di Dario B. Caruso.
È inutile.
Credo nelle migliori intenzioni ma credo anche nell’incapacità di metterle in pratica.
Eppure non sembra un principio difficile: lasciare le cose che funzionano e intervenire su quelle da migliorare.
Mi si dirà – magari attraverso un tweet – che una riforma strutturale prevede disagi e assestamenti.
Vero.
Ma ci troviamo di fronte ad una squadra sportiva che vince il girone di andata e d’emblée decide di cambiare formazione, allenatore, schema di gioco e massaggiatore tralasciando i punti accumulati per ripartire da zero.
Assurdo.
Chi vive nel mondo della Buona Scuola sa a cosa mi riferisco.
Si parte con il nuovo anno scolastico con le stesse difficoltà dello scorso anno e, in aggiunta, ritardi e difficoltà donateci dalla Legge 107/2015.
È auspicabile che gli effetti positivi si vedranno nei prossimi mesi; per ora solamente mugugni, cavilli, impedimenti, ulteriore burocratizzazione, paragrafi da interpretare, domande di chiarimenti, risposte evasive.
Per fortuna però incominciamo con una certezza: il primo giorno di scuola che è anche una canzone appena uscita di Elio e le Storie Tese.
Mi prodigherò nel fare un’analisi del testo, poiché talvolta le opere più demenziali e giocose nascondono il buon senso che manca a chi si prende troppo sul serio.
IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA
(Elio e le Storie Tese)
Uè mamma, oggi è il primo giorno di scuola
Il cortile è affollato e mi scappa la pupù
sono molto emozionato, mi hanno messo in prima B
Nella prima strofa la tensione del giovane che si appresta ad oltrepassare la soglia di quello che potrà essere un vero inferno si riflette nella madre, ansiosa più del figlio.
Folla ed escrementi a sottolineare che i prossimi nove mesi saranno simili ad un girone dantesco.
Mamma lasciami la mano un bambino non son più
mamma tienimi la mano non conosco nessuno
Mamma stringi forte la mia mano
che non sono amico di nessuno
In questa seconda strofa si percepisce la difficoltà di tagliare il cordone ombelicale, quel vorrei ma non posso giustificato dal fatto che ci si trova di fronte a facce nuove. La paura dell’ignoto e l’incertezza nel futuro prevalgono sul senso di autonomia e sulla crescita.
Chi saranno i miei compagni
quello lì meglio di no
lo conosco dall’asilo e mi sta sulle balle
Ad un certo punto si fa avanti la paura del conosciuto che si vorrebbe evitare. Senza contare che sempre, nella vita, ci troveremo di fronte a situazioni e persone scomode e diverse da noi.
E c’è pure la pediculosi, i capelli sono pidocchiosi
Il timore del contagio è la malattia di questo ventennio. I pidocchi sono facili da debellare ma noiosi poiché deturpano l’aspetto fisico.
Sto perdendo dei denti, non ho ancora la erre
Son vestito elegante e mi prendono in giro
Il mio diario è brutto, mi consolo con l’astuccio
Mi vien voglia di piangere
Abbandono! Abbandono!
Questo è il primo momento di vera crisi per cui si paventa l’abbandono. Come se fosse normale arrendersi alle prime difficoltà, tra l’altro presunte. I denti che cambiano sono indice di crescita, la erre moscia diverrà particolarità col tempo e non difetto, il vestito e il diario sono figli della cultura dell’apparire, tipica degli anni Ottanta/Novanta e quindi dei genitori i quali l’hanno trasmessa ai bambini. È lecito piangere anche ai maschietti: trattasi di sensibilità visto che il genere è saltato dagli schemi.
Maledetto primo giorno di scuola
La mia vita per sempre sarà
Segnata da te, primo giorno di scuola.
di scuola, di scuola
maledetto il primo giorno di scuola
è finita la mia libertà
per sempre seduto in un banco
di scuola, di scuola, di scuola
Il ritornello è un’invettiva, violenta ma garbata, che fa leva sul senso della parola libertà. Si è liberi se non si hanno regole oppure se le regole esistono e sono condivise? L’immagine poi del banco visto come una cella da cui muoversi è impossibile rasenta il ridicolo. Anche se trattasi di luogo comune nell’immaginario collettivo.
Devo darmi una mossa fin da subito
perché il mio babbo mi ha detto “devi fare come me”
Ecco finalmente il padre, spesso poco presente nei rapporti con la scuola. Soltanto che in questo caso risulta una figura maldestra in quanto vede il figlio come propaggine personale e non come essere compiuto ed autonomo.
Tra vent’anni sarai laureato
poi il sussidio da disoccupato
Velata critica sulla società moderna che ti impone sacrifici non ripagati secondo meriti e merito.
Nel frattempo un compagno che non pensa al futuro
sta mangiando qualcosa che gli è uscito dal naso
è da un po’ che lo tenevo d’occhio
era un cappero color pistacchio
Questo passaggio rappresenta una verità per quanto disgustosa e poco edificante. Che il sottotesto si riferisca alla carenza delle mense scolastiche per cui ci si vada a consolare nelle produzioni proprie?
Benedetto intervallo, si potrebbe giocare
non ci viene concesso, da un severo commesso
nella scuola primaria, si chiamava bidello
era molto più bello
I pochi minuti di intervallo rappresentano lo sfogo. Ci si dovrebbe sgranchire, si potrebbe correre, giocare a palla, scherzare. Non sempre il collaboratore scolastico (anticamente bidello) permette queste attività: non è un cerbero ma semplicemente un esecutore di norme restrittive. Non chiediamoci perché i ragazzini sono continuamente apatici, attaccati al telefonino e si rompono un osso ogni tre per due.
Quanta sofferenza in un luogo deputato
all’istruzione e alla formazione degli uomini di domani
Ecco la verità più profonda: la scuola è percepita come luogo di sofferenza quindi soffrire significa crescere bene e diventare uomini giusti e formati per la società futura. Concetto da molti condiviso. A me pare vagamente medievale, ha il sapore della Santa Inquisizione.
E’ finito il primo giorno di scuola
e domani il secondo verrà
e poi altri tantissimi giorni
di scuola, di scuola, di scuola
io da questo primo giorno di scuola
francamente mi aspettavo di più
non è questo perché è il primo giorno
di scuola, di scuola, di scuola
Il brano si conclude con la prospettiva di una reiterazione per i giorni e gli anni a venire peraltro condita da una delusione del giovane il quale si aspettava di più.
Mi piacerebbe che la Scuola fosse intesa non come un bancomat, per ricevere servizi semplicemente premendo dei tasti, ma come un luogo d’incontro, cioè dove si incontrano le esigenze di tutti nel rispetto di tutti.
Vorrei una scuola buona piuttosto che una Buona Scuola.
Chissà.
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