di Tony Frisina e Antonio Silvani.
Oggi si chiama piazza della Libertà, prima della Liberazione si chiamava piazza Vittorio Emanuele II, qualcuno la chiamava anche piàsa dla Lënna (piazza della Luna), per via degli orologi posti sul municipio, di cui uno mostra appunto le fasi lunari e, proprio per questo, questa piazza era anche chiamata piàsa dj’arlóri (piazza degli orologi)… da non confondere con Piazza Garibaldi, o piàsa Savónna (piazza Savona), detta anche piàsa dl’ arlóri (piazza dell’orologio)… uno solo.
Una piccola parentesi: racconta la leggenda che gli amministratori di Alessandria, quando furono costruiti gli orologi sul municipio, abbiano cavato gli occhi all’artigiano artefice di quelle meraviglie, perché non le ripetesse da altre parti. Ma perchè la nostra povera città ha (quasi) sempre avuto amministratori a cui piacevano più i rotti che gli accomodati?
Chiusa la parentesi.
La stramaggioranza degli alessandrini chiamava però la piazza del municipio piàsa Ratàs (piazza Rattazzi) per via del monumento al grande statista alessandrino Urbano Rattazzi (vedi all. 1).
Il monumento a Rattazzi, opera dello scultore Giulio Monteverde, fu inaugurato nel 1883 (vedi all. 2 e 3a) e, in ottemperanza alla squallida iniziativa del “ferro alla patria” (di sicuro tra poco lo farà anche questo governo), fu smantellato e fuso nel 1943.
Questo monumento era veramente bello: statua e basamento si notavano per la loro imponenza, ma erano pure maestosi l’inferriata che lo circondava ed i quattro grippioni posti agli angoli del monumento.
In verità si chiamerebbero grifoni, leggendarie creature alate con il corpo di leone e la testa d’aquila, ma gli alessandrini li chiamavano confidenzialmente grüpión (grippioni) che in dialetto alessandrino significa sia mangione, con la testa nella greppia (anche in senso figurato) che stupido, sempliciotto.
Ma chi era Urbano Rattazzi?
(cronologia.leonardo.it/storia/biografie/rattazzi.htm – http://storia.camera.it/deputato/urbano-rattazzi-18100629/governi)
Urbano Rattazzi (vedi all. 3A e 3c) nacque in Alessandria nel 1808. Avvocato in Alessandria e Casale, venne eletto deputato nel 1848 (nel primo parlamento subalpino di Carlo Alberto) e mantenne questa carica ininterrottamente fino al 1874, per ben undici legislature.
Sia nel Regno di Sardegna che nel neonato Regno d’Italia, fu più volte Presidente della Camera e Presidente del Consiglio, gestì i ministeri per gli Affari Ecclesiatici e di Grazia e Giustizia (più di una volta), degli Interni (più di una volta), degli Affari Esteri, delle Finanze.
Presentò ben 103 progetti di legge.
Si spense a Frosinone nel 1873.
Con Cavour è universalmente considerato uno degli statisti più importanti, più famosi e più validi di tutto il periodo risorgimentale.
Fu chiamato “l’avvocato dei poveri” in quanto in una legge (detta appunto “Legge Rattazzi”) furono istituiti, per i non abbienti, quelli che oggi chiamiamo gli avvocati d’Ufficio.
Urbano Rattazzi (e questo per noi è un suo enorme merito) non fu ben visto dalla Chiesa perché intorno al 1848 fu intransigente nei confronti delle autorità ecclesiastiche, arrivando addirittura a minacciarle d’arresto qualora nelle prediche in chiesa non avessero cessato di attaccare le nuove istituzioni liberali del Piemonte Albertino… Urbòn, vén šü per piašì! (Urbano, vieni giù per piacere!).
Ma non è tutto, intorno al 1855, visto il tragico vuoto che caratterizzava le casse del Regno d’Italia che emetteva i primi vagiti, ottenne che fosse effettuata la confisca di tutti i beni della chiesa (esclusi chiese, istituti religiosi, seminari, conventi, ecc.) del territorio nazionale, sicuro, disse, che nel giro di dieci anni la chiesa avrebbe recuperato… si sbagliò: i preti si rifecero in meno di cinque anni!
Oggi tutti, o quasi, i partiti politici, non farebbero mai una cosa del genere, anzi con l’otto per mille ingrassano le casse ecclesiastiche solo per captatio benevolentiae e, di conseguenza, per avere dei voti!
