«Il mestiere del giornalista è difficile, carico di responsabilità, con orari lunghi, anche notturni e festivi. Ma è sempre meglio che lavorare»
Luigi Barzini Jr.
Fabio e Mingo cacciati (o forse solo “sospesi”) da Striscia con l’accusa, tutta da provare, di aver confezionato qualche scoop tarocco su finti avvocati e maghe sudamericane.
Fulvio Benelli, giornalista (ex)Mediaset, licenziato per aver pagato (almeno, così pare) un finto rom e altre persone perché dichiarassero cose non vere.
Un noto ex direttore di un grande giornale (questa è vera e la sappiamo in pochi), che bello incazzato dice al suo caporedattore “ti prego, non rovinarmi la notizia con la verità!”. E tanti, tantissimi altri cosiddetti operatori dell’informazione che hanno avuto la fortuna di non essere stati (mai, o ancora) beccati con le mani nel sacco.
Che ne sarà del giornalismo in Italia? E’ possibile che esistano solo le classiche “mele marce”, in mezzo ad un cesto immacolato? Mah… Andrà discretamente bene fino a quando i lettori avranno voglia di crederci. Poi sarà pianto e stridore di denti, e alle conferenze stampa non seguirà alcun buffet. Fine dei cadeau, dei viaggi-premio con annessa “coperta” (di carne), delle casse di champagne (con la busta gonfia) a Natale.
Il provolone di Fabio e Mingo sarà un dolce ricordo. E qualcuno forse comincerà a chiedersi se ha ancora senso scrivere per mestiere, quando scrivere significa, nel migliore dei casi, adulare il potente di turno. Va detto che qualche oasi di libertà, o almeno di franchezza, nel giornalismo ancora resiste. Sempre meglio che lavorare, almeno finché dura.
E dopo?