Le elezioni di mezzo

Patrucco GiancarloGiancarlo Patrucco
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Mi fa sorridere chi continua a dire che la tornata elettorale di due giorni fa “non ha rilievo politico nazionale” e “non implica alcun giudizio sull’operato del governo”. Mi fa sorridere almeno quanto Renzi che se ne va in Afganistan, come a mettere qualche migliaio di chilometri tra chi volesse prendersela con lui.

Veniamo da tre presidenti del Consiglio non usciti dalle urne, stiamo mettendo in piedi una riforma costituzionale e una riforma elettorale, il Paese pulsa come un’aorta sotto pace maker, e veramente qualcuno pensa che votare per sette regioni, più una manciata di comuni capoluogo, non abbia niente a che vedere con la situazione nazionale? Certo, l’esito non può essere scambiato con un giudizio sul governo nazionale, ma può sicuramente fornirci ragguagli e informazioni sugli sviluppi politici attuali e futuri. Diciamo che si tratta, al modo italico, di una tornata comparabile con le elezioni di medio termine americane. Basta saper cogliere gli elementi significativi e lasciar perdere la fuffa degli spot elettorali e delle declamazioni locali.

Andiamo a vedere, allora, cosa queste elezioni hanno detto-suggerito alle formazioni politiche in campo e agli elettori, votanti o astenuti. Lo so, avremmo bisogno di elementi di approfondimento, come le diagnosi dei flussi, i raggruppamenti per fasce d’età, le informazioni sui pregressi orientamenti di chi stavolta non è andato a votare. Insomma, di tutto il marchingegno che permette di smontare i dati di voto e vedere cosa ci sta dietro. Ma siamo un giornale di provincia, quindi non possiamo pretendere mezzi che non abbiamo. In mancanza, ci mettiamo il naso e qualche sana prudenza nelle valutazioni.

Cominciamo, come si deve, dal più grosso: il PD. Ho sentito dire, dai suoi quadri dirigenti, che sono soddisfatti. Che all’inizio dell’era Renzi il conto delle Regioni era 6 a 6 col centrodestra. In due tornate, il risultato fa 10 a 2. Come non esserne felici? La Liguria? Un incidente di percorso, determinato dall’ossessione compulsiva della divisione a sinistra. Il caso De Luca in Campania? Intanto ha vinto. Poi si vedrà. E, con la Campania, il PD ha fatto man bassa del Meridione.

Io devo aver messo degli occhiali diversi, oppure non ci sento bene come prima, ma tutto questo ottimismo mi pare – e spero – sia di maniera. I dati PD danno inequivocabilmente sostanza a problemi vecchi, mai risolti, e a problemi nuovi, da affrontare.
Cominciamo dai numeri. Il PD perde voti rispetto alla tornata europea e anche per via dell’astensione in cinque regioni: Veneto, dove l’uscente Zaia doppia senza sforzo la renziana Moretti; Liguria, dove la renziana Paita perde di brutto da un Toti che aveva la faccia stralunata di chi non riusciva ancora a crederci, neanche a urne chiuse; Umbria, dove le prime proiezioni hanno fatto ballare sulla corda la Catiuscia Marini, fino a un liberatorio 43 a 39, Toscana e Marche, dove vincono non-renziani. Recupera voti, invece, nelle altre due Regioni, Campania e Puglia, entrambe meridionali.

Qui si mostrano i problemi. Quelli grossi, perché la fotografia del Partito DemocraticoLinus che ne vien fuori non sembra proprio collimare con quella che Renzi vorrebbe farci vedere. Il “Partito della Nazione” riduce assai il suo potere evocativo e la sua propositività, se non riesce a conquistare nemmeno un quarto dei voti espressi in Veneto, non convince in Lombardia e si spacca in Liguria, perdendo malamente. A Milano c’è la finanza, in Lombardia e in Veneto c’è la manifattura.
In Sicilia ci sono i viadotti che crollano. Una pessima istantanea da associare a una vittoria elettorale.

Un conto è Renzi, un conto è il Governo, un altro conto sono i territori. Ci vuole una classe dirigente intermedia che al momento non si vede e, per creare la quale, bisognerà entrare nei meccanismi di selezione interni. Se, poi, verrà fuori che il PD non è il primo partito votato dai giovani, come credo, forse anche Renzi dovrà modificare qualcosa nei suoi progetti di riforma. Non credo che gli abbia fatto bene il trattamento vergognoso riservato ai pensionati per bypassare la sentenza della Consulta, e neanche la battuta infelice sul sindacato unico. Ma, soprattutto, incidono sull’elettorato giovanile le polemiche sulla Buona Scuola, i tentennamenti sul reddito di cittadinanza, la disoccupazione che non cala.

Qui si fanno avanti i 5 Stelle. Un po’ meno “grillini” ma sempre ruspanti, crescono in maniera uniforme e sembrano giovarsi di una classe dirigente intermedia trovata in loco. Giovani virgulti che si permettono il lusso di mettere sotto candidati ben più esperti e noti, sorretti da macchine elettorali sostanziose. Il secondo partito nazionale, come dice Grillo? Può darsi ed è probabile che i sondaggi che seguiranno ce ne diano conferma.

Il futuro che li aspetta è nelle loro mani. Se entreranno nelle istituzioni locali senza arricciare il naso per il disgusto. Se tratteranno sul loro programma senza la paura di contaminarsi. Se loro e i loro mentori smetteranno di mostrarsi altezzosi, sprezzanti, irridenti, provocatori. Se, in sostanza, partiranno dall’Italia com’è e non da come la vorrebbero, hanno strada davanti. D’altronde, se l’Italia fosse come la vorrebbero, che ci starebbero a fare loro intorno?

Chiudiamo con il centrodestra. Brevemente, perché hanno già detto tutto da soli. Ci vogliono due proposte alternative, di sinistra e di destra; no, si vince al centro, raggruppando i moderati. Il leader del centrodestra è Salvini, lo dicono i risultati; no, un esponente di destra non batterà mai Renzi. Il leader lo sceglieranno gli elettori; no lo indicherà Berlusconi (se lo trova).

Tra tutti, chi ha giocato la carta più pesante è stato l’on. Quagliariello, testa fina del Ncd. Con l’Italicum che premia le liste per noi non c’è spazio. Quindi, ravvisiamo l’opportunità di premiare le coalizioni. In questo modo, al primo turno ognuno giocherà la sua partita. Poi si vedrà.
Si vedrà cosa, onorevole? A noi poveri elettori sembrava che l’Italicum fosse stato congegnato per dare risposte immediate: la sera dello spoglio, si saprà subito chi ha vinto e chi ha perso. D’altronde, lo ha votato anche lei così, no?

Ah, dimenticavo la faida interna al Pd. Centrosinistra e sinistra estrema, oppure sinistra e destra, mettetela come vi pare, ma si tratta di un argomento scabroso, complicato, che ha bisogno di una riflessione a parte. Provvederemo. Nell’attesa, ci accontentiamo di registrare le dichiarazioni di chi governa gli organismi parlamentari: chiunque non vota la fiducia al suo Governo, si mette fuori da solo.
Vendola ha capito subito dove si sarebbe arrivati. Non accalcatevi alle uscite.