Europa: come ne esci?

Patrucco Giancarlodi Giancarlo Patrucco
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Dopo il disastro combinato con e dalla Grecia in queste ultime settimane, il problema ormai non è più la Grexit, bensì come la Comunità Europea esce dal vicolo in cui si è cacciata. Badate bene: non si tratta di un vicolo esclusivamente economico-finanziario. L’Europa che storceva il naso e rinculava di fronte alla perdita di fiducia nei confronti di Atene, si trova ora, per una sorta di contrappasso, lei stessa alle prese col medesimo problema.
Persino dal suo interno giungono pericolosi scricchiolii. Cameron sta portando la Gran Bretagna a un referendum che mette in dubbio la partecipazione alla U.E., Marine Le Pen capeggia il fronte del no a cui partecipano le destre reazionarie di molti Paesi non solo dell’area continentale, ma anche di quella mediterranea. L’unica che fa fronte è la Bce, ma non sappiamo per quanto tempo Mario Draghi riuscirà a puntellare un sistema così fragile e così esposto ai venti nazionali e internazionali.

Insomma, serve una virata, pronta, veloce, idonea a contrastare le spinte centrifughe,Parlamento Strasburgo ma non vediamo all’orizzonte leader come Adenauer, De Gasperi, Monnet, Schuman, in grado di coagulare intorno a loro le forze necessarie per cambiare. La stessa cancelliera Merkel, dopo aver pesantemente contribuito a creare un’Europa a misura della “area del marco”, ora mostra la corda e paga la sua lungimiranza a senso unico con le contestazioni che le muovono persino in patria. Il PSE sembra l’ombra di se stesso, Hollande ha alzato la voce di un’ottava per sostenere Tsipras, però si appaga facilmente del ruolo che la Merkel gli fa giocare: l’asse Parigi-Berlino, dove lei sta in carrozza e lui regge l’asse del cerchione. Ci ha provato anche Renzi, ma ci vuol altro. Nessuno si lascia dire dove deve andare l’Europa da uno che si porta sulla schiena più di 2.000 miliardi di debiti. Una pacca sulla spalla e via. Vai a finire i compiti a casa, Matteo.

Qualche tempo fa, quando la questione greca già preoccupava e Tsipras si affacciava allora alle porte, Guido Rossi scrisse su “Il sole 24 ore” un articolo intitolato “Perché all’Europa serve un manifesto di Ventotene”. Non so se avete mai letto integralmente il manifesto elaborato da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi mentre erano al confino nel ’41. Vasto programma, direbbe qualcuno, che non si è neanche iniziato a realizzare e che oggi, viste le condizioni date, sembra ancora più irrealizzabile di prima. Ma, considerato che dal vicolo bisogna uscire, forse varrebbe la pena che l’intellighentzia europea ci provasse.

Noi, qui, più modestamente, ci limitiamo ad indicare alcuni dei nodi più urgenti da risolvere. Tanto urgenti che almeno le toppe più grosse andrebbero messe subito.

Cominciamo dall’assetto economico-finanziario, che è stato quello più stravolto dalla crisi della globalizzazione: possiamo reggere l’impatto di una moneta unica che non è espressione di economie convergenti, di indirizzi industriali omogenei, di sistemi di tassazione univoci, di una distribuzione solidale fra le aree più progredite e quelle più arretrate dei vari Paesi? Certo che no. Infatti, abbiamo visto come va a finire: ognuno si fa gli affari propri e l’area UE è diventata territorio di competizione, non di equiparazione. Si controllano, ossessivamente, debito e deficit, ma questo è tutto ciò che la regia europea sa fare. Viene il dubbio che sia anche tutto ciò che vuol fare, perché questo iperdirigismo a senso unico ha come conseguenza che i Paesi forti diventino sempre più forti e i Paesi deboli diventino sempre più deboli. Con gli stress che ne conseguono.

E che dire della politica estera, comprendendo in essa anche quella della difesa? All’indomani della nomina della Mogherini ad Alto Rappresentante Europeo, molti hanno sottolineato la sua inadeguatezza a ricoprire quel ruolo così delicato. Si sono dimenticati però di dire che i principali paesi europei – Germania, Francia e Gran Bretagna – non vogliono qualcuno che si sovrapponga alla loro rappresentanza in sede internazionale. La Gran Bretagna si tiene stretto lo storico asse con gli Stati Uniti e persegue i suoi interessi strategico-economici su tutti gli scacchieri, basandosi sull’eredità della sua storia coloniale. La Francia resta sempre legata ai ricordi ormai un po’ appassiti della sua grandeur, conducendo spesso un’azione diplomatica parallela a quella europea, soprattutto nelle zone di influenza francofona. La Germania, poi, ha da tempo intrapreso un’intensa attività diplomatica e di scambio commerciale che l’ha portata ad esempio a partecipare al tavolo dell’intesa sul nucleare tra Stati Uniti e Iran. Faceva il +1 di 6, ma era quanto bastava per sistemarsi in prima fila alla conquista del ricco mercato iraniano.
Ecco, se le cose continueranno così, senza una politica estera e un esercito comuni, che volete che faccia l’Alto Rappresentante? Tappezzeria.

Esemplare, in questo, la gestione dell’immigrazione clandestina. Se la transumanza avviene per mare, sbarcando quasi sempre in Italia, è l’Italia che ci deve pensare, come da trattati. E se sono centomila, duecentomila, un milione, due? E se questa moderna tratta degli schiavi si risolve ogni tanto in tragedia? Abbiamo avuto le risposte: una piccola quota a testa, pure discrezionale; Ventimiglia; il muro che l’Ungheria vuol costruire ai confini con la Serbia; il gelo delle parole di Cameron; lo shock del programma televisivo e della risposta di Merkel alla bambina.

Potrei andare avanti per un pezzo, ma credo che bastino queste annotazioni per farci una domanda: l’Europa c’è, oppure si fa sentire soltanto quando qualche paesello stralunato chiede di tagliare il debito per non morir di fame?