La riforma contesa

Patrucco Giancarlodi Giancarlo Patrucco
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Ho passato 18 anni della mia vita dietro ai banchi, 10 davanti e 30 tra ufficio, docenti, non docenti, ragazzi e famiglie. Mi sembra ovvio che, di fronte a quel che sta succedendo oggi, a scuola e fuori, possa essere preso da un moto di ribellione, repulsione e sconforto. Neanche ai tempi della Gelmini e a quelli di Luigi Berlinguer si era arrivato a tanto.

Eh sì che le sue vicissitudini la scuola le ha avute. Ricordate le beghe scoppiate intorno al concetto di scuola pubblica e alla sua definizione? Nell’ottica della progettata autonomia, saltò la vecchia definizione fra scuola statale e non statale. Tutte le scuole non statali che accettarono di adeguarsi a un pacchetto di regole poterono fregiarsi del titolo di pubbliche, su un piede paritario con quelle statali – pubbliche per definizione anch’esse – anche sul piano dei finanziamenti. E, qui, scoppiò una bagarre mai sopita.

Ricordate l’anticipazione scolastica voluta dalla Gelmini per l’accesso alla scuola elementare? Cadde anche allora uno storico baluardo. Da quel momento in avanti, non si accedeva più alla prima elementare nell’anno del compimento del sesto anno d’età. A richiesta, le famiglie potevano ottenere che l’inserimento avvenisse anche prima. E fu un’altra bagarre.

Potrei andare avanti all’infinito, dalle RSU di scuola alle funzioni strumentali, dalle prove Invalsi ai tentativi di depotenziare il tempo pieno, dalla “razionalizzazione” degli indirizzi di studio delle superiori all’accorpamento che determinò la cancellazione di qualche migliaio di Direzioni Didattiche e Presidenze con la creazione degli Istituti Comprensivi. Pochi furono comprensivi su questi aspetti.

Ma, ciò che abbiamo davanti oggi supera di gran lunga tutte le risse del passato. Anche ilRenzi buona scuola Governo Renzi rende note le proprie intenzioni di cambiare il sistema e lo fa divulgando un documento che intitola la “Buona Scuola”. Lo sottopone all’attenzione dell’opinione pubblica e dà inizio a una consultazione popolare che va avanti per mesi.

Dissi allora e confermo adesso che non si trattava e non si tratta di un proposito riformatore complessivo. Gli snodi fondamentali del progetto erano essenzialmente basati sui seguenti aspetti:

– eliminare o almeno contenere il precariato. Con gli atti amministrativi (e a volte anche legislativi) portati avanti dai Governi precedenti, il fenomeno del precariato, cioè quello rappresentato dall’impiego sempre maggiore di supplenti, annuali o temporanei, aveva dato vita a una enorme torre di Babele. Una costruzione in cui convivevano insegnanti che continuavano ad avere contratti precari nonostante il superamento di uno dei rari concorsi; insegnanti che stavano in prima fascia grazie agli anni di servizio – a volte tanti -; insegnanti che stavano più indietro, ma che vantavano a loro volta anzianità acquisite dalle chiamate fatte dai dirigenti scolastici sulle loro rispettive graduatorie di istituto.
La questione è pure più complicata di così, ma ho cercato di farla breve per non farvi morire di noia o farvi correre il rischio di perdervi tra le astruserie amministrative. Un dato, comunque, spiega il fenomeno meglio delle parole: si stima che i supplenti precari i quali possono vantare qualche diritto di assunzione vadano dai 160.000 in prima fascia ai 200.000 nelle fasce successive. Un mare di persone, un oceano di posizioni individuali, un coacervo di interessi, aspettative, attese a cui il Governo Renzi ha deciso di dare un taglio: 100.000 assunti quest’anno, 60.000 assunti l’anno dopo. Gli altri, tutti gli altri, dovranno adattarsi ad affrontare un concorso. Non è così che si dovrebbe sempre fare?

– Il secondo aspetto rilevante della riforma può essere declinato come un principio di responsabilità unito a un tentativo di privilegiare il merito. Da una parte, si individua il dirigente scolastico come l’unico depositario di poteri gestionali che comprendono una valutazione di efficacia dell’attività didattica svolta dai singoli e la possibilità di rimediare alle insufficienze mediante chiamate di docenti di altre scuole. Di qui, anche la possibilità di premiare i migliori, con l’affidamento di mansioni differenziate e/o il ricorso a incentivi.
Anche ridimensionata dagli emendamenti apportati alla Camera, si tratta di una bomba. Una vera e propria bomba, che ogni insegnante teme di trovare sotto la propria cattedra e sconvolge quel concetto di comunità scolastica che è il cardine dell’attività educativa, ma al cui riparo prosperano anche sacche di lassismo, di indifferenza, di impreparazione, per non dire del sempre presente assenteismo.

Su questi due aspetti – al momento, ma ce ne sarebbero altri in attesa – si scatena la bagarre. Da una parte, Renzi chiama a raccolta i suoi per una chiusura rapida del provvedimento e, sapendo quali rischi corre il suo Governo, interviene in prima persona con gessetto, lavagna e videomessaggi. Dall’altra parte, il coacervo degli interessi più disparati si coalizza, prova a far fronte comune, si appoggia all’opposizione interna, a quella esterna, ai sindacati.

L’impressione che ne ricavo io è quella di una scuola che, lungi dall’essere il riferimento della politica, rischi di diventare lo strumento per un regolamento di conti all’interno della maggioranza, all’interno del PD, con e dai sindacati. Non voglio neanche sapere chi vincerà. Chiunque sia, lascerà macerie e un uomo di scuola come me non può vedere l’istituzione seppellita sotto l’onda di marea degli interessi contrapposti. Soprattutto, non può rassegnarsi a constatare che degli interessi degli alunni, che la scuola è chiamata a tutelare sopra ogni altro, si parla ben poco.
Così non si va lontano. Men che meno in Europa.