Una sensazione di declino economico e sociale avvolge come nebbia, la nostra città. Da alcuni anni abbiamo l’impressione di muoverci su una scala mobile che procede in senso contrario, impedendoci di andare in avanti.
Il problema, certo, non riguarda solo noi, ma tutta la provincia, la regione e più in generale l’Italia.
Nel caso alessandrino, siamo in presenza di un declino irreversibile?
O si tratta di una fase caratterizzata da profonde trasformazioni dovute al “passaggio storico” dalla “Rivoluzione Industriale alla Rivoluzione Informatica” che si muove nel segno della globalizzazione?
Sappiamo che la società umana e con essa l’economia, che regola e disciplina produzione e consumi, sono in continua trasformazione.
La trasformazione sul piano economico è determinata dalla continua innovazione dei processi produttivi (adozione di nuove tecnologie), dall’innovazione dei prodotti, dalla nascita e cessazione delle aziende e dalla stessa vita esistenziale dell’imprenditore.
“La storia economica – affermava lo storico Carlo M.Cipolla – è storia dei fatti e delle vicende economiche a livello individuale, aziendale o collettivo”.
La rivoluzione tecnologica di fine secolo ha cambiato la vita di ognuno di noi, i rapporti famigliari e interpersonali, la stessa organizzazione del lavoro. Sono scomparse le grandi concentrazioni industriali, ormai ingestibili anche sotto il profilo delle relazioni sociali e sindacali. I centri produttivi sono stati decentrati con dimensioni aziendali che non superano i cinque mila occupati.
“ La globalizzazione – dice Andrea Manzella – ha cambiato la struttura sociale conformata negli ultimi due secoli sui modi di produzione. Creato la figura del lavoratore isolato di massa; riducendo o azzerando la valenza politica dei corpi intermedi; cancellando o vulnerando i legami di solidarietà sociale. Ha poi consentito forme di dominanza incontrollata del capitale finanziario e delle sue fluttuazioni acefale, con asservimento della politica a regolazioni da essa non create. Infine ha precarizzato le appartenenze politiche connesse a “concezioni del mondo” svuotandole della logica passione che le animava e le rendeva credibili. In altri termini ha segnato la trasformazione degli stessi partiti.”
Nel vivo di questo profondo cambiamento, è ipotizzabile una rinascita economica della nostra città? Una rinascita che dovrà procedere con le gambe, le idee e la determinazione di nuovi protagonisti sia a livello politico amministrativo che su quello imprenditoriale.
Alessandria, sino alla fine degli anni ’80 vantava un’economia molto attiva.
In Piemonte, la città era seconda solo a Torino.
Un’agricoltura fiorente, con alte rese per ettaro nella coltivazione di cereali, barbabietole e foraggi, un allevamento zootecnico, esteso per la produzione di latte, carne e prodotti caseari legati alla Centrale del latte.
Un’industria diversificata: la Borsalino per il “Cappello”, fabbriche di argenteria di rilievo nazionale (Cesa), un settore calzaturiero molto sviluppato (Alexandria), poi la Montedison per la chimica, la Michelin per i pneumatici, il gruppo Guala per la plastica, la Paglieri ad altre fabbriche minori per i profumi. Il settore meccanico con la produzione di rotative per la stampa (Mino), dalle pompe sommerse (Panelli), agli impianti speciali di refrigerazione per navi e centrali elettriche (Astra refrigeranti). Consistente anche l’industria del mobile e del legno in generale. Seguiva la lavorazione del sughero e delle pelli a Spinetta M. e Litta Parodi, fabbriche di abbigliamento per bambini e per adulti. Ovunque officine e laboratori.
Sviluppata la rete commerciale, in grado di attrarre acquirenti da tutta la provincia e non solo, capace a sua volta, attraverso i propri agenti di commercio, di proiettarsi nelle province limitrofe.
