Quale futuro per l’economia del territorio?

Sono andato alla conferenza della associazione della Confindustria di Alessandria di mercoledì sera, il cui tema di fondo era la presentazione del progetto di ricerca dal titolo “+30 gli sviluppi possibili” che lasciava presupporre idee sullo sviluppo economico in progress, nei prossimi trent’anni.

Non so cosa sia rimasto agli imprenditori anche importanti presenti (buona partecipazione, che significa attenzione e attesa) ma personalmente ne sono uscito più triste.
Il che non sarebbe un problema direte, anche perché non sono un imprenditore e la mia è una voce fuori dal coro… Lo studio illustrato dal dott. Russo dello Step Ricerche del Centro Einaudi giustamente previsioni non ne aveva in programma. Però usando parametri conosciuti ha dato vita a scenari possibili mettendo insieme variabili conosciute ad oggi, fotografate nella provincia di Al (risparmio, innovazione, cultura professionale, investimenti, ecc). Ovviamente immaginando uno stato delle cose spinto in avanti nel tempo fino a trent’anni e giocando su aumento o diminuzione di uno dei parametri di partenza per vedere variazioni. Quasi tutti davano un risultato negativo.  Solo l’aumento anche di piccole percentuali di tutti i parametri in contemporanea, davano una proiezione positiva nel tempo.

Spero lo prendiate per buono perché non semplice, ma presto tutto questo lavoro interessante sarà disponibile sul sito della Associazione della Confindustria e si capirà meglio. Fra le variabili di fondo la demografia in diminuzione sul territorio ed in Piemonte e sotto gli standard europei. Chi fra trent’anni sarà sul nostro territorio protagonista sociale è già entrato e già sta qui con poche variabili. I Laureati erano nel 2011 il 49,9 %, i diplomati il 15,9 %. La connotazione oggi del territorio provinciale è terziario e logistica. Prima Paolazzi del Centro Studi della Confindustria e poi Serra, imprenditore e insegnante della Luiss hanno insistito sulla formazione e innovazione dimostrando come, se in Italia si investe circa 10.000 euro pro capite, negli Usa arrivano a 26.000 per la formazione personale, con evidenti squilibri e risultati, che favoriscono la fuga dei migliori cervelli. Chi investe di più non è neppure come ci si aspetterebbe, la Germania (33% ) ma l’Irlanda (51%), Italia ( 20%) E’ questo uno dei parametri da variare, usati.

La nostra Presidente della provincia Rossa (non poteva mancare alla rassegna dei poteri forti) ha fatto un bel discorso auto promozionale parlando dell’aggiustamento dei conti in comune e nei bilanci calmierati. Naturalmente senza dire che da parte della giunta di programmi reali non c’è traccia se non il tentativo di accorpamento in Amag delle partecipate e del tentativo di cercare sponsor per ATM fallita, oltre ad aver sposato il progetto del Teleriscaldamento in project financing tout court senza ragioni “sostenibili”.

Sembravano due entità separate l’economia e la politica che si sfiorano. Lanciati dietro alle supposizioni, per carità, assolutamente plausibili, ho visto occhi spersi e punti interrogativi formarsi davanti alle menti degli imprenditori presenti. Perché il tutto era una cosa molto “renziana”, veloce e possibile, ma c’erano tanti ma e se da porre a priori, che ci si perdeva. Alcuni li ha indicati anche Buzzi (presidente Confindustria di Al ) persona non superficiale e “sul pezzo”. Ad es. se devo aumentare il risparmio (ovvio da bilancio di una impresa) come lo risolvo? Se devo aumentare gli investimenti tecnologici? E’ stato citato l’esempio dei soldi presi a bassi interessi dalle banche alla UE ma che difficilmente ritornano alle aziende, alle persone, quindi dietro a scenari possibili molte sono le incertezze e lo spazio è tutto individuale, perché di piani concreti nazionali e locali la politica non ne ha (trasporti, energia, commercio, lavoro).

Infine il dato certo è che la vocazione di imprese degli anni 70 (es. polo chimico di Spinetta e di Quattordio ) non c’è più ed è definitivo per dimensioni e qualità nella provincia ed infatti si parla di vocazione al terziario ed alla logistica.

Credo che gli imprenditori venuti volessero una magia adesso, per la quantità di piccole medie fabbriche ancora “resilienti” sul territorio e non l’hanno trovata, ma pare anche a me impossibile da definire diversamente. Tutti questi interventi avevano un modello di ragionamento basato sul lavoro e ogni proiezione (aumentando alcuni parametri) tendeva ad aumentarne la quantità e l’efficienza, mentre lo stesso Paolazzi del Centro Studi della Confindustria Nazionale rilevava che la media italiana dei salari è intorno ai 1200/1400 euro mese e in netto distacco da equivalenti del nord Europa, dove il livello è intorno ai 2.200 euro mese.

Qui mi fermo al racconto della conferenza che non va più in là, dove non si è parlato su cosa serve per realizzare quelle variazioni (finanza e credito, semplificazioni burocratiche, servizi, ecc) e neppure è stato al centro dell’intervento della Rossa per chiedersi appunto “come potrà essere utile”, anche solo amministrativamente, la politica sul territorio.

Questo studio come ricerca era uno sguardo al futuro delle imprese, ragionando dall’interno dei presupposti già in essere da tempo delle stesse e con la previsione di sintesi di cavarsela come possono,  giocando su parametri di management. Auguri a tutti!

