Sollecitato dalla lettura di alcuni commenti e interventi su questo magazine, e da cortesi domande, provo a scrivere un piccolo pezzo sull’argomento.
• Alcuni dati generali
Nell’anno 2013 la spesa pubblica ammontava a 818 miliardi di euro (più della metà del PIL), di questi 78 miliardi sono spesa per interessi sul debito delle P.A., restano 739 miliardi della cosiddetta spesa primaria. La metà di questa spesa è quasi tutta previdenziale 320 miliardi (43%), di cui 265 per pensioni e liquidazioni (circa il 17% del PIL) la restante parte per altre prestazioni varie di tipo per l’assistenza. I pensionati sono circa 16,5 milioni (1/3 della popolazione sopra i 18 anni), le pensioni sono però circa 23 milioni poiché alcuni percepiscono più pensioni (ad esempio pensione di reversibilità più la propria).
Sotto l’aspetto del quanto, le attuali pensioni, calcolate col metodo retributivo cioè sulla base delle retribuzioni degli ultimi anni di lavoro, sono più alte rispetto a quanto spetterebbe sulla base dei contributi versati. Secondo calcoli dell’Inps, da quando la dirige l’economista Tito Boeri abbiamo una maggiore trasparenza e progettualità, si parla di circa un 40% mediamente in più. A fronte di un versamento di € 1 si riceve €1,4.
Pertanto, il solo sistema dei versamenti contributivi da parte dei lavoratori dipendenti (33%), autonomi (22,20%) e parasubordinati (28%) non copre la spesa per le pensioni in essere. La differenza è coperta con la fiscalità generale, cioè con le tasse di tutti.
Il sistema delle pensioni, dopo anni sostanzialmente di scarsa gestione, è stato oggetto d’importanti e ripetitive riforme: anno 1992 governo Amato, 1995 governo Dini e 2012 governo Monti con la famosa legge Fornero, proprio per cercare di arginare il galoppante aumento di spesa con pericolo di default del sistema.
• I due grandi sistemi di classificazione dei lavoratori
La disciplina delle pensioni distingue sostanzialmente due categorie di lavoratori: i “vecchi”, quelli che hanno iniziato a lavorare prima del 1° gennaio 1996; i “giovani”, quelli che hanno iniziato a lavorare da tale data in poi.
A sua volta la categoria dei “vecchi” si suddivide in:
-quelli che al 31.12.1995 avevano maturato almeno 18 anni di contribuzione la cui pensione è calcolata col metodo retributivo e cioè sulla base delle ultime retribuzioni percepite per gli anni di contributi;
– quelli che a tale data avevano maturato meno di 18 anni di contribuzione, la cui pensione è calcolata col sistema misto e cioè una parte in base alle ultime retribuzioni (in pratica per gli anni lavorati sino al 1995) e una parte con quello contributivo (per gli anni lavorati dal 1996 in poi) e cioè sulla base dei contributi versati e non della retribuzione. Fatti i calcoli, la pensione è data dalla somma degli stessi (parte retributiva + parte contributiva).
Occorre precisare che dal 2012 anche per chi aveva maturato i famosi 18 anni al 1995 è passato al sistema misto: retributivo per gli anni lavorati sino al 2011 e contributivo dal 2012 in poi.
La categoria dei “giovani”, cioè quelli che non hanno mai versato contributi prima del 1996, rientrano totalmente nel sistema contributivo.
• Il nuovo sistema contributivo
Vale per tutti i prossimi pensionandi, ora lavoratori dipendenti, autonomi e parasubordinati. Ripeto per i giovani (inizio lavoro dall’1.1.96) per tutti gli anni di contribuzione; per chi aveva meno di 18 anni di contributi (al 31.12.1995) per gli anni dall’1.1.96 in poi; per chi aveva 18 o più anni di contributi (al 31.12.1995) per gli anni dall’1.1.2012 in poi.
A regime, tale sistema permetterà l’equilibrio economico della spesa pensionistica da lavoro, infatti funziona come una assicurazione sulla vita che prevede la corresponsione di un rendita vitalizia mensile: l’assegno pensionistico sarà commisurato a quanti versamenti contributivi sono stati fatti negli anni di lavoro, che formeranno un “montante contributivo”…anno 1 + anno 2 + anno 3….. rivalutati anno per anno con un coefficiente sulla base della quinquennale del PIL (se negativo non svaluta ne rivaluta il montante – successo nel 2014). La misura della pensione è poi commisurata all’età fisica. In pratica più contributi versi e più tardi vai in pensione (tenuto conto della statistica di probabilità esistenza in vita), più alto sarà l’assegno mensile.
