Né Grexit né Dexit

Soro Bruno 2di Bruno Soro
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“Qualora la creazione di una unione monetaria con una gestione dei bilanci lasciata di competenza agli Stati nazionali, ancorché soggetta ad un controllo esercitato a livello comunitario, generasse tensioni tali da provocare il crollo dell’intero sistema, anziché promuovere l’unione politicaessa potrebbe contrastarne l’attuazione.”
N.Kaldor, Gli effetti dinamici di un Mercato Comune, New Statesman, 12 marzo 1971 (nostra libera traduzione) (1)

 

 
Euro-exit. In più di un’occasione ho sostento che, a Trattati vigenti, l’adozione di una moneta unica si riduce, di fatto, per i paesi dell’Eurozona, ad un sistema di cambi fissi. Affinché questo sistema possa non implodere, necessiterebbe di un meccanismo automatico (al momento inesistente) di redistribuzione dei vantaggi di cui godono quei paesi (come la Germania, ma non solo) che esportano più di quanto non importino (2), a favore di quei paesi (prevalentemente concentrati nell’area mediterranea), che presentano un disavanzo commerciale negativo e la cui moneta non può più essere svalutata.  Inoltre, è opinione prevalente tra gli esperti di Diritto dell’Unione Europea che, fatta salva una modifica dei Trattati (sempre possibile, ancorché non facilmente attuabile), l’uscita dall’euro e/o l’espulsione di un paese che vi sia stato ammesso non è possibile (3).

Tant’è vero chel’ex Ministro all’Economia del Governo greco, YanisVaroufakis (bravoGrexit come economista, ma non altrettanto come politico), di fronte alla prospettiva di una estromissione del suo paese dall’Eurozona, ebbe a minacciare il ricorso alla Corte Europea di Giustizia per inadempienza dei Trattati. Tutta l’impalcatura europea, infatti, è orientata a trattenere i paesi in difficoltà e non ad estrometterli, e in quest’ottica trova spiegazione l’affermazione del Governatore della BCE Mario Draghi quando si è detto pronto “a fare tutto quanto fosse necessario” per salvare la moneta unica.

Ad eccezione della deroga permanente concessa dal Trattato di Maastricht alla Danimarca e alla Gran Bretagna–Paesi che in qualsiasi momento possono richiedere di voler adottare l’euro, ma che possono continuare a rimanerne fuori -, il combinato disposto degli articoli dal 121 al 124 del Trattato sull’Unione Europea prevede che l’ingresso nella moneta unica non sia una facoltà concessa agli Stati membri dell’Unione Europea, bensì un obbligo. I Paesi dell’Unione che ancora non hanno adottato l’euro sono assoggettati ad un periodo di deroga transitoria, al termine del quale la Commissione e la BCE (almeno una volta ogni due anni) riferiscono al Consiglio in merito al soddisfacimento delle condizioni poste per l’ingresso nell’euro, dopo di che il Consiglio stesso decide (a maggioranza) “quali stati membri con deroga soddisfino le condizioni e abolisce le deroghe degli Stati membri in questione”. L’abolizione della deroga comporta automaticamente l’ammissione all’Eurozona.

UE-exit. Il Trattato di Lisbona (entrato in vigore il 1º dicembre 2009) ha tuttavia introdotto la possibilità per i Paesi dell’Unione di chiedere l’avvio di una procedura per la fuoriuscita dalla UE. È di questa procedura che potrebbe avvalersi la Gran Bretagna qualora, nel referendum voluto dal Premier britannico David Cameron, dovesse prevalere il voto favorevole alla non permanenza nell’Unione Europea. In sintesi: allo stato attuale (e stante situazione normativa vigente), non si può uscire dall’euro rimanendo nell’Unione Europea. Poiché anche da noi, ancora recentemente, qualcuno ha proposto di indire un referendum volto a far uscire l’Italia dall’euro, se la permanenza nell’Eurozona è legata alla permanenza nella UE, una eventuale fuoriuscita dall’Unione (posto che la procedura possa andare in porto) comporterebbe la perdita della qualifica di Stato membro, con conseguente reintroduzione delle frontiere, delle dogane, oltre all’inevitabile restrizione alla circolazione delle merci e delle persone. Una prospettiva che mi auguro possa non verificarsi, non solo per l’Italia, che diverrebbe avamposto dei paesi africani, ma anche per la Gran Bretagna, che avrebbe tutto da perdere dall’intreccio di rapporti economici e finanziari che legano questo paese al resto dell’Europa.

