Giancarlo e il confine [Il Superstite 230]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

 

In una città di provincia, che purtroppo sta perdendo con rapidità i suoi connotati unificanti di collettiva identità, chi crede – o è convinto di credere – a fenomeni cosiddetti “irrazionali” vive una seria difficoltà a trovare degli interlocutori. La spiegazione salta con evidenza agli occhi: in un posto come Alessandria la qualifica di “balengo” può risultare limitante soprattutto sul piano dell’accettazione sociale. Allora occorre graduare le esternazioni scegliendo con cura i destinatari delle tali: gente percepita come affine, o comunque con un’apertura mentale in grado di ascoltare senza pregiudizi.

Io, da trent’anni a questa parte (grosso modo), ho ascoltato senza giudicare – e soprattutto senza bollare come “matto” – qualsiasi genere di soggetto alessandrino con un vissuto quotidiano degno di un prologo cinematografico alla Spielberg (se vi piace Poltergeist o sempre lui, se dirottate su Incontri ravvicinati del terzo tipo). Di alcuni, con la loro liberatoria, ho potuto scriverne salvaguardandone comunque l’identità. Di altri non ne ho mai parlato perché mancavano le condizioni minime per procedere con sana deontologia, in primis la concessione a esporsi anche in forma anonima. Prima di arrivare al dunque – che si chiama Giancarlo Bossola -, voglio anche ricordare, a tutti, che non basta credere ai fantasmi, agli UFO o alle scie chimiche per essere bollati come matti. Se così fosse, due terzi di alessandrini, anche qui grosso modo, andrebbero – si fa per dire – rinchiusi. Forse pure io che non ho mai nascosto di avere visto in vita mia un paio di cose “strane” svolazzare nei cieli delle campagne alessandrine. La questione cambia un po’ se dai fantasmi o dagli alieni presumi di essere perseguitato, o controllato che però non è la stessa cosa (puoi “sentirti” controllato senza alcun riscontro oggettivo, mentre il concetto di “persecuzione” implica qualche riscontro “fisico” in più): in questa modalità, senza tirarmela da psichiatra che non sono, alcuni soggetti vivono sul confine di un disturbo schizo-paranoide, spesso in grado di sublimarsi in comportamenti normali e professionali che non danno adito a giudizi di devianza psichica.

Dunque, Giancarlo Bossola. Sapete chi è stato e cos’ha fatto. Il Giancarlo che assaiBossola superficialmente ho conosciuto io – che è poi quello che hanno conosciuto in tanti – era un uomo gentile, amabile con cui era bello scambiare quattro parole, magari futili o magari no. La prima volta, più o meno 5 anni fa, che ci siamo seduti a un tavolo comune – con almeno altre 4-5 persone -, Giancarlo stava con Atristana, creatura deliziosa e sorridente. Mi colpiscono sempre le coppie non giovanissime che si guardano in quel modo e guardano il mondo nella stessa maniera. Innamoratissimi. Proprio non ricordo se fu quella volta, o una successiva, che mi raccontò di una sua, a dir poco strana, esperienza sulle colline dell’Acquese, dove lui e un suo collega poliziotto erano stati mandati mediante comunicato radio per sorvegliare un oggetto volante non identificato atterrato dal cielo e immobile su un prato. La racconto così perché così me la raccontò lui – e aggiungo che non mi stava sussurrando in un orecchio e gli altri astanti sentivano molto bene quel che diceva. E qui vorrei stoppare il racconto di Giancarlo (che andò avanti con sviluppi clamorosi) per un’evidente ragione: è troppo facile giudicare quel che ha combinato alla luce di precedenti discorsi che, in una media statistica di giudizio, verrebbero definiti strampalati. Non voglio farlo e ricordo che non l’ho mai fatto sin quando lui è stato in vita. E ribadisco che la mia forma mentis – chi mi conosce lo sa – è in grado di accettare qualsiasi testimonianza che il mondo direbbe “stampalata”, senza riserve o valutazioni trancianti. Oggi, in una società in bilico tra deformazioni mediatiche e allucinazioni consensuali di massa, non bisognerebbe dare nulla per scontato, ma di questo avremo occasione di parlare.

