“I risultati sin qui ottenuti dal nostro Dipartimento, e i progetti a cui stiamo lavorando per gli anni a venire, ci riempiono d’orgoglio: ma come si fa a non essere preoccupati a fronte di un complessivo e costante disinvestimento del nostro Paese sull’università e sulla ricerca? Forse non ci si rende davvero conto che senza ricerca non esiste sviluppo, e il declino è inevitabile conseguenza”. Torniamo a trovare il professor Salvatore Rizzello, direttore del Dipartimento di Giurisprudenza, Scienze Politiche, Economiche e Sociali dell’Università degli studi del Piemonte Orientale, ad un anno dalla precedente intervista, ed è davvero l’occasione per un confronto a tutto campo, quasi una ‘lectio magistralis’ in cui l’economista (ma anche filosofo come formazione di base: e si sente) Rizzello ci aiuta a comprendere quel che davvero sta (purtroppo) succedendo nel Paese, e in particolare in quell’osservatorio/laboratorio di particolare importanza e valore che è l’università italiana. Ma, naturalmente, la conversazione si concentra poi su Palazzo Borsalino, le sue eccellenze accademiche ma anche i sempre più evidenti limiti strutturali. Fino ad affrontare la questione, sempre sul tappeto, del rapporto tra l’Università e la città, e della mancanza di un collegio universitario, “che non è un dormitorio, ma un luogo dove si produce aggregazione e cultura”.
Professor Rizzello, da economista e da manager universitario, come vede l’anno che sta cominciando? Nei giorni scorsi abbiamo letto che il nostro Ateneo beneficerà di alcuni milioni di euro in più di finanziamento: è una buona notizia, no?
(ci osserva in silenzio, riflettendo, ndr) La notizia è certamente positiva, anzi ottima. Ed è la diretta conseguenza della qualità espressa dal nostro ateneo, sia sul fronte della didattica che della ricerca. Tuttavia, non dobbiamo lasciarci fuorviare: prima di tutto perché di quei milioni di euro, per un complesso calcolo di ripartizione delle risorse, a noi arriverà una cifra marginale. Ma, soprattutto, perché la situazione in cui si trova tutta l’Università italiana, e quindi anche noi del Piemonte Orientale, è di sempre maggior abbandono….
Si riferisce alle politiche governative?
Mi riferisco al fatto che l’Università in Italia, da troppo tempo, è al centro di un processo di progressivo depotenziamento, di risorse ma soprattutto di progetto, che ha trovato certamente nella riforma Gelmini la sua sintesi più tragica. E chi è venuto dopo non ha dato segni di sostanziale inversione di tendenza. Naturalmente non sto ad annoiare i lettori con un mare di dati tecnici e normativi: ma la sostanza è che si sta implementando un modello formativo pericoloso perché completamente standardizzato, e misurato solo in rapporto agli sbocchi di mercato per i laureati. Il che porta inevitabilmente a considerare marginali, e fondamentalmente da abbandonare, le nicchie, da cui invece spesso arrivano sia la qualità che la capacità di innovare. Estremizzo: che vogliamo fare, chiudere tutte le facoltà di filosofia e aprire al loro posto corsi di gestione aziendale, perché questo chiede il mercato? Chiaramente sarebbe una scelta miope, suicida: ma è quel che, in una certa misura, sta avvenendo ovunque. Da noi, ad esempio, negli anni scorsi l’applicazione dei parametri della Gelmini ha portato alla chiusura di una vera eccellenza, come era il nostro corso di laura in Informatica Giuridica. Un grave errore, se si vuole considerare l’Università come incubatore di sviluppo e di innovazione.
Il tutto è strettamente connesso al tema risorse scarse: nel suo dipartimento qual è la situazione?
Da noi, come ovunque, c’è da troppi anni ormai il blocco del turn over: e se prima la logica era quella del 20% (ossia un nuovo assunto ogni cinque persone che se ne vanno: sia per il corpo docente che per quello amministrativo), oggi applichiamo una serie di formule che, nei fatti, si rivelano ancor più penalizzanti. A Palazzo Borsalino attualmente possiamo contare su 56 docenti strutturati, più naturalmente assegnisti di ricerca, dottorandi e docenti a contratti. Ma l’organico docente ha perso in pochi anni una decina di unità, e posso assicurare che oggi si fanno i salti mortali per assicurare un alto livello qualitativo della didattica. Impossibile però che tutto ciò, alla lunga, non comporti un danno sul fronte della ricerca.
Eppure il vostro è un Dipartimento in crescita, come tutto l’Ateneo del resto…
Assolutamente sì: il numero esatto degli iscritti al del Dipartimento di Giurisprudenza, Scienze Politiche, Economiche e Sociali è complessivamente 1.674 studenti, di cui 449 matricole. Questo è stato l’anno della stabilizzazione, dopo il boom dello scorso anno con l’apertura del corso di laurea in Economia, sdoppiato da Novara, mentre là con lo stesso criterio è stato sdoppiato quello in Giurisprudenza. Non solo: stiamo già lavorando (perché la programmazione è fondamentale) ad un potenziamento della specialistica di Economia, per cui dal prossimo autunno i nostri studenti potranno contare su un’offerta ancora più ampia e articolata.
Professor Rizzello, apriamo la delicata questione della logistica. Ci lasciammo un anno fa segnalando i limiti strutturali di Palazzo Borsalino, e con l’auspicio che fosse avviato un percorso per creare una vera cittadella universitaria. Si parlò di ex caserme (la Valfrè, ma anche quella di via Cavour, a pochi metri da qui), e anche di possibili soluzioni al quartiere Orti. Oggi che novità ci sono?