• Un esempio di simulazione della pensione futura annua
Esistono varie simulazioni sul quanto si prenderà di pensione e l’INPS ha attivato sul suo sito la possibilità di averne una personalizzata (dipendenti privati, in seguito anche pubblici) accessibile per chi ha richiesto il PIN di accesso. Nelle prossime settimane arriverà a casa una busta contenente la simulazione personalizzata anche a chi non l’ha fatta online, come promesso dal presidente Boeri, per informare più persone possibili.
Per rendere una idea della misura di pensione percepibile, ne propongo una teorica che ho letto, sui dati disponibili, con decorrenza della pensione 2016/2018. Prendetela con le molle, ma mi sembra corretta poiché basata sui coefficienti di rivalutazione già deliberati.
Ipotizzato un montante contributivo rivalutato pari a 100.000 euro che corrisponde circa a 10 anni di lavoro dipendente con 30 mila euro di retribuzione annua (15 anni se la retribuzione è di 20 mila euro e 20 anni se è di 15 mila euro), andando in pensione al compimento dei 67 anni di età nel periodo 2016/2018 l’importo della pensione annua lorda sarà 5.826 euro, se avesse 70 anni sale a 6.541 euro. Come si legge, a parità di montante chi andrà in pensione con età maggiore percepirà di più poiché la sua personale probabilità di esistenza in vita come pensionato sarà statisticamente minore.
• Le pensioni minime
Uno dei tanti argomenti che sentiamo spesso nelle varie trasmissioni di “approfondimento politico” sono le pensioni minime. Peccato che lor signori spesso ne parlino senza averne la minima cognizione. Sgombro subito un dubbio che potrebbe far pensare che abbia personalmente qualcosa contro questi pensionati, ma così com’è nata e proseguita, nonostante aggiustamenti, non è detto che il sistema tuteli sempre chi ha più bisogno, anzi, da esperienze vissute da chi se ne occupa non sarebbero pochi coloro che ricevono un aiutino pur non versando in situazioni così precarie. Che cosa sono e come funzionano.
Prima di tutto la domanda: perché le pensioni minime sono minime? La risposta: perché sono stati versati pochi contributi!
Il sistema pensionistico prevede comunque che, qualora il pensionato e l’eventuale coniuge non abbiano redditi superiori ai limiti stabiliti dalla legge, rivalutati ogni anno, la pensione sia comunque portata al cosiddetto trattamento minimo INPS, cioè integrata.
La pensione è in parte quella spettante come da contribuzione, col sistema di calcolo retributivo, misto e contributivo sulla base delle regole vigenti al momento del pensionamento; la restante parte, per raggiungere detto minimo INPS, è aggiunta dall’INPS e finanziata con la fiscalità ordinaria (le tasse di tutti). Sul certificato annuale di pensione è proprio indicato quanto spetterebbe dal solo calcolo e quanto ammonta l’integrazione.
La riforma Fornero, basandosi a regime unicamente sul calcolo, non prevede più l’integrazione.
I limiti di reddito e i soggetti da considerare sono mutati nel tempo, sino al 1993 si teneva conto solo dei redditi del pensionato (redditi personali assoggettabili all’IRPEF per un importo non superiore a 2 volte l’ammontare del trattamento minimo previsto per le pensioni); successivamente l’integrazione al trattamento minimo viene concessa se, nell’anno considerato, il pensionato, oltre al suo reddito come sopra, non possiede redditi cumulati con l’eventuale coniuge, non legalmente ed effettivamente separato, per un importo superiore a 4 volte l’ammontare del trattamento minimo previsto.
E’ da notare che non concorrono alla determinazione del reddito quelli derivanti dalla casa di abitazione, la pensione stessa e i redditi soggetti a tassazione separata (es i titoli di Stato o altri sempre a tassazione separata). Ancora di più, in tutte queste previsioni non si fa riferimento al patrimonio complessivo ma solo al reddito. Sarebbe forse più giusto riferirsi sempre alle risultanze del modello ISEE che considera tutta la situazione patrimoniale seppure con peso diverso tra redditi e patrimonio, così entrerebbero nel computo anche i redditi a tassazione separata che in alcuni casi potrebbero essere molto consistenti.