Il terziario avanzato. Il tratto professionale di avvocati, commercialisti, notai, ragionieri e consulenti del lavoro, era di buon livello, in grado di garantire validi servizi alle imprese, in crescita per dimensioni e numero, e di rapportare le medesime con il sistema fiscale, sempre più complicato ed esoso e con le istituzioni pubbliche per l’ottenimento delle varie licenze ed autorizzazioni o per sedare i vari conflitti di carattere giudiziario.
Elevata la propensione al risparmio degli alessandrini, che ha alimentato un fiorente sistema creditizio, incentrato sulla Cassa di Risparmio, la quale ha avuto un ruolo di stimolo alla crescita economica del nostro territorio, non solo durante i primi anni del dopoguerra, legati alla ricostruzione, ma anche durante la fase del miracolo economico e successivamente.
Un’espansione edilizia equilibrata, regolata dai Piani regolatori comunali, incentrati sull’asse nord – sud della città, l’individuazione delle nuove aree per gli insediamenti abitativi e la definizione delle “Aree attrezzate” per quelli produttivi realizzate negli anni ’60, ’70 e ‘80, che hanno consentito un decentramento verso la periferia delle aziende inizialmente locate in città. Una rete di imprese edilizie gestita in primo luogo da geometri e in seguito da architetti e ingegneri, hanno con il loro lavoro contribuito all’espansione urbanistica della città.
Nel corso degli anni ’70 il Comune istituisce le quattro aziende municipalizzate: trasporti, acqua e gas, nettezza urbana e Teatro. La città viene collegata alla rete del metano nazionale e da allora inizia il passaggio dagli impianti di riscaldamento a metano in sostituzione di quelli ad olio pesante e gasolio, molto inquinanti. La rete viene estesa anche ai vari sobborghi. Alessandria è una città che, da decenni, “va a metano”.
Quant’è che si avvertono i primi segnali di recessione nel tessuto produttivo e nell’economia alessandrina in generale?
I primi segnali sono legati ai processi di ristrutturazioni, di gruppo e aziendali, determinati dalla rivoluzione tecnologica che la libera circolazione delle merci e dei capitali, porterà alla caduta di ogni barriera doganale e alla globalizzazione del mercato e l’affermarsi delle multinazionali Ha inizio una competizione sfrenata. Nuove tecnologie legate all’informatica e all’elettronica vengono introdotte nei cicli produttivi. Si diffondono i telefoni cellulari. Si assiste su scala mondiale all’avvento di Internet. La liberalizzazione dei capitali porta all’affermarsi di un nuovo potere: quello finanziario. Entrano in crisi gli stati nazionali e con essi le rappresentanze politiche e istituzionali, dai partiti ai sindacati alle categorie produttive, orfane della protezione derivante dalla dimensione nazionale.
Si registra un riflusso dal sociale verso il privato e, come ancòra di salvezza di fronte alla globalizzazione, si cerca rifugio nella territorialità e nel localismo. Le ondate migratorie alimentano forme di rigetto verso la presenza dello straniero.
Localismo, federalismo e decentramento sono le nuove parole d’ordine fatte proprie dalla Lega in chiave discriminatoria contro gli immigrati e contro lo Stato centrale.
Il Federalismo, inteso come eliminazione di ogni controllo da parte dello Stato, finirà con l’alimentare la corsa agli sprechi a livello locale, accentuare il clientelismo e la corruzione, anticamera del dissesto finanziario di tutto il settore pubblico.
Questo scossone ha investito la classe dirigente politica, ma ha riguardato soprattutto la classe dirigente imprenditoriale.
Sarebbe ingiusto scaricare ogni responsabilità della crisi sul ceto politico.
Molte aziende a conduzione famigliare, esaurita, per ragioni di età, la spinta propulsiva del fondatore, non hanno saputo trasformare l’azienda familiare in società di capitale e realizzare al proprio interno i necessari ricambi generazionali e manageriali per assicurare continuità produttiva, finendo per aderire alle fusioni con soggetti industriali più robusti, cedere l’impresa ad operatori stranieri o, addirittura, chiudere i battenti (Sila, le aziende di Volante, Lume, ecc. ecc.).
