Educazione al rischio

Soro Bruno 2di Bruno Soro
www.cittafutura.al.it

 

“Al TDRMC siamo convinti che si debbano integrare nozioni di riduzione del rischio nel sistema educativo, nel curriculum scolastico. Bisogna cominciare dalle scuole primarie e continuare fino a quelle secondarie”.
K. Munadi, direttore dello Tsunami and Disaster Mitigation Research Senter, “La lezione dello tsunami”, Le Scienze, dicembre 2014.
In un recente articolo, Luca Mercalli ha sottolineato come, nonostante la frequenza con la quale le piogge alluvionali hanno colpito l’Italia nell’ultimo anno, episodi simili siano ricorrenti da sempre in questo periodo. Egli giunge poi alla conclusione che in “questi ultimi decenni le previsioni meteo sono migliorate e ormai permettono quasi sempre di annunciare eventi gravosi con 2-3 giorni d’anticipo, ma nel frattempo l’occupazione del territorio da parte di edilizia e infrastrutture è enormemente cresciuta, aumentando così la vulnerabilità, mentre continua a mancare una capillare educazione al rischio della popolazione che permetterebbe di affrontare le grandi piogge con più sicurezza e meno ansia” [La Stampa, domenica 16 novembre 2014].

Difficile dargli torto. La serie quasi ininterrotta di eventi alluvionali succedutisi dai primi di ottobre ad oggi offre lo spunto per qualche riflessione sull’educazione al rischio della popolazione e sull’assenza, almeno qui da noi, di un efficace servizio pubblico di informazione. Sappiamo bene che non esiste evento «a rischio zero»: ogniqualvolta si sale in auto si sottovaluta il rischio che si corre; un rischio che è decisamente superiore a quello di utilizzare un autobus, oppure un treno, una nave o un aereo. Eppure, sovente non ci si pensa e ci si comporta come se il rischio fosse zero: basta osservare il comportamento dei numerosi guidatori e guidatrici, specie se giovani e quindi maggiormente avversi al rischio, i quali mentre guidano l’auto fumano; rispondono al cellulare; si voltano a parlare con il pupo trasportato sul sedile posteriore; non rispettano i limiti di velocità; non danno la precedenza ai pedoni sulle strisce pedonali, e meno che mai alle rotonde; e considerano il giallo ai semafori un invito ad accelerare, anziché a fermarsi. Ciò per non citare che i casi più eclatanti che mi capita di osservare ogni mattina recandomi alla stazione.
Quanto ai pericoli da eventi alluvionali, grazie alla diffusione dei computer e della rete, se si è consapevoli di vivere in una zona a rischio inondazione, come capita a molti alessandrini e non solo agli abitanti del quartiere Orti (il più colpito in termini di vittime nell’alluvione del novembre 1994) e si è minimamente accorti, esiste oggi, a differenza di allora, la possibilità di controllare la paura e di ridurre lo stress da rischio alluvione.

Molte cose sono cambiate da quel lontano novembre 1994: gli argini dei fiumi eranoAlluvione Coldiretti precari; i ponti della ferrovia e il ponte Cittadella avevano arcate di soli 12 metri di larghezza (ora sia il vecchio ponte della ferrovia, sia il ponte Forlanini sono stati ricostruiti con arcate più ampie e al posto del ponte della Cittadella sta sorgendo il nuovo ponte Meier); la massicciata della ferrovia non era protetta da arginature; non esistevano le «fasce di espansione» (oggi rimodulate e protette da nuove arginature da Alba fino alla confluenza con il Po); la strettoia di attraversamento di Alessandria era in alcuni punti molto ristretta (ora è stata allargata e protetta anch’essa da nuove per quanto antiestetiche arginature); le informazioni della protezione civile venivano trasmesse via fax (uno strumento ancora utilizzato, benché obsoleto); la catena di informazioni messa in atto dalla neonata Associazione di volontari per la protezione civile Orti Sicuro, costituitasi nell’estate del 1995, per controllare i livelli del fiume si basava su contatti telefonici con i parroci delle parrocchie dei centri toccati dal Tanaro; le arginature a tutela delle esondazioni del Bormida erano inadeguate e non esisteva la tangenziale che agisce da argine a protezione delle piene del Bormida e del Tanaro.