Purtroppo le aziende sono anche persone, cittadini, non solo perché producono e vanno curati per migliorare prestazioni aziendali, ma perché i singoli dipendenti sono il mercato finale in parte. Il tema chiuso di questo cortocircuito del capitalismo del 2015 è tutto qui, quello che fa superare le difficoltà del mercato nel singolo momento per una impresa non è affatto legato al benessere della massa del popolo. Allevati come polli con attenzione, per avere qualità ed innovazione, non perchè utile socialmente.

Il vecchio tema lavoro contro reddito continua a fare a testate con la logica ed è una situazione anche favorita da concezioni sindacali, che oggi non hanno più significato in termini di sola rivendicazione salariale o singole sicurezze come la cassa integrazione.

Sarà il caso di pensare al mondo che vorremmo in modo aperto e ampio.

Proprio sul territorio piemontese di queste settimane è l’annuncio della Michelin di investire 180 milioni di euro sulla produzione e contemporaneamente di chiudere uno stabilimento e licenziare 579 dipendenti. Lo sviluppo delle singole economie sull’altare della concorrenza richiede sacrifici, introdurre tecnologie non è più sviluppo delle risorse in senso sociale, anzi ne diventa il nemico . L’epoca della finanza e della produttività si pone problemi di mercato e non di sviluppo di persone, la politica asseconda. Così le risorse del pianeta se ne vanno in fumo e mentre si studiano ad es. produzioni agricole solo per produrre combustibile (granoturco) nelle biomasse, mentre si sceglie con atti politici strade di sviluppo ancora in ossequio ai produttori di energie fossili, tagliando incentivi e permettendo trivellazioni, mentre grandi opere come il Terzo Valico e la Tav , costruite senza nessun supporto documentale di traffico reale anche in previsione , macinano i nostri soldi raccolti con tasse inique che taglieggiano gli imprenditori stessi, mentre si scelgono grandi opere gestite dai soliti noti ed il ponte sullo Stretto viene riproposto negli stessi giorni in cui la città di Messina, i suoi abitanti fanno la fila per l’acqua, tralasciando le minime opere di manutenzione del territorio in grave dissesto idrogeologico, mentre dai dati Istat si può capire che una minoranza (12% circa) continua ad aumentare i propri guadagni (quelli che vedono la luce in fondo al tunnel) a fronte di una maggioranza o sotto la soglia di povertà o a rischio di continua erosione del livello di vita in tutti i suoi aspetti sociali. Si potrebbe dire dobbiamo scegliere fra lavoro e vita, che presuppone il lavoro ovviamente.

Va ripensato questo sistema e a parte gli algoritmi ridicoli che sono capibili dentro una logica di difesa dei privilegi, ma sono ormai la negazione dello sviluppo sociale che significa difesa dell’ambiente e del clima, energia sostenibile e efficientamento, significa ritornare a produzioni che privilegiano i prodotti della terra, l’economia circolare e le nuove tecnologie insieme a ridistribuire la ricchezza complessivamente prodotta perché ci fa vivere meglio tutti.

E’ finita” l’epoca dell’Ilva”, dell’auto a benzina, dei Suv , dei prodotti chimici che ci rendono la vita più difficile. La politica della corruzione diffusa e dei privilegi dei vitalizi e delle pensioni d’oro deve lasciare il posto a forme di welfare, possibile già oggi per chi è al margine sociale, la medicina deve tornare ad essere conoscenza per il bene sociale e non un modo per guadagnare delle grandi industrie farmaceutiche o dei privilegi delle cliniche private a fronte di un degrado della sanità pubblica reale. Oggi l’economia, gli industriali cercano strade, ma è la politica che deve indicarle ! Salvare l’ambiente per evitare disastri climatici, riutilizzare e diminuire rifiuti, Promuovere servizi e stabilire regole certe, favorire controlli e ispezioni su quanto in commercio, difendere il made in Italy, la tracciabilità alimentare e finanziaria , i supporti a chi produce con cambiamenti reali alle reti, dalla banda larga vera informatica alle reti di collegamenti dei vari sistemi di trasporto.

Abolire produzioni dannose o pericolose anche aumentandone la tassazione fino a farle diventare non convenienti perchè poi creano situazioni di inquinamento che fanno sprecare risorse a posteriori.

Controllo dei brevetti e veri investimenti di ricerca su tecnologie moderne e a basso impatto. Con tutte le possibilità già oggi esistenti in Europa potremmo davvero lavorare meno, ma tutti, non come slogan tanto per ….
Pensare positivo serve a cacciare a pedate chi oggi ci viene a parlare di rivoluzioni, magnificando la legge di Stabilità, il Job Act e nel nostro territorio, il Teleriscaldamento, l’uso dei rifiuti come moneta commerciale per fare business, la cementificazione sistematica di un territorio in agonia per grandi centri di distribuzione . La situazione è tale anche per la subalternità di sistema delle grandi imprese, che anche da noi hanno scelto altro: cioè di delocalizzare, in barba ad ogni discorso di parametri (e sono persone importanti come il gruppo Guala, l’AGV,ecc ) subalterni alle banche ed alla finanza creativa che però in tempi brevissimi brucia enormi risorse dove si salvano pochi manager e il resto muore.

La domanda banale è cosa serve per vivere tutti in tranquillità?

Se la risposta è: basta variare parametri noti per proiettarsi nel futuro, davvero auguri a tutti!
Gianni Gatti – Alessandria