Tornando a Giancarlo, mi colpì molto il senso finale di quella testimonianza. Che era sostanzialmente qualcosa di assai simile al concetto di cover up assimilato in anni di X Files: c’è chi sa tutto da anni, gli alieni non sono che uno degli aspetti della questione, c’entrano i servizi segreti e, soprattutto, ci controllano. Noi pensiamo che le nostre azioni sono frutto di libero arbitrio, ma niente affatto, non è così. Siamo marionette nelle loro mani. Rilasciato da chi aveva esercitato nella Polizia di Stato, il concetto – cuore del complottismo – suonava notevole. Peraltro, prima di giudicare, ricordate che c’è un giornalista inglese che si chiama David Icke che scrive libri di migliaia di pagine dicendo esattamente le stesse cose, guadagna un sacco di quattrini e gira il mondo, con scorta, per conferenze. Nessuno lo bollerebbe come “balengo”.
La serata poi proseguì per altre vie. Ci incrociammo poi altre volte ma non parlammo più di esperienze “oltre i limiti”. Per il rispetto che si deve alla divisa, avevo già deciso dalla prima sera che non ne avrei mai scritto nonostante la materia “scoppiettante”. Una delle tante testimonianze da archiviare.

Poi la vita prese a calci, in modo brutale, Atristana e lui. Lei se ne andò in modo mostruosamente rapido per un male incurabile. Lui rimase qui, solo, anche se in tanti con sincero affetto non gli facevano mancare solidarietà e amicizia. Lo incontrai una sera all’Isola, che frequentava con assiduità. Lo abbracciai, mi uscirono dalle labbra le solite, inconsistenti frasi di rito (cosa mai puoi dire a chi ha perso il suo amore devastato dal cancro?) e lui mi rispose: «Ci uccidono, Danilo. Non hai idea di quanti casi al giorno ci stanno in Alessandria. Tacciono per convenienza, per politica, per business.»
Non lo vidi più da quella sera. Ho una vita complicata che spesso mi porta altrove. L’ho rivisto anch’io, come tutti, sui giornali, il giorno dopo il duplice omicidio e il suicidio. Amici giornalisti mi hanno interpellato perché sullo sfondo dei fattacci c’è la Santeria, il culto sincretico cubano che traffica con gli Orishas e con i Santi della religione cattolica, sempre barcollando tra bene e male, tra presunte magie bianche o nere, forma religiosa ad alto livello di interpretazione personale. Ho raccontato non tanto di Santeria – di cui pochi sanno in verità e i latino-americani che risiedono in Alessandria giustamente non si sbottonano -, quanto piuttosto ho inteso sottolineare che le convinzioni di Giancarlo, forse (e il forse, amici, è sempre d’obbligo), abbiano subìto un’accelerazione al peggio causa la morte ingiusta e maledetta di Atristana. Forse la sua personalità paranoide, tenuta sotto controllo sino a un certo punto della sua vita, ha varcato il confine. Alcune notizie che filtrano e che lasciano intendere che dalla Santeria voleva ottenere conforto e pace per lo spirito infelice di Atristana forse lo confermano (forse, sempre forse, certo – ma poi, cosa chiediamo noi italiani e civili da un rosario cattolico se non conforto e pace per il parente e amico che ci ha appena lasciato?).

Purtroppo due omicidi e il suicidio, quanto mai misterioso nelle sue modalità, hanno condannato le convinzioni di Giancarlo sul “controllo dall’alto” a essere bollate come “deliri” di un futuro pazzo che attendeva solo lo starter per liberare la sua patologia. Non lo so, io di quel confine – oggi, con un inutile senno del poi – avrei voluto saperne di più. Da Giancarlo, ovvio.
E quelle sue ultime parole: «Tacciono per convenienza, per politica, per business», proprio non mi sembrano gli sproloqui di un pazzo.