. Gli attacchi sanguinosi e mediatici sul solo europeo non facevano fino a ieri parte del suo linguaggio, come invece Al-Qaeda.
Nonostante la rivendicazione dello Stato Islamico, è ancora presto per dire se ci sia veramente la sua mano dietro. Se così fosse, però, saremmo davanti ad un cambiamento epocale nella sua strategia globale. Una strategia che riacquista i caratteri pericolosi di al-Qaeda, ma con molte più risorse.
Perché Parigi poi? La Francia ha una storia d’integrazione molto altalenante. Gli episodi di razzismo e xenofobia, soprattutto nelle periferie delle grandi città, hanno spinto molti giovani nati e cresciuti in Europa a radicalizzarsi. La crisi economica, poi, ha peggiorato la situazione distruggendo molte comunità.
Il terrorismo è un lungo processo di psicologia individuale e sociale. L’individuo che si radicalizza lo fa primariamente per questioni identitarie. Ricerca di un gruppo, di accettazione, d’importanza, emancipazione sono i fattori che spingono una persona ad abbracciare il terrorismo religioso. La Francia è stato un terreno di coltura troppo fertile negli ultimi anni. So che molti penseranno che ciò non giustifichi il gesto. E, infatti, non lo giustifica. Ma per capire il problema bisogna soprattutto inquadrarlo con i gusti mezzi.
E il problema, mi duole doverlo sempre ripetere, non è l’Islam. L’Islam è una scusa, un rifugio. L’Islam “radicale” che affonda le proprie origini nell’instabilità mediorientale del dopo-guerra ha ben poco a che fare con la religione. Queste origini sono di carattere politico ed economico, non religioso, che strisciano nel complesso mosaico confessionale del Medio-Oriente.
Qui non stiamo nemmeno parlando di uno scontro tra Islam moderato e Islam conservatore. Al mondo esistono milioni di persone che vivono la loro vita seguendo rigidamente i precetti dell’Islam ma che non hanno mai giustificato l’uso della violenza, non hanno mai fatto appello alle armi. Infatti, tutti i grandi imam conservatori del mondo stanno deplorando l’accaduto.
Dunque levatevi dalla testa lo scontro di civiltà. Non c’è uno scontro se non quello che l’ISIS vuole portarci a credere. Perché lo scopo dello Stato Islamico è questo: attaccare e seminare terrore. Più terrori crei, più ferventi nemici ti fai, e più nemici ti fai, più l’arena politica si polarizza e lo scontro si avvera. Noi non dobbiamo cadere in questa trappola.
Lo scontro è tra chi vuole vivere nella libertà e chi vuole imporre la sua idea spacciandola per religione. Una specie di fascismo. Lo scontro è tra l’Europa e quell’organizzazione criminale e terrorista che conduce le proprie operazioni in Siria e in Iraq.
Capisco le emozioni. Capisco lo stomaco. A tutti verrebbe di gridare “islamici di merda.” Ma dobbiamo stare attenti alle reazioni. Perché lo scopo dell’ISIS è di farci ragionare in questo modo. Perché in futuro, una categoria vivrà momenti bui in particolare: i musulmani d’Europa.
Ora con lo stato d’emergenza ci sarà una stretta sulle libertà civili e politiche. Soprattutto, verranno tenuti d’occhio i musulmani francesi, la cui libertà è in pericolo e il rischio di ghettizzazione è altissimo. E la ghettizzazione, è proprio lo scopo dell’ISIS. Perché l’ISIS è nato nel contesto iraqeno in cui i sunniti erano stati ghettizzati dalla minoranza politica. Ciò comporta maggior odio e alienazione, anticamera del processo di radicalizzazione.
Lo stato d’emergenza non deve portare a questo. Altrimenti il rischio di radicalizzazione sarà sempre più alto. E lo sarà sempre di più nei nostri confronti: saremo sempre più arrabbiati, e disposti a credere chi ci dice che è una guerra con l’Islam, una guerra tra mondi, una guerra tra noi e i barbari dell’Oriente. Accetteremo che il campo è diviso in due parti. Vivremo di assoluti, come solo i terroristi vivono.
Gli errori dell’11 settembre non vanno ripetuti. Niente Patrioct Act che giustifichi una cessione di diritti in nome di una maggiore sicurezza. Solo con una società più libera, più coesa e più benestante possiamo sconfiggere il terrorismo e vivere sicuri.
La risposta ancora una volta non è bellica. È economica, è sociale, è culturale. Potete pensare ai musulmani come persone che pensano sempre alla religione. E invece no. Scoprirete che la maggior parte sono come noi: vogliono solo vivere sereni e tranquilli. Pace.
Un’ultima riflessione, doverosa, è sull’Italia. Inutile negare che il rischio esista. Da più di un anno le minacce su Roma arrivano via video. Ma fino a ieri si pensava a normale strategia mediatica di terrore. Ora con i fatti di Parigi tutto cambia. La minaccia è per forza più concreta e possibile. Il Giubileo alle porte sarà una prova molto importante per i servizi italiani, anche se abbiamo visto che all’ISIS non interessa attaccare le grandi manifestazioni.
Quello con cui noi non dobbiamo rispondere è la paura. La paura ci fa credere e fare cose impressionanti. Niente accanimento sui musulmani, niente privazione delle libertà individuali, niente odio. Non diventiamo come loro. “Restiamo umani.”
Londra, 14 novembre 2015