Peppone e don Francesco [Il Citazionista]

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di Andrea Antonuccio.

«Sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro»
Don Camillo, Giovannino Guareschi

Sono sempre stato convinto che non esista catechismo migliore, come chiarezza e senso di bellezza, di quello “esplicitato” nei film (con Fernandel e Gino Cervi) e nei libri che hanno come protagonisti Peppone e don Camillo, accompagnati da un Cristo crocifisso che parla, senza che la cosa appaia strana, o irrealistica.

I primi libri non “per ragazzi” che i miei figli hanno letto sono stati proprio quelli della saga di Brescello. Semplici, chiari, puliti e soprattutto veri, pur essendo opera di fantasia, e capaci di suscitare, anche in bambini delle elementari, un giudizio su che cosa è bene e che cosa è male. Quello che la quasi totalità della letteratura di quest’epoca non riesce a fare, ingabbiata nella propria impotenza nichilista. Giovanni Guareschi, invece, c’è riuscito alla grande raccontando le storie, minime e umanissime, di un paesello della bassa reggiana.

I film, che dal punto di vista tecnico in molti casi lasciano a desiderare (così dicono i critici à la page), sono ugualmente evocativi. Uno dei rari casi in cui la trasposizione su grande schermo non ha tradito il testo scritto, malgrado gli inevitabili cambiamenti che il linguaggio cinematografico richiede.

Per tutte queste ragioni sono rimasto molto colpito quando papa Francesco, parlando ai delegati del Convegno ecclesiale nazionale riunito in questi giorni a Firenze, ha citato proprio i personaggi di Guareschi. Non soltanto come personaggi letterari, ma addirittura come paradigmi italici di letizia cristiana.

Queste le parole del Papa: “La Chiesa italiana ha grandi santi il cui esempio possono aiutarla a vivere la fede con umiltà, disinteresse e letizia, da Francesco d’Assisi a Filippo Neri. Ma pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo che fa coppia con Peppone. Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente”.

Dopo questo endorsement, sarebbe forse ora che i nostri parroci buttassero nel camino i libri del catechismo (alcuni veramente atroci), e facessero leggere quelli di Guareschi. Non sono le regoline a rendere convincente la fede, ma gli esempi di umanità. Gli stessi esempi, anche presi dalla letteratura, che un papa argentino non ha paura di citare in un Convegno ecclesiale della Chiesa italiana, davanti a tanti “capoccioni” in-tonacati. Forse che la fede è una cosa più semplice di quel che pensiamo?