di Andrea Antonuccio.
«Si vede che in Italia non abbiamo più gli intellettuali di una volta»
Philippe Daverio, Lettera43.it
Sono sette (su 20) gli “stranieri” che assumeranno la guida dei più importanti musei italiani. Sono stati scelti, attraverso un bando internazionale, da una commissione ad hoc presieduta da Paolo Baratta, presidente della Biennale di Venezia.
Ecco i loro nomi: Eike Schmidt (Uffizi, Firenze), Sylvain Bellenger (Capodimonte, Napoli), James Bradburne (Brera, Milano), Cecilie Hollberg (Galleria dell’Accademia, Firenze), Peter Aufreiter (Galleria Nazionale della Marche, Urbino), Gabriel Zuchtriegel (Parco archeologico di Paestum) e Peter Assmann (Palazzo Ducale di Mantova).
Come era facile prevedere, le polemiche e i distinguo non sono mancati. Da Vittorio Sgarbi, che ha definito le nomine “un errore grave” e “una operazione di immagine”, a Cristina Acidini (ora si capisce il titolo, no?), già responsabile della Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale di Firenze: “Credo che con queste nomine, gli storici dell’arte che lavorano nei musei statali, professionisti di prestigio internazionale, siano stati molto sottostimati”.
Personalmente, non sono in grado di capire il valore delle scelte fatte dalla commissione, e avallate con grande entusiasmo dal ministro Dario Franceschini: “Si volta pagina. Sono scelte di altissimo valore scientifico che colmano anni di ritardi”. Addirittura.
Due considerazioni però posso permettermi di farle, da uomo della strada mediamente alfabetizzato. La prima è che i nostri musei, specialmente i più famosi, si sono spesso trovati nell’occhio del ciclone per orari di apertura cervellotici, scioperi quasi mai annunciati, chiusure improvvise e problemi di sicurezza. Provare dunque a cambiare verso (citazione colta…) potrebbe scuotere l’ambiente, chissà. E magari, già che ci siamo, eliminare clientele, parrocchiette, consulenze amicali e un certo provincialismo che, inutile negarlo, ci portiamo dietro da tempo immemore.
La seconda considerazione è questa: se l’Italia si è affidata a un bando internazionale, è auspicabile che lo stesso facciano anche gli altri Paesi europei. Dunque, per i “trombati” eccellenti di questa tornata c’è speranza di farsi valere in altri posti, magari in Germania, in Francia o negli Stati Uniti.
Che la cultura si contamini ed esca dai propri confini è augurabile, per tutti. Nel frattempo, vediamo come se la caveranno i nuovi arrivati. Diamo loro una chance, almeno fino al prossimo bando.
Ps: geniale, con una punta di amarezza, il commento sulla vicenda di Philippe Daverio, che si è chiesto perché non andiamo all’estero a prendere anche i nostri ministri. Io ci metterei la firma. E voi?