Grexit e Dexit. In rete c’è chi si chiede: “e se a uscire dalla moneta unica fosse la Germania”? (4)

Al pari dell’uscita della Grecia o di qualsiasi altro Paese dell’Eurozona (o quand’anche si realizzasse l’«Europa a due velocità» ipotizzata dal Ministro all’economia della Germania Wolfang Schaueble), ciò comporterebbe l’implosione del sistema dei cambi fissi assicurato dalla moneta unica. Implosione alla quale farebbe seguito un periodo di instabilità economica, politica e sociale con grave danno sia per l’Europa (stante il fatto che il 70% dell’interscambio commerciale ha luogo all’interno dei paesi stessi della UE), sia per l’economia mondiale. Basti pensare che essendo l’euro la seconda moneta (dopo il dollaro USA) utilizzata negli scambi internazionali, l’eventuale implosione dell’euro provocherebbe un’immensa perdita finanziaria per quei paesi come la Cina che, in seguito al persistente avanzo commerciale, hanno accumulato nel corso del tempo un consistente «Fondo sovrano» (fondo nel quale confluiscono le sue riserve valutarie, una parte significativa delle quali è costituita da euro),il quale viene investito sui mercati finanziari. Non è un caso che sia la Cina, sia gli Stati Uniti (ma anche il Fondo Monetario Internazionale), abbiano esercitato una forte moral suasion sulla Germania e sui Paesi favorevoli alla Grexit, al fine discongiurare un esito negativo della trattativa per il salvataggio della Grecia.

EuroparlamentoEconomisti per l’Europa. Con il raggiungimento dell’accordo con il Governo greco, tuttavia, il pericolo di una nuova e imminente crisi del debito nell’Eurozona non è affatto scongiurato, dal momento che la maggior parte degli aiuti concessi alla Grecia serviranno per restituire i prestiti concessi (e giunti a scadenza) dal Fondo Monetario Internazionale e dalla BCE. A nulla sono valsi in questi anni i numerosi appelli rivolti dagli economisti ai responsabili delle varie istituzioni europee e dei singoli governi nazionali. Per non citare che gli interventi più noti, cinque anni fa trecento economisti italiani, francesi e spagnoli hanno inviato ai membri del Governo, ai rappresentanti italiani presso le istituzioni dell’Unione europea e del SEBC, ai rappresentanti delle forze politiche e delle parti sociali e al Presidente della Repubblica una «Lettera aperta»nella quale si denunciavail “profilo liberista del Trattato dell’Unione e dell’orientamento di politica economica restrittiva dei Paesi membri con un sistematico avanzo commerciale”. (5)
Il 3 agosto 2012,una settantina di economisti delle principali università italiane sottoscrivevano un’altra lettera aperta su «La crisi dell’Europa. Sconfiggere la recessione, cambiare strada finché c’è ancora tempo». (6)

Ad essa ha fatto seguito, nel settembre del 2013, il «Monito» di centoventisei economisti delle principali università europee, nel qualevenivastigmatizzata la “fantasiosa dottrina dell’austerità espansiva, per la quale le restrizioni dei bilanci pubblici avrebbero ripristinato la fiducia dei mercati sulla solvibilità dei paesi dell’Unione”. (7)

L’anno successivo, nell’imminenza delle elezioni europee, i Premi Nobel Joseph Stiglitz e Amartya Sen,dopo essersi dichiarati “fortemente in favore di un’Europa più unita che, alla fine del percorso, arrivi ad un’integrazione politica”, auspicavano una rapida realizzazione dell’unione fiscale e bancaria. (8)