Come abbiamo detto il monumento a Rattazzi fu smantellato e bisogna aspettare la fine del 1900 per avere l’attuale accrocco (vedi all. 4).
Sulla statua nulla da dire, è un’opera di Ferruccio Pozzato (per la cronaca anche autore dei portali della chiesa della Madonna del Suffragio nel quartiere Pista) che fa la sua figura (vedi all. 4a).
Confrontiamo però col vecchio monumento anche il resto: l’inferriata che sta intorno andrebbe benissimo per in stàbi o porcilaia, per un cantiere edile, ma non certamente per un monumento sulla piazza principale di una città…
… mancano i gripioni, potevano almeno mettere ai quattro ideali angoli le foto di politici locali (c’è solo l’imbarazzo della scelta) di qualche tempo fa, recenti ed attuali… più gripioni di così!
Ma la cosa peggiore è la piccola, miserabile, striminzita colonna, che andrebbe bene per uno stilita, ma non per un grande uomo di stato (vedi all. 4a e 4b).
Si vergognino coloro che hanno progettato questo monumento, coloro che hanno dato il permesso di erigerlo e coloro che, dopo, l’hanno mantenuto così com’è per tanti anni!
L’all. 5 può sembrare alquanto criptico: che cosa vuol significare l’Illustrazione di Gianfranco Calorio alla poesia di Sandro Locardi “La caròsa del Brüšà” (la carrozza del Bruciato) in questo contesto?
Semplicissimo: prima del 20 febbraio 1958 funzionavano egregiamente in ogni città le case chiuse (ma sempre piene di gente allegra) ed in ciascuna di esse ogni 15 giorni venivano cambiate les vendeuses d’amour; quando un nuovo gruppo di queste signorine benemerite, la famosa quenzàda (quindicina), arrivava in Alessandria, un vetturale, chiamato Brüšà, aveva il compito di condurle in carrozza dalla stazione al lupanare ove per 15 giorni si guadagnavano il pane col sudore delle… parti basse (… e non solo).
Era di prammatica un largo giro della città, compresa piazza Rattazzi, affinchè gli alessandrini potessero, in anteprima, lustrarsi gli occhi.
Visto che poi, si diceva, Rattazzi col braccio teso indicasse una casa di tolleranza (vedi all. 1), ecco che questo disegno è ad hoc.
Ma quali erano i lupanare alessandrini?
Ci ricordiamo la più nota, la Cà Rùsa (Casa rossa), sita in l.go Catania, in una casa con due portoni… l’altro portone introduceva nella Fòsa di lión (fossa dei leoni), altro postribolo, leggermente più caro del primo. Quasi in fondo a lungo Tanaro Magenta, subito dopo la vecchia fàbrica del büter (una fabbrica di margarina, chiamata fabbrica del burro, aperta ai tempi dell’autarchia), si trovava la casa più lussuosa e cara di Alessandria, detta la Vilëta (da non confondere con “la Villetta” posta in fondo a via Guasco, davanti alla quale si scioglievano tutti i funerali).
In fondo a c.so Felice Cavallotti si trovava un casino abbastanza in su: el Frìni ed infine ci ricordiamo ancora di una casa sita in via Caraglio, una traversa di via Dossena (eh! eh! eh!), indicata appunto dal braccio teso di Rattazzi.
Qualcuno potrebbe obiettare che noi scriventi fossimo assidui frequentatori delle case chiuse, vista la nostra conoscenza (e la cosa ci è già stata detta più di una volta) sull’argomento… la nostra risposta è stata ed è sempre la stessa: nel febbraio 1958 Antonio aveva da poco compiuto i nove anni e Tony circa cinque, per cui non potevano usufruire di qesti servizi, in compenso conosciamo numerose persone, anche un po’ più giovani di noi, con cui non siamo proprio in buoni rapporti (a cui non doneremmo mai un rene per salvare loro la vita) o che non stimiamo politicamente e socialmente, che quotidianamente frequentavano queste case: andavano a trovare le loro mamme che lavoravano là!
L’all. 6, infine, dà una venatura di esoterico alla nostra chiacchierata: è una cartolina anteriore, anche se vicina, al 1943, presa da un’angolazione talmente strana che sembra che il braccio di Rattazzi indichi il municipio.
Dice la scritta in rosso sopra il monumento ed il municipio, sicuramente riferendosi ai giorni nostri: “Che questa cartolina sia stata una premonizione?”