di Dario B. Caruso.
Vuol dire che al Liceo ho avuto un’insegnante di Lettere, come tutti.
Un’insegnante normale, come tante.
Un’insegnante che ti faceva una domanda e gongolava della risposta giusta come se il merito fosse tutto suo.
Un’insegnante che ti faceva una domanda e gongolava ancor di più se dall’altra parte c’era silenzio, come se la difficoltà altrui fosse ossigeno e vita per sé.
Ricordo che più o meno una volta al mese, quando ci affibbiava un compito scritto, qualsiasi tema, di qualsiasi argomento trattassi, attualità, libri, musica, cinema, filosofia, sport, pizza e gastronomia in genere, sul foglio protocollo alla consegna della correzione compariva cinque e mezzo, talvolta cinque al sei quando l’umidità scollava le sue cellule cerebrali.
Non era un voto, era un tatuaggio che mi era stato impresso il primo giorno di quella terza liceo fino al termine della quinta.
Non so perché.
Quando i miei genitori si presentavano al colloquio, lei con flemma britannica diceva che ero così educato e che avrei potuto fare di più.
Abbi il coraggio delle tue parole e dei tuoi pensieri: “Caruso!?… Caruso!?… ah sì!… che scansafatiche!” oppure “Vostro figlio è inetto e rincoglionito…”.
Sono i misteri della Scuola, buona o cattiva che sia.
Alcuni giorni fa, sui giornali locali trovo la notizia della scomparsa di quest’insegnante.
Nel pezzo si fa riferimento alla sua lunga e onorata carriera in alcuni tra i più prestigiosi Istituti Superiori della Provincia di Savona e alla sua dedizione al lavoro nonché al suo impegno civile nel volontariato e presso alcune associazioni benemerite.
Ho provato ad avere un atteggiamento di distacco, di assenza di emozione, un po’ come la giovane Morales nello spettacolo “A Chorus Line” che aveva odiato a tal punto Mr. Karp da piangere alla notizia della sua morte proprio perché non sentiva nulla (guarda il video in basso).
Ma non credo di esserci riuscito fino in fondo.
Essere flessibili, probabilmente, è una dote.
Chissà che non lo debba in parte anche a lei.
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