Nell’aprile di quello stesso anno, ancora Joseph Stiglitz, l’economista francese Paul Fitoussy e altri dieci economisti – tra i quali James K. Galbraith, amico e consigliere di Yanis Varoufakis -, hanno sottoscritto un «Appello per il cambiamento» nel quale venivano condannate “le fallimentari strategie di politica economica che sono state perseguite sin dall’inizio della crisi, (strategie che) hanno aumentato la possibilità di un crollo non solo dell’Eurozona, ma di tutta l’Unione”. (9)
Poche settimane dopo, il quotidiano britannico indipendente The Guardian, pubblicava un «Manifesto per l’Europa» promosso dall’economista Thomas Picketty e da altri 14 economisti francesi,nel quale si ribadiva come fosse “giunto il momento di riconoscere che le istituzioni europee esistenti sono disfunzionali e devono essere ricostruite”. In esso si auspicava “una revisione dei Trattati con l’istituzione di una Camera parlamentare dell’eurozona elettiva, che consenta di superare lo stallo derivante dalle regole che prevedono l’unanimità dei capi di Stato e di Governo”. (10)

Il 23 settembre 2014, invitato a tenere una Lectio Magistralis alla Camera dei Deputati su “La crisi dell’euro: cause e rimedi”, il Premio Nobel Joseph Stiglitz ribadiva come l’euro sia stato costruito “sull’errore concettuale dovuto alla mancanza di meccanismi di aggiustamento (tassi di cambio fissi e tassi d’interesse variabili) e di redistribuzione dei vantaggi derivanti dalla moneta unica”. (11)

Infine, il 13 ottobre 2014, oltre trecento economisti italiani hanno firmato un appello nel quale si auspicava che l’Italia si facesse promotrice di una «Bretton Woods» per l’eurozona. In questo appello si suggeriva “di contrastare le asimmetrie dell’area euro rilanciando la domanda interna; di varare una politica europea di rilancio delle infrastrutture fisiche e digitali dei paesi membri; di armonizzare i sistemi fiscali eliminando l’elusione fiscale (regimi fiscali diversi per le imprese sono aiuti di stato mascherati); nonché di varare forme di unificazione politica improntata a democrazia e partecipazione attiva dei cittadini”. (12)

Kaldor e il «peccato originale». Non si può certo dire che il mondo degli economisti sia stato cieco e sordo di fronte alle difficoltà di una unione monetaria fragilee che non abbia cercato in tutti i modi di sollecitare un radicale cambiamento politico delle fondamenta dell’Unione Europea. Una Unione che ha visto nel corso degli anni aumentare le tensioni tra i paesi membri, che con i suoi 25 milioni di disoccupati non riesce a far uscire l’Europa dalla stagnazione e che, di crisi (del debito) in crisi, favorisce l’euroscetticismo e l’affermazione di forze politiche anti europeiste. Su tutti questi appelli, moniti e manifesti, spicca tuttavia la previsione, davvero lungimirante, del grande economista Nicholas Kaldor (1908-1986). In un articolo pubblicato sulla rivista britannica di sinistra New States man esattamente cinque mesi prima dell’implosione,nell’agosto del 1971, del sistema dei cambi fissi uscito dagli Accordi di Bretton Woods, e con trent’anni di anticipo rispetto all’avvento della moneta unica, Nicholas Kaldor ha lucidamente previsto tutti i limiti di una unione monetaria nella quale la politica fiscale, anziché essere gestita unitariamente a livello comunitario, fosse stata lasciata di competenza degli stati nazionali. (13)

Scritto a commento del Rapporto Werner (14) (che ha gettato le basi della futura Unione Europea), in quell’articolo egli individuava nell’unione monetaria delineata in quel Rapporto il «peccato originale» che avrebbe potuto (e tuttora potrebbe) condurre alla sua dissoluzione. “Come gli eventi hanno dimostrato – scriveva Kaldor, riferendosi al sistema di cambi fissi allora vigente -, alcuni paesi tenderanno ad acquisire crescenti (ed indesiderati) surplus commerciali nei confronti dei loro partner commerciali, mentre altri accumulano crescenti deficit. Tutto questo porta con sé due effetti indesiderati. Trasmette pressioni inflazionistiche da alcuni membri ad altri; e mette i paesi in surplus nelle condizioni di fornire finanziamenti in automatico ai paesi in deficit in scala crescente”. (15)

Il fatto di avere anteposto l’unione monetaria a quella politica– sottolinea Kaldor –, in assenza di un sistema fiscale centralizzato a livello europeo (e non la semplice armonizzazione dei sistemi fiscali come si sosteneva nel Rapporto Werner), nel caso in cui si verificassero gravi tensioni tra i Paesi (sul tipo di quelle sperimentate in questi ultimi anni a seguito delle «crisi del debito»),tale scelta potrebbe contrastare la realizzazione dell’Unione politica anziché favorirla.

