di Dario Caruso.
Oggi ho fatto quattro passi in centro a Savona.
Giusto per non tradire il tradizionale shopping natalizio.
Spese poche e mirate ai parenti più stretti e a una ristretta cerchia di amici.
E a me.
Con il pensiero rivolto al percorso da fare (giro di qua, faccio il corso così arrivo velocemente eccetera), mi cade l’occhio su una fessura di un muretto.
All’interno una siringa, di quelle che non vedevo dalla fine degli anni Settanta; allora gli angoli più bui dei giardini della città ne erano disseminati.
Erano belli i tempi in cui camminavi per strada e vedevi quello rovinato, la parlata biascicata, i denti a pezzi, la pelle purulenta, i vestiti stracciati. Potevi additarlo dicendo: “È un tossico…” lasciando poi le seguenti considerazioni non alle parole ma ai pensieri.
Belli quei tempi.
Oggi le droghe sono più subdole, meno visibili. Ti prendono senza che neanche te ne accorgi.
Oggi i tossici sono belli, parlano forbito, vestono bene, hanno denti brillanti e capelli impomatati, la pelle liscia e un fiorente conto in banca.
La siringa – dicevo – è poggiata con cura nella fessura del muro, il muro è di fronte all’ingresso di una scuola primaria. A pochi metri dal portone principale, cinque, forse sei.
Ho avuto una strana sensazione, come di assistere al film “Quo vadis” e vedere una comparsa con l’orologio al polso.
Strano.
Il tempo che passa fa male quanto una dose di eroina.