Renzi come il re Giovanni?

Cavalchini Pierluigi 2di Pier Luigi Cavalchini
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Comincia a manifestarsi in tutta la sua virulenza quella che, più che una Riforma dello Stato, si va sempre più a definire come una semplice “Controriforma” come, d’altra parte, è sempre successo quando si è tentato un “cambiamento” che, ad un certo punto, smarrisce i suoi fini di partenza. Nessuno all’indomani del Congresso di Vienna avrebbe definito “Restaurazione” il lungo periodo che è seguito alla ventata rinnovatrice della Rivoluzione Francese prima e di Napoleone poi, al massimo, lo stesso periodo veniva – infatti – definito “ritorno all’ordine sociale ed economico , premessa fondamentale di uno sviluppo degli Stati Europei di oggi” – è il Cancelliere Metternich (1816) ad affermarlo e non il Ministro greco Varoufakis. D’altra parte, se si blindano le liste e si assicura l’uscita solo ai fedelissimi prima e dopo le campagne elettorali, se si aumenta il controllo del territorio con la promozione a “fac totum” di sindaci e consiglieri regionali in un nuovo organismo “punta di piramide” come l’ipotizzato neo Senato, c’è poco da stare allegri. Sembra quasi di essere ritornati al pessimo principe Giovanni Senzaterra, al suo sceriffo e ai suoi sgherri di Nottingham che abbiamo conosciuto tramite la felice penna di Walter Scott. …”Nessuno parlava male (in pubblico) dello sceriffo e del Re Giovanni” ma tutti ne speravano la prossima e definitiva rimozione, sottovoce – certo – perché anche i muri hanno orecchie e i “voltagabbana” sono merce che non manca mai.

Quindi, pensando di fare un buon servizio ai nostri venticinque lettori, riproponiamo unRenzi bullo breve riassunto delle precedenti puntate, aspettando qualcuno o qualcosa di serio che faccia finalmente tornare la ragione a tutti.

In sintesi, prima di un’analisi in dettaglio, portata avanti anche con l’aiuto di alcuni rilievi a “cinque stelle”, ci troviamo di fronte ad un nuovo “Senato dei 100” composto da consiglieri regionali e sindaci, abbiamo di fatto la fine del bicameralismo perfetto con l’abolizione del Cnel in “buona pesa”, con qualche rialzo di quorum e qualche garanzia in più per il “manovratore”. Si tratta, anche se fa un po’ impressione chiamarla così, della riforma della Costituzione “targata Renzi” che l’aula della Camera sta approvando (forse ha già approvato al momento della lettura dell’editoriale) con una seduta fiume tra le proteste dell’opposizione. Proprio per questo è ancora più importante conoscere qualcosa in più sul testo finora approvato.

Cambiano funzioni di Senato e, indirettamente, della Camera. Il Parlamento continua ad articolarsi in Camera dei deputati e Senato della Repubblica ma i due organi hanno composizione diversa e funzioni differenti. Solo alla Camera, che rappresenta la Nazione e resta composta da 630 deputati, spetta la titolarità del rapporto di fiducia e la funzione di indirizzo politico, nonché il controllo dell’operato del Governo. Il Senato andrà a rappresentare le istituzioni territoriali.

Il Senato tradizionale “retaggio del passato”. I membri del nuovo Senato verranno scelti dai Consigli regionali. Saranno 100, di cui 95 rappresentativi delle istituzioni territoriali e cinque senatori nominati dal presidente della Repubblica tra i cittadini “che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. Durano in carica sette anni e non possono essere rinominati. Con questa modifica si sancisce il superamento dell’elezione diretta del Senato, che verrà eletto “dai Consigli regionali e dalle Province autonome di Trento e Bolzano, fra i propri componenti e fra i sindaci dei rispettivi territori nella misura di uno per ciascuno”.

Al Senato ci saranno retribuzioni minime. La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali nei quali sono stati eletti. Ai senatori resta l’immunità parlamentare come ai deputati. I nuovi senatori non riceveranno indennità se non quella che gli spetta in quanto sindaci o membri del consiglio regionale. L’indennità di un consigliere regionale non potrà superare quella attribuita ai sindaci dei comuni capoluogo di Regione. Resta l’indennità per i senatori a vita. Garantito anche ai senatori l’esercizio della funzione senza vincolo di mandato.

Leggi Costituzionali, iter referendari e leggi elettorali uniche deroghe, il resto tutto e solo alla Camera. La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi costituzionali, per le minoranze linguistiche, il referendum popolare, per le leggi elettorali. Le altre leggi sono approvate dalla Camera. Ogni disegno di legge approvato dalla Camera è immediatamente trasmesso al Senato che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera si pronuncia in via definitiva. (anche sui tempi e iter di legge ci sono “velocizzazioni”).

