di Andrea Antonuccio.
«Viviamo in un’epoca in cui il cellulare è parte integrante della nostra esistenza, ma questo non significa che possiamo permettere ai ragazzi di usarlo come e quando gli pare»
Adriana Veiluva, dirigente scolastico
Come riporta il sito del Corriere della Sera, ben ventidue studenti di una scuola media di San Francesco al Campo, in provincia di Torino, sono stati sospesi per aver usato “impropriamente” il telefonino in classe.
Ma che facevano di male questi benedetti ragazzi? Riprendevano (o fotografavano) le lezioni degli insegnanti e le mettevano su WhatsApp, per il piacere loro e dei loro amici extrascolastici.
A interrompere lo scambio foto&video ci ha pensato la preside della scuola, la professoressa Adriana Veiluva, che ha preso la decisione più logica: punire i ragazzi. Quattro studenti e quattro studentesse sono stati sospesi per un giorno. Per tutti gli altri è scattata una sospensione “a ore” con obbligo di frequenza.
Qualche genitore ha capito e accettato (magari aggiungendo di suo un ceffone), mentre altri si sono lamentati per l’eccessiva severità. Povere stelline, e che sarà mai…
Non voglio calarmi nei panni, spesso antipatici, del censore di costumi altrui. Dunque, non mi azzarderò a entrare nel merito della vicenda. Anche se ovviamente la mia simpatia va tutta alla preside che, caso raro se non unico in Italia, ha preso una decisione definitiva.
Quello che invece mi sembra di notare, guardando i miei figli, è che l’unica vera, grande, punizione per dei ragazzi in età scolarizzata è il sequestro, sine die, del cellulare. Altro che sospensione…
I nostri figli sono schiavi dello smartphone. Un giorno, neanche troppo lontano, dovremo preoccuparci di come disintossicarli. E non credo di scherzare.
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