di Dario B. Caruso.
Quest’anno abbiamo assistito a uno degli eventi astronomici più affascinanti e suggestivi per un terrestre: l’eclissi solare.
Tecnicamente accade come al cinema, quando fra te e lo schermo di proiezione si frappone una coppia di fidanzati lungagnoni: dapprima mantengono le distanze e non creano problemi, poi lentamente – proprio durante la scena clou del film – si avvicinano e si avvinghiano in un lungo e appassionato bacio alla francese che ti eclissa parzialmente la visione per una buona mezz’ora; esaurita la passio, lentamente la visuale torna ad allargarsi.
Respiri, ritorni a godere della trama e non rimpiangi i soldi del biglietto.
Il 20 marzo scorso con tutti i ragazzi della Scuola siamo usciti in cortile e, armati di occhialini, lastre e vetri affumicati, abbiamo goduto per tre quarti d’ora di quel fenomeno secondo cui tra la Terra e Sole si frappone la Luna.
Per i ragazzi del terzo Millennio ha rappresentato la prima volta, da una parte l’emozione di un fenomeno naturale impalpabile ancorché a portata di mano, dall’altra la consuetudine di vedere immagini virtuali impalpabili ancorché impossibili.
Al rientro nelle classi Gabriele, un mio alunno, si avvicina saltellando con un sorriso radioso: “Che bello, prof! Oggi è il giorno più bello della mia vita!” Per ora, aggiungo io.
11 agosto 1999.
Ero con mia moglie nella Francia del Nord per le ferie estive.
Quel giorno stavamo dirigendoci a visitare la cattedrale di Chartres, uno dei capolavori del Gotico con il famoso labirinto al suo interno.
Nel tragitto per giungere a Chartres ci fermiamo al lato della strada per osservare l’eclissi totale di sole.
In quelle ore, mille chilometri più in là, a mia nonna si oscurava la vista, per sempre.
La prima volta che sentii parlare di eclissi solare fu quando mio padre mi raccontò di quella del 1966, di quando quel giorno era in giro col furgone e dovette accendere gli anabbaglianti.
Non so cosa pensò. Non me lo disse mai.
Io invece penso che la prima e ultima volta fanno parte del nostro modo di semplificare la vita, dare ordine alle cose, dare un senso ai gesti.
Ed è bello che ci siano riferimenti che ci vengono in soccorso, punti d’appoggio che qualche volta vengono a mancare.
Eclissandosi.