Il migrante in fiera

Patrucco Giancarlodi Giancarlo Patrucco
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Da tempo, da quando vedevo ancora i vecchi barconi straripanti trainati dai nostri guardacoste verso Lampedusa ad ora, mentre vedo i gommoni passare l’Egeo e assisto alla transumanza verso il Nord Europa, mi faccio alcune domande.

La prima, forse la più dirimente, è: meglio essere realistici o di principio? Insomma, salviamo il salvabile, visto che l’umore degli Europei è quello che è, oppure ci schieriamo a difesa del principio irrinunciabile di quelle masse inermi che vogliono una vita migliore di quello schifo a cui cercano di voltare le spalle?

E, qui, incontriamo subito una prima risposta, all’art. 1 della Convenzione sullo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio del 1951. Vi si dice in sostanza che per rifugiato s’intende la persona che si trova fuori del paese di cui è cittadino, temendo a ragione di essere perseguitata per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, e che non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di quel paese.
Come si vede, restano fuori dallo status di rifugiato (e dal conseguente diritto d’asilo) tutti coloro che fuggono, non la guerra o la persecuzione, bensì la fame, la miseria, la carestia. Questi non hanno titolo all’asilo e neanche a definirsi rifugiati. Sono e restano genericamente profughi o migranti.

Seconda domanda: la fame e la miseria non sono motivi legittimi perMigranti 2015 cercare un futuro possibile altrove? Ricordo (a me stesso) che, nel corso dei secoli, milioni e milioni di persone si sono mosse sotto quella spinta del tutto naturale e umana. I nostri bis-trisnonni non si sono imbarcati per l’America perché rischiavano di subire in patria chissà quali maltrattamenti. Il problema, nella sua cruda banalità, è che in quella patria tiravano la cinghia.

Ma la Comunità Europea si è attestata sulla linea della Convenzione di Ginevra: rifugiati sì, profughi no. Questi ultimi devono essere rispediti (o riportati) nel paese di provenienza. Naturalmente, l’attuazione di tale disposto provoca qualche difficoltà, perché devi censire tutti i migranti e più sono più tempo ci metti; perché devi allestire strutture in grado di ospitarli; perché devi vigilarli, altrimenti quelli scappano un’altra volta; perché devi accordarti con i paesi di provenienza, che spesso da quell’orecchio non ci sentono o non ci vogliono sentire.

Aggiungiamo due paradossi: il primo riguarda il famoso trattato di Dublino, nel quale i paesi Ue si impegnarono a fare tutte queste cose e, per di più, a concedere l’asilo agli aventi diritto, relativamente a tutti i migranti che fossero entrati nel limite Shengen, cioè l’area che delimita il territorio interno di libero transito. Già, ma poiché l’area di migrazioni prevalente, e oggi preponderante, è a sud, va da sé che i più inguaiati da quella sciagurata decisione sono stati i paesi europei in zona, cioè essenzialmente Italia, Malta, Grecia e, secondariamente, Spagna (lascio fuori la Francia, terra di migrazione ma non certo coi barconi. Troppo mare davanti).

Il secondo paradosso riguarda il dopo rimpatrio, ammesso che avvenga. Già, ma che ce lo mandi a fare a casa sua, uno che ci muore di fame? Così lo condanni. Aiutiamoli a casa loro, urla Salvini. Ben detto. Peccato che a rendere la vita più difficile a quei disgraziati abbiano pesantemente contribuito anche quelli che oggi vorrebbero rimandarceli. Dove credete che gli inglesi abbiano trovato i soldi per le loro stupende ville vittoriane? Come credete che Amsterdam abbia fatto a diventare il principale mercato dei diamanti? E la Francia, dove ha trovato le risorse per la sua grandeur? Per la gran parte in Africa, ovviamente.

Però c’è l’Onu, e c’è l’Alto Commissariato per i Rifugiati, che si dovrebbe occupare anche di questi aspetti. Già, ma con quali soldi, se complice la crisi economica i finanziamenti degli stati membri continuano a scendere costantemente? E’ una triste verità: l’Onu e l’ Unhcr non hanno neanche i soldi per provvedere ai 3 o 4 milioni di profughi siriani che si sono rifugiati in Libano e in Giordania.

Parlamento StrasburgoMa voi direte: almeno quelli che hanno diritto d’asilo, in Europa sono a posto. Mi piacerebbe dire di sì, per una volta, però non sarebbe la verità. C’è il problema delle quote: la Commissione Europea preme per operare una suddivisione obbligatoria fra tutti gli stati membri. Alcuni di questi stati, soprattutto del quadrilatero ex Urss, obiettano che loro non vogliono imposizioni. La scelta dev’essere libera, che è come dire noi badiamo ai fatti nostri. E si alzano muri, come ai vecchi tempi, mentre qualcun altro – vedi Gran Bretagna – si dichiara disposta a prendere fino a 40.000 rifugiati. Siriani, dice il premier Cameron. O niente?

Coglie l’occasione al volo frau Merkel e cambia repentinamente l’atteggiamento fin qui tenuto dalla Germania, dichiarando: noi possiamo prenderne 100.000 all’anno per cinque anni. Siriani, perché sono istruiti, perché impareranno in fretta il tedesco e le regole del paese, visto che vogliono arrivarci con tanto slancio.
Mentre il battitore del Mercante in fiera tenta di spiegare alla Merkel la differenza fra integrazione e assimilazione, si attende il prossimo rilancio.