Il settore distributivo, con la diffusione dei supermercati e dei centri commerciali “Outlet”, negli ultimi trent’anni, ha registrato la trasformazione più radicale, con la conseguente scomparsa di migliaia di negozi: dagli alimentari alle panetterie dalle latterie ai fruttivendoli, fino ai negozi di abbigliamento. Molti sobborghi oggi sono sprovvisti di negozi alimentari.
Il fenomeno più preoccupate ha riguardato tuttavia le attività industriali.
La delocalizzazione di molte attività manifatturiere verso la Romania, l’Albania, la ex Jugoslavia e la Cina, ha provocato un depauperamento del nostro tessuto industriale. Sono scomparse le industrie argentiere, i calzaturifici, ridimensionata quella del cappello, dell’alluminio, ridotte di numero quelle chimiche, della plastica, pressoché scomparse quelle tipografiche e del legno, i laboratori di sartoria e dell’abbigliamento.
Resistono le industrie multinazionali della gomma (Michelin), della plastica (Gruppo Guala) e della chimica (ex Montedison oggi Solvey Solexis), quelle meccaniche di precisione (Mino), di nicchia e di alta specializzazione (Astra refrigerante).
L’Università sforna ogni anno decine di laureati che tuttavia incontrano difficoltà nel trovare un’occupazione adeguata alla loro formazione culturale, sul nostro territorio. I naturali settori di assorbimento dei profili professionali umanistici – enti locali e banche – sono sovraccarichi di personale, in parte a causa del processo di riorganizzazione aziendale interna dovuta all’informatizzazione (Banche), ma soprattutto per le assunzioni clientelari operate negli ultimi decenni (enti locali).
I turnover sono bloccati, i giovani laureati non trovano occupazione e sono in parte costretti a migrare verso i vertici del triangolo industriale o addirittura verso l’estero, Svizzera, Germania e Inghilterra.
Gli esuberi di personale nel settore pubblico
Il settore pubblico sta attraversando una profonda crisi di natura finanziaria determinata fondamentalmente da un eccesso di personale. Nel corso degli ultimi venticinque anni il comparto pubblico (enti locali e solo in parte la sanità), è stato aggredito, da un lato, da un aumento sconsiderato del numero degli addetti, e dall’altro, da un incremento sproporzionato del numero di dirigenti e primariati, seguito da un’eccessiva lievitazione dei loro livelli retributivi. Questi fattori sono entrati in corto circuito con il sistema fiscale chiamato a supportarne i costi, il quale non ha potuto né poteva reggere all’urto, determinando una condizione finanziaria squilibrata che ha portato al dissesto dei bilanci pubblici.
Gli amministratori degli enti locali, anziché correre ai ripari agendo sui fattori che portavano all’espansione della spesa, vale a dire puntando alla riorganizzazione degli enti e alla loro semplificazione operativa, hanno reagito mettendo in vendita i beni patrimoniali degli stessi. Col risultato che alla fine hanno dilapidato il patrimonio senza riuscire a sanare i loro bilanci. Mentre i costi crescenti della sanità si sono riversati in parte sugli assistiti tramite la lievitazione dei Tiket e in parte sui bilanci delle Regioni, trasferiti a loro volta da quest’ultime sui contribuenti attraverso la lievitazione delle imposte sulla circolazione e sulle addizionali Irpef.
Il dissesto finanziario del settore pubblico è concausa del declino economico e sociale.
Così oggi ci troviamo con gli enti locali in dissesto finanziario e nonostante abbiano portato all’eccesso il prelievo impositivo, sono nell’impossibilità di intervenire sia sul piano sociale che su quello degli investimenti: scarsi mezzi per assistere i più bisognosi, strade dissestate, trasporti pubblici precari, igiene urbana lacunosa, ritardi nel pagare i fornitori, malessere sociale dilagante.
