“Quale vendemmia? Perché qui in Monferrato c’è una vendemmia? Si guardi attorno…io vedo solo nocciole!”. Il punto d’osservazione da cui ‘guardarsi attorno’ non è un luogo qualsiasi, ma lo splendido dehor di Enosis Meraviglia, la ‘cascina laboratorio’ che proprio lo scorso luglio ha festeggiato i suoi primi dieci anni di attività (ma il progetto Enosis ‘è in cammino’ da 25 anni), come ‘università del vino’ per eccellenza, dallo studio dell’acino alla degustazione in calici appositamente ideati per assaporare ogni aroma e retrogusto. E a parlare, con ironia un po’ amara, non è propriamente un uomo qualunque, ma Donato Lanati, una vita dedicata al vino ‘principale ambasciatore dell’agroalimentare italiano’, Oscar del vino 2015 come miglior enologo, ma soprattutto eno-star internazionale, con un’attività che spazia dalla Georgia al Kazakistan, “ma da un po’ anche Svizzera e Cile, mentre la grande sfida di domani potrebbe chiamarsi Stati Uniti”.
Eppure nessun territorio al mondo emoziona Donati Lanati come il ‘suo’ Monferrato. Qui è arrivato da bambino, innamorandosi di queste colline e dei loro vigneti, e da qui è partito per conquistare (davvero, nei fatti e con risultati concreti) mercati e continenti. Lanati sta al Monferrato come Carlin Petrini alle Langhe, volendo cercare un paragone efficace. Ossia è il personaggio che meglio ha saputo sintetizzare, valorizzare ed esportare questo territorio, rappresentandolo nel mondo, in termini di cultura enologica. “Eppure a volte, se guardo quanti vigneti sono stati sostituiti dai noccioleti, penso che Enosis non sia bastata, che dovevo fare di più”, sorride poetico. Ma forse sono tanti altri che si sono accontentati, non hanno voluto o saputo fare sistema, ‘sfruttando’ adeguatamente anche il talento di Lanati, e il marchio di Enosis, per imporre il Monferrato come distretto di qualità assoluta, al pari delle Langhe o del Chianti.
Dottor Lanati, partiamo dalla vendemmia 2015: come è andata?
In Italia direi benissimo: ho girato come una trottola per settimane, dalle Langhe alla Toscana, al sud. La qualità delle uva è ottima quasi ovunque, con punte di eccellenza. Se devo guardare al ‘sistema vino’, invece, constato che oggi le Langhe hanno davvero una marcia in più, con tante aziende che brillano, perché sanno essere autentiche interpreti del loro territorio, ognuna a modo suo. Parlando di rossi, in particolare, le Langhe hanno ormai rimesso in discussione anche la leadership toscana della zona di Montalcino, non c’è dubbio. Sono sempre più convinto, e l’ho scritto di recente anche sul Sole 24 Ore, che il vino del futuro è quello che farà volare la mente di chi lo beve nel paesaggio da cui origina.
E il nostro Monferrato?
Soffre, e negli anni in cui va bene si accontenta. Dov’è il progetto complessivo? Non c’è: ci sono alcuni produttori, tutti troppo piccoli per essere competitivi, manca la massa critica. Oggi senza almeno 500 mila bottiglie, ma forse sono ancora poche, non vai da nessuna parte, perché non puoi permetterti quelle competenze (l’agronomo, l’enologo, il cantiniere) senza le quali il grande vino non lo fai. Punto. E senza una certa estensione, un certo numero di ettari a vigna, non puoi permetterti quella selezione delle uve che ti consentono di commercializzare bottiglie dai 30 euro in su, ma anche di andare sul mercato con un vino di buona qualità a prezzo abbordabile, da vendere attraverso la grande distribuzione, per far crescere la cultura del bere.
Questo è un suo ‘chiodo fisso’ dottor Lanati: lo ha ribadito anche ai primi di luglio, alla ‘festa di compleanno’ di Enosis, davanti ad un uditorio particolarmente qualificato..