Da quanto ne so, almeno un milione di pensioni se fossero pagate solo sulla base del calcolo non raggiungerebbe i 50 euro mensili, mentre percepiscono ora il minimo INPS di 502,38 euro mensili e 6.530,94 annuali.
A tal proposito proprio nella nostra provincia esiste un caso, forse limite, che mi hanno raccontato. Riguarda una signora ex lavoratrice autonoma e sembra anche proprietaria d’immobili, che in tutta la sua vita ha versato contributi per una sola settimana di lavoro, la sua pensione da calcolo è pari 1,5 euro ma integrata arriva al minimo citato.
• La quattordicesima
La cosiddetta quattordicesima è una mensilità aggiuntiva sommata alla pensione del mese di luglio, istituita con legge nel 2007.
E’ a favore dei pensionati di età pari o superiore a 64 anni, che non abbiano redditi personali (non si considera quello dell’eventuale coniuge) superiori a 1,5 volte il trattamento minimo di pensione (anno 2015 = € 9.786,86). Non si considera reddito la casa di abitazione, assegni famigliari, indennità di accompagnamento, tfr, soggetti a tassazione separata. Esiste una clausola di salvaguardia rispetto al diritto che determina una eventuale misura ridotta che tiene conto del reddito di cui sopra più il valore massimo della quattordicesima. Non mi addentro nel calcolo, preciso solo che la misura della quattordicesima varia in base al reddito di detto calcolo e degli anni di contribuzione (sino 15 anni, sino 25, oltre 25). La misura della quattordicesima va da 336 euro a 504 euro (anno 2015). Vale lo stesso commento che ho fatto per le minime, è una misura applaudita da molti ma anche questa non è detta che vada incontro solo ai bisognosi. Non contando i redditi a tassazione separata e nessuno di quelli dell’eventuale coniuge, può succedere che il pensionato, che sta nei limiti di reddito e la percepisca, sia coniugato con un/una benestante e percepisca ugualmente la quattordicesima.
A tal proposito, racconto un episodio successo sempre nella nostra provincia. Due coniugi pensionati (forse al minimo) si presentano a un patronato dichiarando di voler presentare la domanda per la quattordicesima. L’operatore casualmente conosceva abbastanza bene la situazione economica e patrimoniale della coppia: villetta in città, casa al mare, in montagna, auto di lusso. Alla domanda ma pensate proprio di farla la domanda? Risposta: ci spetta e la vogliamo. Secondo le norme sopra citate, entrambi singolarmente rientravano nelle previsioni e ottennero l’assegno aggiuntivo.
• La pensione ai familiari superstiti
Se un lavoratore decede prima di andare in pensione oppure decede un già pensionato, la pensione che sarebbe spettata (nel primo caso) o che si percepiva (nel secondo caso) non sparisce ma, a domanda, è corrisposta ai familiari superstiti. Nel primo caso si parla di “pensione indiretta” mentre nel secondo di “reversibilità”.
I soggetti beneficiari possono essere diversi e vanno dal coniuge (anche se separato o addirittura divorziato a certe condizioni), ai figli (legittimi, legittimati o affiliati, naturali….) che alla data della morte del genitore risultino essere a suo carico. In mancanza del coniuge e dei figli, spetta ai genitori del defunto a certe condizioni, in mancanza di questi spetta ai nipoti minori rispettando certe condizioni, in mancanza di questi ultimi, potrebbe spettare ai fratelli o sorelle sempre con condizione.
Secondo il grado di parentela del superstite cui spetta la pensione indiretta o di reversibilità cambia la percentuale della medesima, si va dal 60% solo coniuge, 70% solo figlio, 80% coniuge e un figlio ovvero due figli senza coniuge, 100% coniuge e due o più figli ovvero tre e più figli, 15% per ogni altro familiare, avente diritto, diverso da coniuge e figli.
La pensione ai superstiti con decorrenza dal 1995, è soggetta ad una ulteriore riduzione in base al reddito del beneficiario che decurta a scalare una parte delle percentuali sopra descritte.
Esistono poi delle cause di cessazione del diritto alla pensione dei superstiti: per il coniuge che si risposa, per i figli minori al compimento del 18° anno di età, per i figli studenti al 21° anno, per i figli studenti universitari al 26° anno di età, altre cause per tutti gli altri eventuali eredi.
Nel caso in cui non sono perfezionati i requisiti per ottenere la pensione indiretta (morte del lavoratore prima della pensione), gli eredi possono fare domanda per ottenere la liquidazione di un assegno economico una tantum diverso a seconda se il lavoratore era o non era assicurato (iscritto al fondo pensioni) prima o dopo il 1996. Una curiosità: se assicurato prima del 1996 l’assegno prende la denominazione di “indennità per morte”.