Detto in altri termini, in assenza di un sistema automatico di redistribuzione dei vantaggi derivanti dalla moneta unica, i paesi con un surplus della bilancia commerciale si trovano a dover continuamente e progressivamente finanziare i paesi in deficit. Ma ciò, provoca inevitabilmente e in continuazione «crisi finanziarie» (a maggior ragione in presenza di uno spread che in una Unione monetaria non ha ragione di esistere) in quei paesi nei quali il debito pubblico diviene insostenibile. Né più né meno di ciò cheè accaduto nel caso della Grecia e che potrebbe accadere a tutti i Paesi dell’area mediterranea (Francia inclusa). Che avesse ragione Nicholas Kaldor?

 

(1) L’articolo citato nell’epigramma è stato richiamato (e parzialmente ripubblicato) sul sito on line curato dall’economista indiano V. Ramanan,The Case For Concerted Action. Post.keynesian Ideas For A Crisis That Conventional Remedies Cannot Resolve, il 6 novembre 2012.

(2) Pochi commentatori paiono consapevoli del vantaggio di cui godono, con la moneta unica, i paesi la cui bilancia commerciale è positiva;un vantaggio che persiste nel tempo in seguito al fatto che la loro moneta (non più esistente), non può rivalutarsi come accadrebbe in un sistema di cambi flessibili.

(3) Una tesi sostenuta tra l’altro anchedall’Ufficio legale della BCE, come si evince dal documento Withdrawal and Expulsion from EU end EMU, Legal WorkingPaper Series n. 10/12/2 0 09.

(4) Il 17 luglio scorso, sul sito BloombergView, l’economista indiano AshotaModyscriveva:Germany, NotGreece, Should exit the euro.

(5) La Lettera, inviata il14 giugno 2010,èdisponibile sul sito della rivista online di critica della politica economica «Economia e Politica».

(6) La «Lettera aperta sulla crisi dell’Europa», è disponibile sul sito www.das-motorrad-blog.de – EinLebenaufZweirädern.

(7) Monito apparso sul Financial Times il 23 settembre 2013.

(8) Ripreso su La Stampa del 16 aprile 2014 con il titolo: Noi per un’Europa più forte.

(9) Appello disponibile sul sito www.progressiveeconomy.eu

(10) Un «Manifesto per l’Europa», The Guardian, 2 maggio 2014.

(11) Disponibile sul sito della Camera: www.webtv.camera.it/archivio.

(12) Disponibile sul sito http://temi.repubblica.it/micromega-online.

(13) N. Kaldor, The Dynamic Effects Of The Common Market, New Statesman, 12 marzo 1971.

(14) Il Rapporto Wern è stato pubblicato sul Supplemento al Bollettino n. 11/1970 delle Comunità europee. In esso viene prospettata la costruzione dell’Unione economica e monetaria in tre stadi, ciascuno della durata di tre anni, che avrebbero riguardato: la realizzazione di una moneta unica, l’armonizzazione del sistema fiscale e il controllo comunitario sui bilanci pubblici nazionali. Si tratta, come si può vedere, del percorso che, dopo l’approvazione del Trattato di Maastricht nel 1992 (che ha lasciato la competenza della politica fiscale agli stati nazionali), ha portato all’attuazione della politica monetaria sotto la responsabilità della Banca centrale europea e alla nascita dell’euro. Inoltre, in quel Rapporto si sosteneva che “l’adozione della moneta unica avrebbe giocato a favore della irreversibilità del processo unitario”.

(15) N. Kaldor, articolo citato, p. 202.