Leggi di iniziativa popolare con sbarramento più alto. Le novità riguardano le proposte di legge di iniziativa popolare per le quali sarà richiesta la raccolta di 150mila firme invece di 50mila ma si stabilisce anche che la deliberazione della Camera sulla proposta deve avvenire entro termini certi e passaggi definiti dai regolamenti parlamentari.

Referendum propositivi ammessi ma, per ora, solo a parole. Si introducono poi in Costituzione i referendum popolari propositivi e di indirizzo ma spetterà alle Camere varare una legge che ne stabilisca le modalità di attuazione.

Semplificazioni e modalità più dirette per l’elezione del Presidente della Repubblica. Cambia il quorum per l’elezione del Capo dello Stato. Nelle prime tre votazioni resta due terzi dei componenti l’assemblea. Dalla quarta si abbassa a tre quinti dei componenti dell’assemblea e dalla settima ai tre quinti dei votanti. Sarà il presidente della Camera (e non più del Senato) a sostituire il presidente della Repubblica ‘ad interim’.

Promosso uno “Statuto delle Opposizioni” che sa molto di controllo delle eventuali “opposizioni strumentali”. Viene introdotta una nuova disposizione che attribuisce ai regolamenti parlamentari la garanzia dei diritti delle minoranze parlamentari. Si attribuisce, al solo regolamento della Camera, anche la definizione di una disciplina dello statuto delle opposizioni. Anche qui l’iter si presenta lungo e irto di ostacoli perché, nonostante le già stringenti normative vigenti, è chiaro il tentativo di limitare ulteriormente l’espressione di chi non è d’accordo.

Consiglio Nazionale di Economia e Lavoro via, così come gli Enti Provincia. Viene integralmente abrogato l’articolo 99 della Costituzione che prevede, quale organo di rilevanza costituzionale, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL). Viene prevista la nomina di un commissario straordinario entro trenta giorni dall’entrata in vigore della legge, a cui affidare la gestione per la liquidazione e la riallocazione del personale presso la Corte dei Conti. Dal testo della Costituzione viene eliminato anche il riferimento alle Province che vengono meno quali enti costituzionalmente necessari, dotati, in base alla Costituzione, di funzioni amministrative proprie.

Titolo V della Costituzione Repubblicana. Viene soppressa la competenza concorrente, con una redistribuzione delle materie tra competenza esclusiva statale e competenza regionale (specie su Trasporti e Sanità vengono proposti consistenti varianti, apparentemente, di tutela dello Stato). Viene introdotta una ‘clausola di supremazia’, che consente alla legge dello Stato, su proposta del Governo, di intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell’interesse nazionale.

Più in dettaglio, giusto per andare a curiosare fra le centinaia di proposte e controproposte che si sono succedute, a volte sovrapposte in questi tempi di beep, tweet e FBookering, ricordo buona parte delle proposte del 10 febbraio regolarmente depositate presso la Segreteria della Camera dai rappresentanti grillini e che a converso possono darci qualche elemento in più di valutazione.

La prima cosa che si chiede al premier Matteo Renzi è di ordine procedurale e, sostanzialmente, si potrebbe concretizzare con una “risposta” comprensibile e riconoscibile alle richieste depositate. Il messaggio – inizialmente informale, del 25 gennaio – è affidato ad un post, firmato dal vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, dal Portavoce M5S presso la Camera Danilo Toninelli, da Paola Carinelli e Vito Petrocelli, capigruppo di Camera e Senato e dallo stesso Beppe Grillo e da Gianroberto Casaleggio: “Dall’inizio degli incontri con il PD, era stata annunciata una consultazione on line che avrebbe approvato o respinto un eventuale accordo: avremmo voluto sottoporre a questa consultazione un testo preciso. Nell’incontro di giovedì 15 attendevamo dal PD un’ apertura su preferenze, clausole di sbarramento e premio di lista e non di coalizione, oltre che in tema del Parlamento pulito”. Nel ‘post’ il Movimento lamenta che il PD ha “incassato” l’apertura dei 5S limitandosi a “generiche disponibilità a discutere e subordinando ‘accordo alla disponibilità di Forza Italia”. Siamo ormai al 20 del mese del mese scorso e ci sarebbe dovuto essere un successivo incontro, ma “ l’assoluzione di Berlusconi ed il conseguente rafforzamento del patto del Nazareno hanno gettato una diversa luce sulla tattica dilatoria attuata dal PD”. Sempre nella stessa fonte grillina si può leggere : “Allo scopo di dare ai cittadini la possibilità di avere una legge elettorale nata dal confronto tra le due principali forze politiche del Paese, e non dagli accordi segreti presi con un condannato” il Movimento apre nuovamente a Renzi proponendo 6 punti di confronto”.