Il travaglio di questi ultimi decenni ha investito la città di Alessandria portando alla fine degli anni ’80, un calo della popolazione. Da oltre cento mila abitanti registrati nei censimenti 1971 e 1981, siamo scesi negli anni ’90, attorno ai novanta mila. Il lieve recupero di popolazione registrato a metà del primo decennio del nuovo secolo per effetto degli immigrati, è già terminato.
Tra la fine del secolo è l’inizio del 2000, la nostra area è stata investita da un consistente flusso migratorio, questa volta di provenienza extracomunitaria, in particolare dai paesi dell’est, Albania, in primo luogo (3.074), Romania (3.243), Ucraina (377), Macedonia (153), (Serbia (56), Moldavia (103), Russia (147), Bulgaria (76), Bielorussia (27). Jugoslavia (34).
L’etnia asiatica più consistente riguarda la Cina (674), India (184). Thailandia (39), Giappone (6), Pakistan (116), Filippine (59), Turchia (50).
Dal Sud America: Argentina (33), Brasile (79), Bolivia (27), Columbia (69), Cuba (39), El Salvador (47). Perù (44), Repubblica Domenicana (193), Uruguay (14), Venezuela (8).
Negli ultimi anni si è intensificato il flusso migratorio proveniente dal continente africano: Algeria (33), Marocco (2.241), Tunisia (229), Nigeria (156) Somalia (54), Egitto (47).
Nonostante l’area alessandrina non sia particolarmente appetibile sotto l’aspetto occupazionale, la popolazione ha ripreso a crescere raggiungendo al 31 dicembre 2014 i 93.805 abitanti di questi 9.431 sono extracomunitari e 3.671 cittadini comunitari, per un totale di 13.102 unità. Provengono da 103 paesi di cui 80 extracomunitari e 23 dell’Unione Europea. Negli ultimi tre anni si è registrato un incremento di 700 nuovi arrivi regolarmente registrati dall’anagrafe del Comune.
Alessandria presenta quindi caratteristiche multietniche, multi religiose e multiculturali. Un crogiolo di realtà che trova nella scuola una prima occasione di amalgama umana e sociale, e nel servizio assistenziale e sanitario, settori sui quali si scaricano problematiche complesse e costi economici considerevoli, solo in parte compensati dagli introiti fiscali determinati dalla presenza dei lavoratori immigrati sul nostro territorio.
Contrariamente a quello che si è portati a credere la migrazione ha fatto emergere non solo mano d’opera di basso profilo, ma anche persone dotate di una buona scolarizzazione con capacità imprenditoriali. I cinesi sono presenti nel settore della ristorazione, nella distribuzione di prodotti di abbigliamento e di prodotti elettronici ed orologeria, nonché nelle riparazioni sartoriali, nelle attività di parrucchiere per uomini e donne. Nel campo della ristorazione sono attivi anche i giapponesi e gli indiani. I rumeni nelle attività sartoriali, agricole ed edilizie.
Il flusso migratorio di genere femminile, di provenienza asiatica e sud americano ha trovato occupazione presso le nostre famiglie come colf e badanti nell’assistenza alle persone anziane, mentre la mano d’opera maschile è occupata, prevalentemente, nel settore edilizio, nei lavori di manutenzione stradale, nei servizi di distribuzione dei carburanti, nel comparto agricolo e nei settori produttivi dell’industria e del commercio. Significativa la presenza nelle attività di ambulantato sia degli asiatici che degli africani.
L’Amministrazione comunale di Alessandria
E’ scorretto attribuire all’attuale Giunta di centrosinistra, diretta dal Sindaco Rita Rossa, responsabilità in ordine al declino. Il declino ha origini più lontane, almeno da un paio di decenni.
Questa Amministrazione ha ereditato il dissesto finanziario del Comune dalla precedente gestione di centro destra, capeggiata dall’ex Sindaco Pier Carlo Fabbio.
