di Tony Frisina e Antonio Silvani.
Ritorniamo in piazza Rattazzi (o, per i poveri ad spìrit lisandrén, della Libertà) per sottolineare uno dei tanti scempi che nel tempo hanno ridotto la piazza centrale della nostra città nel deplorevole stato in cui si trova ora.
Nell’all.1a si possono apprezzare (evidenziate in rosso) tre belle case, del tutto coerenti con l’architettura d’allora della piazza; le possiamo anche vedere da un’altra angolazione, nell’all.1b (da notare u tulón, il tram, che sta passando davanti).
Queste case resistettero, facendo bella mostra di sè, fino a quando, verso la fine degli anni ’30, nella stanza dei bottoni delle Regie Poste e Telegrafi, fu stabilito che la sede alessandrina sita in via Cavour (vedi all. 2) fosse troppo piccola per le esigenze della nostra città e fu quindi deciso che piazza Rattazzi sarebbe stata la locazione più adatta per la nuova sede.
Le case di cui sopra furono abbattute per far posto al nuovo palazzo delle Poste e Telegrafi, progettato dall’architetto romano Franco Petrucci e terminato nel 1941 (vedi all. 1c e 1d).
Per la cronaca la vecchia sede di via Cavour fu occupata per tantissimi anni dalla Scuola Media Statale Cavour ed in seguito, in epoca più recente, dalla Camera del Lavoro, ancora in situ.
Ma torniamo alla nuova sede delle Poste: questo parallelepipedo, is(t) cardansón (questa brutta cosa grossa ed ingombrante), is(t) cašermón (questo casermone) sarà stato in puro stile razionalista e per questo magari farà godere qualche architetto dalla bocca buona (qualcuno di loro è già preda di orgasmi continuati per l’erigendo ponte sul Tanaro…), ma, se non fosse stato per il mosaico del Severini che lo impreziosiva, se lo confrontiamo con le case abbattute per fargli posto, appare chiaro, espresso con un’espressione tipica alessandrina, ch’a sùma pasà per dabón da u sambajón a la mèrda! (che siamo passati per davvero dallo zabajone alla merda)!
Persino i fasci littori (indicati dalle frecce) posti sulla facciata (vedi all.1d) sembravano quelle antiestetiche chiavi (o catene, o come cavolo si chiamano) usate in edilizia per consolifare le strutture.
Parliamo ora del mosaico, che è meglio.
Una delle opere più belle dell’artista Gino Severini (cofirmatario, fra l’altro, del “Manifesto del futurismo” di Tommaso Marinetti) è il mosaico del palazzo delle Poste e Telegrafi di Alessandria: unico nel suo genere, lungo ca. 37 metri ed alto m. 1,20, corre lungo tutta la facciata dell’edificio, arricchendolo e rendendolo unico nel suo genere. (vedi in all.3a un “assaggio”).
In questo mosaico viene raccontata la “Storia delle comunicazioni” o, meglio ancora,
“La Storia dei servizi delle Poste e dei Telegrafi”, come leggiamo sul sito www.tastingtheworld.it/alessandria-mosaico-palazzo-delle-poste-di-gino-severini/5193/ (consigliamo, a prescindere da qualunque ideologia politica, anche la consultazione di
http://www.artefascista.it/alessandria__fascismo_architett.htm).
Si legge ancora sul sito: “… è un’opera molto interessante che si divide in tre parti: quelle laterali rappresentanti i continenti (a sinistra Oceania e Asia, a destra Africa e America) e quella centrale, più lunga rispetto alle altre due, dedicata alla storia delle poste e del telegrafo. Severini illustra la città moderna, dominata da un dinamismo funzionale e crescente sviluppo della meccanizzazione dei servizi e dei trasporti”.
Questo mosaico è pure stato oggetto di una gara di menefreghismo tra le Poste Italiane ed il Comune di Alessandria: biciclette, motocicli, espositori (vedi all. 3b) venivano impunemente appoggiati contro l’opera magari sotto gli occhi indifferenti di chi dovrebbe controllare e provvedere (abbiamo le foto).
Il maltempo e la mancanza di un adeguato riparo causarono la caduta delle prme tessere, che Tony, bontà sua, raccoglieva quotidianamente (lavorando lì a fianco poteva farlo) e consegnava all’ufficio delle poste (vedi all. 3d).
Anni fa, perché questa agonia si sta trascinando ormai da anni, gli scriventi organizzarono alla Casetta, assieme alla Circoscrizione Europista (prima che una legge delle palle cancellasse le circoscrizioni), una serata dedicata al mosaico del Severini, con una lectio magistralis del Prof. Mario Mantelli.
Erano persino presenti il sindaco Fabbio ed il Direttore delle Poste di Alessandria, ma il pubblico non brillava certamente per il numero di presenze: dire che c’erano venti persone è esagerare!
Qualcosa è stato fatto recentemente anche grazie ai continui sforzi di Tony: come si evince dall’all. 3C, una cancellata protettiva impedisce agli imbecilli (perchè solo questo è il loro nome) di appoggiare le bici al mosaico ed è stato portato avanti un piccolo restauro… ma non basta ancora: alcune tessere iniziano a distaccarsi e, visti i tempi filistei che corrono e le tenebrose presenze purtroppo umane (anche di giorno) che “deliziano” la nostra città, sarebbe opportuno pensare anche ad una protezione.
Ma perchè certe opere (alcune delle quali famose a livello mondiale, come il mosaico del Severini) sono trattate così male sia nella nostra città che in Italia.
Forse perchè appartengono ad un passato che, pur essendo storia, è stato messo nel dimenticatoio da chi, caratterizzato da una limitata capacità di raziocinio, pone sullo stesso piano (o fa di ogni erba un fascio… mai fu azzeccato questo termine) politica, arte e, a volte anche, progresso.
Prendiamo per esempio la fontana dell’Impero (vedi all.4) sita proprio in un pezzo (parlo di questi tempi) di torbido Bronx alessandrino, di fronte alla stazione ferroviaria.
Faceva la sua figura un tempo, con le aquile bronzee sulla sommità (vedi all.4a).
Poi le aquile furono strappate via, come furono eliminate le scritte laterali, lasciando un antiestetico solco vuoto (vedi all. 4ba)
In un periodo abbastanza recente dei faretti (all. 4ba) illuminavano di luci colorate la fontana ancora felicemente funzionante (vedi all. 4c).
Oggi assistiamo, anche in questo caso, ad una scena di totale squallore: ecco la gloriosa fontana dell’Impero come colpisce l’occhio (è un vero pugno) di chi entra in Alessandria dalla stazione (vedi all.4b).
L’unica localizzazione di questa fontana è quella di fare da appoggio ai glutei di una “pittoresca” fauna alessandrina e foresta… tempo fa in questo cenacolo di gentiluomini c’è persino scappato il morto…
E chi di dovere che fa? Una beata fava (come sempre inflessibile contro di noi… orbo o patologicamente comprensivo nei loro confronti…)!
Avremo ancora modo di parlare di questi scempi perpetrati sia nei giardini che nel resto della città.