A premessa il ‘post’ chiarisce: “Il M5S accetta un premio di maggioranza a condizione che esso risulti compatibile con i limiti di costituzionalità fissati dalla Corte Costituzionale che, con la sua sentenza di gennaio, ha bocciato la Legge Calderoli – il “Porcellum – ritenendo non ragionevole e lesivo del principio di rappresentanza un premio che ha trasformato una quota elettorale del 29,5% in un 54% dei seggi” pertanto – chiarisce ancora il Movimento – “il premio non è ragionevole se non è espresso in una quota fissa e contemporaneamente non fissa una soglia minima per ottenerlo – ad esempio il 40% – per arrivare a qualsiasi valore: non è possibile che il partito A che abbia ottenuto il 25% dei voti ottenga il doppio dei seggi o più. Dunque, per restare nei limiti della sentenza della Corte, occorre preliminarmente stabilire o una soglia minima per ottenere il premio – ad esempio il 35% o 40% – oppure fissare il premio in una cifra fissa”.

In questo contesto, chiarisce il ‘post’, nel primo punto “il doppio turno diventa un ulteriore elemento distorsivo, che aggrava la situazione” per questo, passando al secondo punto, “il M5s è disponibile ad accettare un premio di maggioranza in quota fissa – il 15% pari a 94-95 seggi – oppure un premio finale che assicuri la maggioranza assoluta al vincitore, ma a condizione che si stabilisca una soglia minima per poterlo ottenere , cioè che il partito vincente abbia ottenuto almeno il 35% dei voti al primo turno”. In tema di garanzie costituzionali il Movimento specifica nel terzo punto: “il premio di maggioranza è accettabile solo se accompagnato a diversi meccanismi di garanzia costituzionale come rivedere la titolarità del potere di elezione dei giudici costituzionali o le maggioranze richieste, altrettanto per il Presidente della repubblica e per il processo di revisione costituzionale”. Questo per evitare, scrivono ancora i grillini di mettere a repentaglio l’indipendenza della Corte Costituzionale: “La maggioranza, senza molto sforzo potrebbe appropriarsi dei 5 giudici costituzionali di nomina parlamentare, poi del Presidente della Repubblica che, a sua volta, potrebbe nominare 5 giudici dello stesso indirizzo e, con questo, produrre una maggioranza precostituita anche nella Corte”.

Nel quarto punto è ribadito come si ritenga “qualificante il ritorno all’elezione dei deputati attraverso il metodo delle preferenze” secondo quanto espresso dalla sentenza della Corte Costituzionale. Il pericolo del voto clientelare sarebbe evitato, secondo i grillini attraverso “il voto disgiunto fra voto di lista e voto di preferenza”. Il quinto punto è dedicato alle coalizione e alle clausole di sbarramento: “il M5s ha segnalato l’opportunità di assegnare l’eventuale premio di maggioranza al singolo partito e non alle coalizioni – si legge – che spingono a grandi ammucchiate prive di unità politica e che, dopo il voto, si sciolgono rapidamente. Perché questa misura sia efficace, occorre completarlo eliminando le soglie di sbarramento o, ridurle a valori minimi perché diversamente, quello che è uscito dalla porta rientrerebbe dalla finestra: i piccoli partiti a rischio quoziente si vedrebbero costretti ad entrare nelle liste di quelli più grandi, sacrificando la loro visibilità”. Nell’ultimo punto, il sesto, viene chiarito un altro aspetto ” le soglie di sbarramento diventano un modo surrettizio per accrescere il premio di maggioranza, infatti, anche fissando al 2% la soglia, se ci fossero 7-8 partiti che ottenessero in media l’1,5% ci sarebbe un 10-12% di seggi non assegnati che andrebbe al partito vincitore, il cui bottino elettorale si accrescerebbe di un buon 5-6%”. Come sia andata a finire è sotto gli occhi di tutti. Ad un certo punto di tutti questi “suggerimenti al Governo” ne è rimasto solo uno, quello riguardante i referendum senza quorum predefinito, ma nemmeno questo è stato preso in considerazione. Il Consiglio del Principe (usurpatore) Giovanni aveva già deciso come comportarsi e lo sceriffo di Nottingham (l’on. Guerini?) senza problemi ha eseguito, forte dei numeri originari ed acquisiti. Ma….quando arriva Robin Hood (con Re Riccardo e tutto il seguito)?