Spettabile redazione,
ho visto l’edizione del telegiornale TG5 MEDIASET delle ore 20:00 del giorno 27 Agosto che presentava il servizio sulle persone migranti morte a causa delle disumane condizioni di trasporto per mare e terra. Il tema è tristemente entrato nella quotidianità e si rischia di restare indifferenti alla sofferenza di quelle vittime.
Io non lo sono e soprattutto non sono indifferente al linguaggio usato per descrivere le loro condizioni. Troppo spesso si abusa di paragoni con le condizioni degli animali. Nel caso di questo servizio ho sentito “morti come topi”, “stivati come carne da macello”. Il paragone con gli animali potrebbe avere un senso perché purtroppo miliardi di animali al mondo sono “carne da macello” e miliardi di topi muoiono uccisi da dolori lancinanti provocati dai veleni anticoagulanti usati negli interventi di derattizzazione o muoiono torturati nei laboratori: le immagini dei topi presentate nel servizio sono proprio riferite alle vittime della sperimentazione animale.
Quando ci si lamenta del fatto che certi esseri umani siano trattati come animali, si aziona il meccanismo della gerarchia delle oppressioni, per cui una crudeltà risulta più o meno accettabile di altre: costruire questa gerarchia crea le condizioni affinché ogni oppressione sia possibile. Usare l’oppressione esercitata sugli animali come termine di paragone per denunciare il trattamento degli esseri umani, equivale a legittimare questa oppressione: è come dire che non è permesso trattare gli esseri umani così ma gli animali sì.
Poiché essere “trattato come un animale” viene riconosciuto come qualcosa di inaccettabile, perché non decidere che neanche un animale, debba essere “trattato come un animale”?
Finché ci saranno animali “stivati come carne da macello” non dobbiamo stupirci di trovare esseri umani condividere la stessa sorte. La battaglia da affrontare, difficilissima da vincere ma doverosa da fare, è non stivare alcun essere, umano o non umano che sia, come carne da macello perché il macello è inaccettabile a priori.
Il linguaggio è parte integrante della cultura e non è mai casuale: veicola informazioni, idee, modi di pensare anche grazie all’uso dei termini carichi di un significato che va oltre il letterale per includere il metaforico. Linguaggio e pensiero si influenzano reciprocamente perché il pensiero si esprime anche attraverso il linguaggio e il linguaggio a sua volta ridetermina il pensiero: rivedere il linguaggio è allora molto importante perché aiuta a generare il cambiamento.
Chi parla male pensa male: se oggetto del suo pensiero sono gli animali, riferirsi a loro con espressioni discriminatorie e speciste è segno di un’arretratezza culturale che diventa sempre più difficile accettare.
Cordiali saluti.
Paola Re – Tortona (AL)