Perché ci credo: in Italia esiste una comunità di 150 mila persone che parlano di vino, dai grandi esperti ai semplici estimatori, coi i loro blog, giornali, newsletter. Eppure non riusciamo ancora a coinvolgere davvero una clientela potenziale di almeno 9 milioni di italiani che, secondo analisi affidabili e rigorose, sono comunque molto interessati al vino. E’ evidente che c’è un problema. Eppure il vino, l’ho ribadito anche di recente in un convegno in Expo, sta tornando ad essere considerato un alimento completo, e sempre più studi medici ne evidenziano anche le qualità in termini di ‘sostegno alla salute’: chi beve bene, insomma, ha anche una vita mediamente più lunga, e con meno acciacchi.
Da questo punto di vista Enosis ha precorso i tempi: i vostri laboratori lasciano davvero ‘a bocca aperta’ chiunque li visiti per la prima volta, e si ha l’impressione che qui si faccia ‘scienza’ nel senso più pieno del termine.
E’ così, e lo dimostrano le collaborazioni sempre più strette con diverse università, e il fatto che alcuni articoli pubblicati dai nostri ricercatori sono davvero ‘letteratura scientifica’, e autentici apripista. Ma questo è proprio il compito che ci siamo dati, come Enosis: il nostro dovere è studiare, capire e approfondire quei fenomeni che avvengono in natura, per renderli riproducibili e migliorandoli. Per riuscirci si parte dallo studio del dna, delle singole molecole di qualità che si concentrano nelle uve (amminoacidi, acidi, polisaccaridi, polifenoli, aromi liberi), per capire qual è il loro rapporto con un certo territorio, e perché in un certo punto, in sostanza, il vino ha quel certo gusto, quel sapore che è solo suo, e non si trova altrove.
Un approccio e una filosofia che vi hanno portati, in particolarenell’ultimo decennio, ad avere un ruolo da assoluti protagonisti in paesi come Georgia e Kazakistan, che sono stati storicamente la ‘culla’ del vino. Come vanno le cose sui quei mercati?
Sono in grande crescita, in primo luogo qualitativa: il che oggi consente loro di guardare oltre il loro tradizionale mercato, che è quello russo, e di puntare con determinazione su paesi come la Cina e gli Stati Uniti. Ma questo succede, lo ripeto fino alla noia, solo se e quando si sa fare sistema.
Rieccoci allora a casa nostra dottor Lanati, il Monferrato, e comunque tutto l’alessandrino. C’è speranza?
(sorride, ndr) La speranza c’è sempre, ci mancherebbe, ma va trasformata in progetto. Noi viviamo qui, e siamo innamorati del Monferrato, anche se per ragioni dimensionali e di costi lavoriamo quasi esclusivamente altrove. Di recente però la nuova proprietà della tenuta che fu di Nils Liedholm e poi del figlio Carlo, a Cuccaro, ci ha chiesto di darle una mano per rilanciare alcuni vitigni, e lo faremo volentieri. Ma oggi solo un investitore importante, capace di costruire un’unica proprietà da 1 milione di bottiglie, puntando su un vino di qualità assoluta, potrebbe rimettere davvero in corsa tutto il Monferrato. Personalmente credo molto nell’albarossa, ma non dico altro, vedremo. Il panorama però è desolante. Il Dio moscato non può risolvere i problemi di tutti, e altri vini, come il dolcetto, sono semplicemente finiti: perché il successo di un vino non dipende solo dalla sua qualità, ma un insieme di elementi, e anche di personaggi capaci di raccontarlo, promuoverlo, renderlo seducente, attrattivo. L’altro giorno ero a Monforte d’Alba, ho parlato dinanzi ad un centinaio di inglesi. Persone competenti, che vanno alla ricerca della qualità della vita, del bere, del territorio, Qui gli stranieri che possono acquistare davvero, e investire, dove sono? E se passano dalle nostre parti, esistono strutture ricettive in grado di accoglierli, raccontare la storia di queste terre meravigliose, e proporre loro una permanenza di qualità? Non mi pare…
Ettore Grassano