La dichiarazione di “Dissesto finanziario” era inevitabile, avendo lo stato debitorio del comune superato di due volte l’ammontare del bilancio corrente annuale e superato la stessa consistenza patrimoniale dell’ente medesimo. Un patrimonio, per altro, fortemente assottigliato dalle continue alienazioni di beni operate dalla giunta Fabbio.
La legge nazionale intervenuta in seguito, ha consentito di corrispondere ai creditori, rimborsi nella misura del 40, 50 e 60 per cento del loro ammontare. In pratica una transazione da stato fallimentare.
Questa Amministrazione ha dovuto eliminare ogni rapporto di collaborazione con soggetti esterni all’ente, ha proceduto all’auto riduzione delle proprie indennità di carica e bloccato ogni assunzione. Di fronte tuttavia al dramma dell’esubero di personale, (tra comune e aziende partecipate quasi duemila dipendenti a fronte di un fabbisogno reale di milleduecento – milletrecento unità), si è scelto di difendere il maggior numero possibile di posti di lavoro mantenendo, laddove possibile, i livelli occupazionali e accogliendo così la linea imposta dai sindacati, restia a recepire ogni proposta di “contratti di solidarietà” che coinvolgessero il personale. Così anche la necessità di ridurre drasticamente il numero delle società partecipate (inizialmente erano 4 più la Centrale del latte, al termine della gestione Fabbio erano lievitate a circa 30) ha avviato il percorso di costruzione della c.d. “Grande AMAG”, oggi a buon punto di realizzazione.
La legge di stabilità del 2015, obbliga i comuni a ridurre drasticamente il numero delle rispettive “partecipate” entro il mese di giugno.
Sanata la situazione debitoria pregressa, nel modo e nei limiti richiamati, le risorse finanziarie, nonostante il persistere di un prelievo impositivo maggiorato, non si sono liberate, ma continuano ad essere assorbite dagli esuberi di personale, nonostante la riduzione sia del numero che delle retribuzioni dei dirigenti.
Questa considerazione evidenzia che occorrerà nei prossimi tempi una strategia di intervento sulla macchina comunale.
E’ necessario ridefinire i ruoli per un Comune proiettato verso il futuro, stabilire il numero dei comparti e dei rispettivi dirigenti anche in attesa dell’attuazione del progetto del Governo Renzi, di eliminare la figura giuridica del “dirigente pubblico a tempo indeterminato”; definire la struttura organizzativa delle partecipate e le rispettive piante organiche, il cui numero va rapportato a standard di efficienza, ancorati a loro volta alle reali disponibilità finanziarie e non a generici richiami ai fabbisogni sociali, come avveniva nel passato, completamente avulsi da ogni considerazione su costi e benefici. Le partecipate dovranno anche orientare la loro azione verso quei settori nuovi che potranno avere un’importanza strategica nel futuro come ad esempio il teleriscaldamento.
Dalla crisi finanziaria non si esce aspettando che passi la “Nuttata”, ma prospettando un ente locale rinnovato, efficiente e più moderno. Questo vale per la realtà comunale e provinciale, ma vale soprattutto per la realtà del Paese. Dal momento che tutti concordiamo sulla necessità di ridurre la pressione fiscale per favorire la ripresa ed il rilancio dell’economia e della società, è evidente che dobbiamo porci l’obiettivo di ridurre l’incidenza della spesa pubblica in rapporto al prodotto interno lordo.
E’ sbagliato concepire il ricorso a una maggiore flessibilità come corsa ad un indebitamento continuo e fuori controllo. L’indebitamento è costituito dall’emissione di titoli pubblici che vanno remunerati e il loro costo grava sul bilancio annuale dello Stato.
Tornando ai temi locali, è stata avviata una politica di rilancio della partecipazione, su basi volontaristiche, che coinvolga quartieri e sobborghi, solleciti e promuova l’impegno volontario dei cittadini nella gestione e conduzione di servizi e delle incombenze d’interesse sociale.
