Nathan Campbell è stato condannato. Una sentenza ammirevole, di quelle che qui in Italia neppure riusciamo a immaginare, 42 anni. Da noi chi ammazza qualcuno guidando si fa al massimo qualche giorno ai domiciliari.
Chi è Nathan Campbell? Un demente che uccise il 3 agosto del 2013 una innocente turista italiana che si trovava a Venice Beach in viaggio di nozze col marito. Campbell piombò sulla folla intenzionalmente, ferendo 17 persone in modo grave e uccidendo la nostra giovane connazionale. Perché lo fece? Rabbia, droga, follia? A me piace volare altrove. E prenderla da lontano, da un romanzo di Ray Bradbury, l’immenso Ray, pubblicato nel 1985 Morte a Venice.
Qui Ray racconta nelle prime pagine di un giovane scrittore che, salito su un tram a mezzanotte, ha un incontro sconvolgente. Un uomo inquietante sale a sua volta e si siede dietro di lui nonostante i quaranta seggiolini liberi. E…
Pioveva forte e il tram rosso sferragliava in mezzo a un prato e la pioggia batteva sui finestrini, lavando la vista dei campi aperti. Navigammo attraverso Culver City senza vedere gli studi cinematografici e la corsa continuò: il vecchio tram sbuffava e le assi del pavimento scricchiolavano sotto i piedi, i seggiolini vuoti cigolavano e il fischio urlava di tanto in tanto. Poi, un alito terribile alle mie spalle mentre l’uomo che non avevo visto diceva: «Morte!». Il fischio del tram si impose sulla voce tanto che lui dovette ricominciare. «La morte…». Un altro fischio. «La morte è a Venice» disse la voce alle mie spalle.
Come vedete, a volte la grande letteratura è anche tremenda. Sicuro, non può esserci il minimo collegamento con l’uccisione di Alice, ma la mente è quasi costretta a compiere certe casuali connessioni. Quasi come se, giusto in una visione “alla Bradbury”, le indefinibili energie che circolano in un continuum senza spazio né tempo alla caccia di “gusci vuoti” da occupare, possano essere percepite dalla mente liberata di uno scrittore con la capacità di connettersi.
Lo so bene, stiamo navigando nella metafisica e in una dimensione a dir poco astratta. Come so bene che questo articolo l’ho già scritto qualche altra volta in forma diversa. E mi si potrebbe a ragione chiedere come può entrarci il più malaugurato degli incidenti con certe tematiche, quali la progressiva alterazione subliminale dei nostri corpi sottili o quella “sindrome di Rendfield” di cui vi parlo spesso e per colpa della quale tanta gente sul pianeta fa cose orribili e poi non ha alcuna spiegazione da fornire, ammesso che quella spiegazione serva a qualcosa. Cose che assomigliano a intrusioni diaboliche all’interno della Psiche-Soma, se non fosse che chi vi scrive si definisce agnostico, a un passo dall’ateismo. Forse eggregoriche, maligne, per le quali la definizione più esaustiva resta ancora quella di Castaneda, i voladores, forme fluttuanti nell’aria di tanto in tanto visibili a pochi e chiamate nella culture tribali del Sud America “predatori oscuri”. Entità inorganiche e vampiriche in grado di “entrare dentro”, come certi alieni invasori degli anni Cinquanta, e di mettere in atto una sorta di terrorismo di massa in grado di diffondersi su base psichica.
Ho scritto giusto, terrorismo. Il tipo che ha ucciso la nostra connazionale a Venice si è scagliato con l’auto contro persone che stavano camminando sul lungomare. Dichiara di non sapere perché l’ha fatto. E, okay, l’uomo vanta un passato disgraziato di droga, alcol ed emarginazione. Però Nathan Campbell ha usato la sua macchina per uccidere. Senza ombra di dubbio. Le due foto in sequenza parlano chiaro.
Ovvero, Campbell punta i due ragazzi e loro con assoluto tempismo e forse anche un po’ di fortuna riescono a uscire dallo spazio mortale dell’investimento.
Lo fa Campbell con una macchina nera che assomiglia sul serio all’oscura falciatrice su quattro ruote filmata da Elliot Silverstein nel 1974 (The Car), giusto per andare ancora a caccia di analogie puramente casuali (anche se il concetto di “puramente casuale” non esiste in una visione connettivista del fluire energetico). Insomma, nell’immaginario a monte di fatti del genere, ci stanno sacche di déjà vu che sanno in parte di Final Destination e sono in grado di produrre un prevedibile quanto deplorevole repertorio di frasi fatte sulle varie tipologie di “appuntamenti col destino” che ognuno di noi avrebbe già scritto nel proprio DNA karmico.
Nessuno deve condividere la mia opinione, ma io a fatti del genere mi ribello. La mia intenzione sarebbe quella di andarci a scavare dentro. Per scoprire uno straccio di spiegazione che non sia la solita, paradossalmente tranquillizzante, disamina sulla “fatalità”.
Come forse suggerirebbe qualche personaggio di un libro di Rosati/Arona, in questo momento storico tutti i matti ricoverati nell’immenso manicomio che si chiama pianeta Terra si stanno agitando perché “qualcosa sta arrivando” o “qualche forma di energia incontenibile vaga libera per le troppe Zone Zero”. Non voglio risuonare come un uccellaccio del malaugurio (chi mi conosce sa che sto agli antipodi), ma non mi pare smentibile che sia in atto, e non da oggi, un tellurismo psichico globale, quello dei Renfield che “risuonano” perché, a loro dispetto collegati alle modificazioni energetiche in corso, reagendo di conseguenza in modo inconsulto e imprevedibile. E spesso mortale. Gli esempi in cronaca per applicare questo schema, semplice quanto fantasioso (ne convengo), non mancano. Andate alla caccia, in cronaca, di omicidi e di eventi cruenti “senza” spiegazione, per capirci. Poi, se volete, ne discutiamo.