I lavori fatti eseguire dall’Agenzia Interregionale per il fiume Po (AIPO), che per entità ed estensione non hanno forse eguali in Italia, nonché la verifica della portata del Tanaro ad Alessandria (in sicurezza per un evento statistico con un tempo di ritorno di due secoli), hanno sicuramente aumentato la sicurezza della città dalle esondazioni dei fiumi, la quale verrebbe ulteriormente aumentata qualora venisse attuato (attingendo ad esempio ai fondi europei) quel sistema di casse di esondazione della piena del Tanaro messo a punto dal Centro Internazionale di Idrologia “D. Tonini di Padova”. Come si ricorderà, tale studio è stato illustrato nel luglio del 2005 dal professor Andrea Rinaldo in un Consiglio comunale aperto a tale scopo dedicato, e successivamente discusso, nella primavera dell’anno successivo, dall’ing. Federica Pellegrini in un apposito seminario.

Tuttavia, anche in relazione ai mutamenti climatici in atto, nessuno può escludere che possa verificarsi un evento alluvionale tale da superare la portata (teorica) del fiume; portata, stando agli studi dei professori Seminara e Bolla Pittaluga dell’(ex) Dipartimento di Ingegneria Ambientale (ora conferito nel Dipartimento di ingegneria civile, chimica e ambientale) dell’Università di Genova, fissata in 3.500 m3 al secondo. La «fascia C» del Piano delle fasce fluviali per la difesa dal rischio idraulico, un piano approvato dall’Autorità di Bacino del fiume Po nell’ormai lontano 2001 (chi se ne ricorda più?), evidenzia proprio la parte di città che verrebbe inondata dalle acque nel caso di un evento catastrofico.

Dunque, se il «rischio zero» non esiste, esiste pur sempre un «rischio calcolato» (ed un corrispondente «pericolo latente»), per fronteggiare il quale occorre, innanzitutto, essere consapevoli dell’esistenza del rischio stesso (per quanto mitigato rispetto a vent’anni fa) e la necessità di tenersi costantemente informati. In altri termini, come scrive Luca Mercalli, occorre una «educazione al rischio», senza aspettarsi che vi sia sempre qualcuno che dice agli altri che cosa fare.

Nello stretto giro di un paio di settimane il numero degli accessi al sito di Orti Sicuro è più che raddoppiato, passando da poco più di 20 mila a oltre 40 mila. Ma l’educazione al rischio non consiste solo nell’accedere alle informazioni e guardare l’evoluzione dei livelli idrometrici come se si fosse sulla sponda virtuale dei corsi d’acqua, occorre anche (soprattutto) saperle interpretare correttamente. Sta di fatto che anche da quando Orti Sicuro ha visto la luce molte cose sono cambiate: alcuni soci, tra i quali il più attivo era sicuramente il professor Roberto Nani, ma anche qualche “responsabile di via”, non sono più tra noi; altri hanno deciso di andare a vivere altrove; il Gruppo di Lavoro Museo del Fiume-Alessandria Nord, con il quale Orti Sicuro ha collaborato in tutti questi anni, ha recentemente chiuso i battenti; gli avvisi non vengono più recapitati per lettera dai “responsabili di via”, ma spediti via mail o rintracciabili sul sito di Orti Sicuro.

Se, come recita l’art. 4 dello Statuto, lo scopo dell’Associazione è principalmente quello “di promuovere e svolgere attività di previsione, prevenzione e soccorso in vista o in occasione di calamità naturali, catastrofi o eventi similari, nonché di formazione nella suddetta materia, con particolare riguardo al monitoraggio del corso dei fiumi e alla sensibilizzazione della popolazione del Rione degli Orti” -, con l’attivazione del sito internet tale scopo sembrerebbe essere realizzato. Ma con l’organizzazione attuale, che si limita, di fatto, alle riunioni settimanali del Direttivo, alla implementazione del sito stesso, alla gestione amministrativa dell’Associazione e all’organizzazione del pranzo sociale, non è più possibile, specie nelle situazioni di allertamento, far giungere l’informazione capillare a tutti gli abitanti del Quartiere. In altri termini, l’«educazione al rischio» richiede che ciascuno si attivi per rimanere sempre in contatto (telefonico, ma anche a mezzo della posta elettronica) con i volontari che animano la sede dell’Associazione. Ma vale pur sempre il detto proverbiale: “aiutati che il ciel t’aiuta”.