La crisi finanziaria va utilizzata come momento di coinvolgimento delle migliori forze della società alessandrina, da quelle culturali a quelle economiche come occasione di crescita democratica e partecipativa della società civile; diversamente non si avvertirebbe la differenza tra amministrazioni di centrosinistra e amministrazioni di centrodestra. Questa differenza la dobbiamo individuare e affermare in ogni atto di governo della città.
I segnali di ripresa
Secondo i comunicati della Camera di Commercio e dell’Unione Industriali di Alessandria, segnali di ripresa si registrano sul fronte delle imprese che nel corso del 2014, su scala provinciale, sono tornate a crescere: 715 sono quelle nuove, mentre quelle cessate si sono fermate a 463 con un saldo positivo di 252 nuove unità produttive.
“La produzione industriale cresce poco”, commenta Gian Paolo Coscia, Presidente della Camera di Commercio di Alessandria, “il trend è in salita e l’indice sintetico di performance territoriale ci vede al terzo posto, dopo Torino e Cuneo. La piccola industria (alimentare + 9,5%) e la media industria vanno bene, mentre i dati disponibili ci dicono che è la grande industria alimentare a essere in difficoltà. L’export traina la produzione industriale con buone performance nell’industria chimica, plastica, nella gioielleria e nelle bevande. Gli ordinativi esteri offrono potente segnali di crescita (+ 8,4%)”.
L’Amministrazione comunale deve trovarsi preparata alla ripresa dell’economia, incominciando col rapportarsi con il mondo imprenditoriale, rilanciando il discorso delle aree attrezzate già esistenti e di quelle programmate.
Gli interventi sul tessuto urbano: “Pisu” e “Ponte Meier”
Interventi di carattere urbanistico previsti dal “PISU”, sono in atto in alcuni quartieri della città. Sono ancora poca cosa rispetto al deficit di interventi accumulati dall’immobilismo registrato sul fronte dei lavori pubblici nel corso degli ultimi anni. Molto, purtroppo, resta ancora da fare sia sulle strade interne che su quelle dei sobborghi, prive di manutenzione ordinaria e straordinaria ormai da molto tempo, ma da quest’anno potranno essere investite delle risorse prima inesistenti: in questi giorni le sezioni territoriali del PD di Alessandria stanno discutendo proprio per aiutare l’Amministrazione ad individuare le priorità di intervento in questo ambito.
Il completamento del Ponte Meier sul fiume Tanaro e la riapertura dello stesso, prevista per i prossimi mesi, dovrebbe, a sua volta, consentire un ritorno alla normalità circolatoria ad ovest della città, oggi dirottata in buona parte sul Viale Milite Ignoto degli Orti e sul ponte Forlanini. Ma soprattutto garantirà una diversa immagine della città, rappresentando un biglietto da visita, per chi entrerà da ovest, di alta qualità che dovrà essere speso anche in relazione ad una idea di sviluppo futuro di Alessandria.
Tutto questo non basta ancora per dare uno scossone alla città. Dobbiamo aggredirla con interventi ed iniziative sul fronte della partecipazione democratica dei cittadini nella rinascita dei quartieri, in particolare nei sobborghi, e sul fronte del volontariato nella gestione di alcuni settori di pubblico interesse come il verde pubblico, i giardini, la pulizia dei cimiteri, la gestione delle feste patronali e la promozione delle attività ludiche legate alle Società di Mutuo Soccorso.
Ma lo sforzo veramente decisivo, che sarà solo in parte a carico del Pubblico, consisterà nel dotare Alessandria di una qualità di servizi, anche tecnologici, e infrastrutture che la rendano davvero appetibile per gli investitori (magari stranieri) che, agganciata la ripresa e varate le riforme di sistema oggi nell’agenda del Governo nazionale, rivolgeranno le loro attenzioni al “Sistema Italia”.
*Segretario cittadino del PD