Si trovava da qualche parte nelle nostre campagne un agglomerato di vecchie case in rovina sui confini del quale ci sono due graziose villette ristrutturate. Diciamo che per non rompere le scatole a nessuno il luogo si trova tra Alessandria e Predosa, così diventa più difficile individuarlo. Lì s’incontravano due nuclei di persone per un posto un po’ bizzarro, inquietante o avventuroso secondo i punti di vista.
Nella prima casa a sinistra rispetto al punto di vista di chi arriva, ci viveva una famiglia “normale” (lui, lei e un figlio più o meno adolescente), nell’altra un gruppo di amici che usavano quella cascina dismessa per fare bisboccia nel week-end, spesso coinvolgendo i vicini. Così un sabato pomeriggio capitò che il signor Ercole (il “lui” della famiglia) decidesse di fare il boy scout e andare in giro, armato di scarponi militari e torcia elettrica, a esplorare l’embrione di villaggio in disfacimento. Entrò in una delle case abbandonate e, tra vecchi armadi sfondati e cumuli di mattoni, avvistò una porta di legno aperta per metà che sembrava condurre a una sottostante cantina. Puntò la pila e si diresse con una certa apprensione verso l’ingresso che si apriva sul buio più pesto. In realtà la luce portatile gli mostrava una scala discendente in un ambiente meno disastrato di quello della superficie. Allora Ercole, anche per onorare il suo nome di battesimo, si prese coraggio e andò giù, badando bene a dove metteva i piedi.
Lo accolse una fantastica cantina piena di ragnatele, forse topi e serpentelli, ma soprattutto colma di numerose botti di vino. In preda alla sindrome dell’oste improvvisato, schizzò a casa per tornare da lì a poco con un bicchiere e alcune bottiglie. Con cautela riuscì a forzare il rubinetto di una botte e a spillare un po’ di vino. E lo assaggiò
Ercole non era uomo da degustazioni – e tutto sommato non lo è tuttora. Soprattutto da degustazioni estemporanee dentro la vecchia cantina di una casa abbandonata. Ma quel vino gli sembrava buonissimo e allora giù, un altro bicchiere. E dopo ancora un altro. Forse un altro ancora. Oltretutto il vino era freschissimo. Già, proprio fresco di cantina. Insomma, Ercole sorpassò il mezzo litro e di colpo la tendina gli si abbassò. Avvertiva proprio la necessità di sdraiarsi. Solo per cinque minuti, accidenti. Se sua moglie lo avesse colto in quello stato, gli avrebbe tolto la prima pelle a suon di mattarello.
Così Ercole schiacciò il classico pisolo. Non tanto breve e intenso. Soprattutto popolato. Con un tipo alto e grigiastro che gli si avvicinava mentre stava russando e lo scrollava per la camicia, dicendogli con autorità: «Lo devi bere solo tu, tu e la tua famiglia. Guai se sveli a qualcuno il segreto della cantina».
Chissà dopo quante ore si svegliò Ercole? In ogni caso la luce di fuori era cambiata di botto e allora l’uomo si affrettò a spillare altro nettare e a riempire le bottiglie che si era portato appresso. Poi tornò a casa come se nulla fosse.
Alla sera, siccome era di sabato, quelli della casa adiacente arrivarono in tanti per una delle solite, epicuree riunioni. Ercole azzardò in silenzio che l’occasione appariva favorevole per approfondire l’amicizia e per stupire il prossimo con quel grandioso effetto speciale che era il vino della misteriosa cantina. Del tipo grigiastro apparsogli in sogno si era già dimenticato. Peraltro si trattava solo di un sogno. Alla moglie raccontò una storiella e, dopo avere arraffato un paio di bottiglie del vino da poco spinato, uscì e puntò verso la casa dei vicini già risuonante di risate e schiamazzi festaioli. Si presentò ed esibì come lasciapassare il prezioso nettare di cui ben conosceva gli effetti e il gusto soave.
«Accidenti, non ho mai bevuto una cosa così buona!», esclamò il panciuto padrone di casa. E, mentre gli altri si univano alla degustazione, dall’esterno – anzi, da una delle vecchie case in rovina – si alzò un intenso urlo di rabbia, subito seguito da uno spaventoso e lacerante boato. Tutti si precipitarono fuori per capacitarsi di cosa stesse succedendo. E dall’altissima nube di polvere e dal rumore di cedimento di logoratissime arcate murarie, capirono che una delle antiche abitazioni stava crollando davanti ai loro occhi.
Solo Ercole però intese di quale casa si trattasse. Solo lui sapeva chi aveva urlato. E solo lui, unico in quel gruppo al quale si era aggregato da pochi secondi, tornò all’indomani a essere astemio.
Dove l’ho sentita questa storia? Ma da Ercole, naturalmente. Non ci crederete, non vive più in quella casa – quel piccolissimo borgo adesso è del tutto abbandonato e pericolante – e ha aperto un’osteria in collina. Lui e la moglie, il figlio lavora all’estero. Ci puoi bere del vino stupendo, ma lui continua a dichiararsi astemio.
La prima volta che l’ho visto, dopo un po’ mi ha sussurrato: «Lei è quello che scrive sui fantasmi? Vorrei forse assaggiarle una cosa. Un passito straordinario».
L’ho fatto e lui mi ha detto: «Dicono che questo vino fa sognare. Sogni non tanto belli».
Poi mi ha raccontato la storia.