Poche, purtroppo, e solo sul nostro ‘fronte interno’: nel senso che stiamo cercando di ricavare più spazio e più aule qui a Palazzo Borsalino. Con l’imminente trasferimento del Museo del Cappello nell’androne al pianterreno riusciremo a ridisegnare parzialmente gli spazi, e realizzeremo tre nuove aule, e anche nuovi spazi per servizi agli studenti al pianterreno. A gestire le operazioni edilizie sarà l’Ateneo, non il Dipartimento. Ma le criticità, in prospettiva, rimangono tutte….
Ma, sempre posto il contesto di risorse scarse, di chi è la responsabilità? Chi è che dovrebbe muoversi, o fare di più?
Ci sono diversi livelli. Certamente l’Edisu, ossia l’Ente per il diritto allo studio della Regione Piemonte, risente di un approccio ‘torinocentrico’, tanto che esiste anche una articolata proposta dei nostri studenti affinché sia creato una sorta di Edisu 2, dedicato proprio alle esigenze del resto del Piemonte. Ma esiste, inutile negarlo, anche un problema di istituzioni legate al territorio: qui ad Alessandria, è noto, solo la Fondazione CrAl sta mantenendo pienamente fede agli impegni presi con l’Ateneo (che prevede un finanziamento annuale di 250 mila euro), mentre Comune di Alessandria e Provincia, che si erano impegnate per cifre analoghe, non solo si sono ‘sfilati’, ma neppure mi pare stiano dando segnali concreti di coinvolgimento e partecipazione. Come la vicenda della ex Caserma dei Carabinieri, qui di fronte, peraltro dimostra.
Lei sa bene che qui si ‘naviga a vista’ da anni Professore, ‘traghettati’ da una emergenza all’altra…
Lo so perfettamente. Ma vorrei che fosse anche chiaro ai diversi player territoriali alessandrini che l’Università può essere una straordinaria leva di crescita e sviluppo di tutta l’area, se la si vive in maniera partecipata, e la si integra nella città. Siamo in primi posti delle classifiche nazionali della didattica, e della ricerca. Ci sono studenti che da tutta Italia (poiché ormai con la rete le informazioni hanno una circolazione rapidissima) si informano e sono affascinati da quel che proponiamo. Ma poi magari si ritraggono scoprendo che non esiste un collegio universitario, che le mense sono disagevoli, che i servizi e anche l’intrattenimento che la città offre a chi sceglie di vivere qui sono a dir poco insoddisfacenti, per usare un eufemismo. E quando parlo di collegio universitario, vorrei fosse chiaro, non penso ad un dormitorio, a semplici posti letto. Mi riferisco ad una ‘cittadella degli studenti’, che diventi laboratorio culturale e creativo costante, e che stimoli Alessandria a crescere. Le faccio un paragone, impietoso ma necessario, con Novara, che fa parte del nostro stesso ateneo: ecco, si vada a fare un giro là, e ci vadano magari anche gli amministratori alessandrini, per capire come in quel caso il territorio ha risposto presente, investendo e credendoci davvero. Poi non ci si può stupide se Novara cresce, dal punto di vista economico, e l’alessandrino disinveste.
Anche in questo contesto non agevole, professor Rizzello, progetti in stretta sinergia con il territorio ne avete però messi in pista diversi: come stanno andando?
Benissimo, con grande soddisfazione dei soggetti via via coinvolti. Ne cito solo alcuni. L’ottobre scorso a Stresa, alla presenza del presidente della Regione Piemonte Chiamparino, abbiamo presentato uno studio innovativo sul concetto di territorialità: cos’è, come si misura, come viene percepita. Il tutto con un approccio multidisciplinare molto apprezzato. A marzo presenteremo i risultati dell’indagine commissionatoci dalla Camera del Lavoro di Alessandria sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, mentre particolare rilievo ha avuto la ricerca portata avanti negli anni sul ‘caso’ Quattordio: un paese di poco più di mille abitanti che è stato completamente rivoluzionato, in tutte le sue dinamiche economiche, ma anche sociali, assistenziali e culturali, dalla crescita di un’azienda inizialmente ad impronta famigliare, (la Invex, successivamente passata sotto il controllo di multinazionali) che ha offerto occupazione a migliaia di persone, appunto plasmando e ridisegnando l’intero territorio circostante, anche sul piano sociale e politico. Ma potrei citare anche studi su eternit e amianto, sulla sanità territoriale, sulla pubblica amministrazione locale.
Parliamo anche di internazionalizzazione: i vostri studenti si perfezionano all’estero, viaggiano con l’Erasmus e con altri progetti similari?
Sempre di più per fortuna, e ormai sono diretti in tutto il mondo. Ma questo vale anche per i nostri docenti, che tengono corsi in università francesi, inglesi, statunitensi. E naturalmente esiste anche una mobilità in entrata, per cui abbiamo ad esempio attualmente in organico un docente cileno, uno tedesco, uno anglosassone. E siamo anche ricettivi rispetto agli studenti stranieri, per i quali però, al di fuori dell’offerta formativa strettamente universitaria, ricadiamo naturalmente nei limiti di cui abbiamo già parlato in precedenza: una maggior integrazione tra università e territorio è l’elemento su cui Alessandria deve saper scommettere per gli anni a venire.
Ettore Grassano