Lucciole per lanterne [Lo Straniero]

marenzana_angelodi Angelo Marenzana

 

Una volta c’erano i bordelli. Oggi, un gran bordello. In Alessandria ci si poteva sbattere il naso contro prima di incontrare il ponte sul Tanaro. Era una villetta a tre piani, senza fronzoli architettonici e il rosso vivo della passione a infuocare le pareti. A guardarla da fuori si poteva capire che al suo interno si consumava il meretricio di stato, in regola con quanto previsto dalle leggi vigenti. Persiane incatenate per non consentire di sbirciare dentro e isolato da un muro perimetrale. Il muro del pudore, lo aveva battezzato il Duce. Era consentito un accesso anche dal lato fiume per dare la possibilità a molti clienti di arrivarci in barca.

Era un santuario dove si celebrava il rito del piacere maschile, ma non come cultoCasa chiusa pagano, bensì riconosciuto come privilegio, oltre che diritto vero e proprio. Come tale era regolamentato da leggi dello stato che stabilivano non solo i criteri sanitari ma anche costi e durata del “colloquio” che legava la donna al suo cliente. Lì, venivano svezzati i neo maggiorenni nel corso della visita militare, o prima di essere mandati in guerra a difendere la patria armi in spalla e l’orgoglio nel cuore per aver conosciuto l’intimità femminile.

Poi la svolta. Il 20 settembre del 1958 entrò in vigore la legge Merlin, a firma della deputata socialista grande amica di Giacomo Matteotti. Il giorno dopo l’Italia si svegliò sotto il peso di un malinconico autunno: case chiuse, chiuse per davvero, e le lavoratrici finite in mezzo alla strada. Anzi ai bordi. A dimostrazione di quanto la legge sia stata tradita con gli anni nel suo spirito più autentico.

ProstituteLa prostituzione è finita per passare dal controllo di un’economia di stato al libero mercato. Il “colloquio” si è trasformato in una sorta di comizio di piazza dove finisce per prevalere chi grida più forte. E grazie alla legge del più forte è la parte più debole a riportarne le conseguenze. La stessa prostituta. Che oggi rischia di prendere mazzate a destra e sinistra, e da papponi svelti di mano.
Eppure…

Oggi si contano sulla punta delle dita i romanzi e i film di genere (noir, poliziesco e thriller) e non (basti ricordare Pretty Woman o Una poltrona per due) che non abbiano all’interno della storia una prostituta, se non come protagonista, almeno come comparsa. Spesso chiamata squillo. Non solo le strade del mondo, ma anche il mercato editoriale e cinematografico è saturo di figure femminili che vendono sesso per campare. E sempre con un ruolo fondamentale nell’intreccio narrativo.

Primo: serve a fare atmosfera. Dentro i locali malfamati, nei nights per uomini annoiati, o sulla strada, la loro presenza è sinonimo di malavita e vita grama, marginalità sociale, periferia di infimo ordine, affari sporchi. Proprio là dove si radica il cuore noir della storia. Quasi sempre la puttana di turno è maltrattata e picchiata dallo sfruttatore, rinnegata dal politico che appena ha messo i piedi giù dal suo letto va in giro a vantare i valori della famiglia, regolarmente offesa dall’affarista laido e vizioso, e finisce per diventare amante di qualche sbirro che vive una vita senza più sogni e speranze.

Secondo: quanti libri o film non sarebbero stati scritti o girati se non ci fosse stata la nostra bella signorina pronta a farsi fare a pezzi in qualche parco metropolitano da un serial killer che per le sue patologie mentali non trova di meglio che andare in giro a cercar battone, farle salire in macchina, seviziarle e ucciderle nei modi più impensati e vomitevoli?

Terzo: spesso la prostituta sa. Conosce quel qualcosa che aiuterà il detective ad arrivare alla soluzione del caso. Meno male, perché grazie a lei, il meccanismo narrativo non si inceppa. Nel qual caso il produttore potrebbe avere delle serie grane finanziarie. Parla, la nostra eroina, magari con un occhio livido, ma sempre senza piangere, senza patetismi.

Quarto: la prostituta, alla fine, ne esce sempre a testa alta. L’unica che riesce a vantare ancora un briciolo di umanità tra tanti personaggi allo sbando, e a trasferire la sua immagine tra le strofe di poesie e canzoni capaci di addolcire i nostri cuori lacrimevoli.
Registi e scrittori dovrebbero far loro ponti d’oro per i soggetti che le prostitute hanno regalato, anzi profuso a piene mani a case di produzione che ne hanno tratto fior fiore di quattrini. E senza chiedere un centesimo sui diritti d’autore. Visto che troppo spesso i loro soggetti non sono opere di ingegno, e nemmeno di fantasia. Sono storie vissute sulla pelle, anche le più tragiche, le più drammatiche, le più barbare, sofferte sulla strada, facendo pochi passi su tacchi dal sapore circense per evitare che qualche collega rubi il loro piccolo spazio di asfalto in attesa del cliente cui offrire il menù prestazioni.

Attorno al loro mestiere girano affari di miliardi da qualunque parte si guardi, ma, come spesso accade, il mondo gira alla rovescia e si rischia di prendere lucciole per lanterne. E’ sempre la nostra bella prostituta che ha la colpa di esistere e su cui cadono tutte le colpe. Non chi sfrutta, le usa o il serial killer che sbava all’idea di sventrarla in due.