• Aumentarsi la pensione all’ultimo giro di boa
Non è stato solo un problema di minime integrate anche per chi non viveva abbastanza bene, ci sono state situazioni che hanno costruito una pensione di molto superiore a quella determinata dai contributi versati. Leggi fatte ad hoc, aggiustamenti vari, per aggirare o sfruttare al meglio le pieghe delle leggi. Sistemi che oggi non sono più ripetibili, almeno in massima parte, dopo gli opportuni provvedimenti per stopparli.
Il sistema retributivo come scritto si basava sulle ultime retribuzioni e stipendi. Nel privato valeva la media degli ultimi cinque anni, nel pubblico l’ultimo stipendio percepito. Allo scopo di favorire il più possibile i prossimi pensionandi si usava, possibilmente, di incrementare il più possibile le retribuzioni e gli stipendi verso la fine carriera. Cosa più complicata nel privato ma comunque in uso, più straordinari, un’eventuale promozione, ecc.. Nel pubblico esiste anche un diritto in alcune categorie. Ad esempio nella Magistratura tutti i giudici raggiungono, con un sistema di anzianità. Il sistema così come attualmente vigente è fondato sulla dissociazione delle qualifiche e delle funzioni, nel senso che l’avanzamento nelle qualifiche è indipendente dall’effettiva attribuzione di un posto corrispondente alla qualifica ottenuta. Pertanto si può restare in servizio in un tribunale e raggiungere il grado di giudice di Cassazione. La regola è giustificata come necessaria per garantire la presenza in tutti i livelli della giustizia di Magistrati d’esperienza e come strumento a garanzia dell’autonomia della funzione senza distinzioni. Gli alti dirigenti non contrattualizzati nella P.A. prima della messa in pensione spesso sono promossi dirigenti Generale, magari per un solo anno, così andranno in pensione col massimo possibile. Stessa cosa in forze militari che rendeva promossi generale quando la pensione era vicina.
Più semplicemente in ambiti di aziende partecipate dal pubblico, soprattutto quando erano classificate come municipalizzate e i dipendenti erano iscritti alla cassa CIPIDEL, quella degli enti locali, si cercava di far raggiungere il massimo livello stipendiale nell’ultimo periodo di lavoro. In tutti questi sistemi poiché il calcolo dell’assegno pensionistico avveniva sulla base dell’ultima retribuzione, la pensione era molto più alta di quella che si sarebbe percepita secondo l’inquadramento classico.
Un aneddoto mi è stato raccontato. Una signora si presenta sempre in un ufficio di patronato lamentandosi della sua pensione di reversibilità. Alla domanda, ma quanto prende di pensione dichiara circa 1.700 euro al mese (se era al 60%, la pensione del marito sarà stata di 2.800 euro/mese). L’operatore, ma allora suo marito era un dirigente? La vedova controbatte: ma no, tirava il carretto!
Le riforme avendo creato il sistema contributivo (pensione calcolata sui contributi versati in tutta la vita lavorativa) tali accorgimenti non dovrebbero più inficiare il calcolo, almeno in futuro, inoltre alcuni meccanismi sono stati eliminati dalle norme stesse di riforma legandoli ad un minimo di anni di promozione e non ritenendo più validi quelle “dell’ultimo minuto”.
Sicuramente sono stato lungo, ma spero di avervi evitato la miriade di tecnicismi che le varie leggi e riforme hanno stratificato nei decenni e che neppure io conosco. Ed è solo un piccolo assaggio, rispetto a quante altre storture vi sono state.
In questo campo segnalo che abbiamo localmente un vero esperto di funzionamento e storia delle pensioni, che considero all’altezza di confronto con chiunque e a qualunque livello. Si tratta di Biase Perna, ex minatore nato a San Giovanni Rotondo e residente da decenni a Spinetta Marengo, ora ultraottantenne ma perfettamente arzillo, lucido e impegnato, carissimo collega sindacale e mio maestro, con spiccato senso della giustizia sociale. Perna ha sempre criticato in tutte le occasioni pubbliche, a ragion veduta, tutti i difetti delle pensioni e di altre previdenze sociali. Autore di un bel libro sulla sua esperienza di minatore e lotte sindacali, nella sua miniera di bauxite a San Giovanni Rotondo.