Nei primi giorni dopo le alluvioni l’esecrazione è generale, si cercano i colpevoli, anche chi è scettico sul riscaldamento in atto del pianeta impreca contro il clima, le bombe d’acqua, si fa la conta dei danni e si improvvisano piani, interventi strutturali, nuovi appalti che, se attuati, finiscono per causare futuri nuovi disastri. E non è vero che quelle accadute da ultimo, tra la metà di ottobre e di novembre, abbiano rappresentato una novità o siano state imprevedibili, visto che dal 2002 a oggi – secondo l’ultimo rapporto Ance-Cresme – si sono verificati in Italia quasi 2000 episodi di dissesto idrogeologico e il 2013 ha fatto segnare un triste primato con 351 eventi tra frane e alluvioni.
Ma, dato ancora più preoccupante, nel solo mese di gennaio di quest’anno sono stati registrati ben 110 episodi. E a causa del dissesto le vittime, in poco più di cento anni, tra morti, dispersi e feriti, sono state 12600 e 700 mila gli sfollati.
Per il Piemonte e Alessandria, oltretutto, il mese di novembre di quest’anno segnava l’anniversario della tragica alluvione di venti anni fa, nella quale perirono 12 persone.
Ma basta passi qualche giorno, subentrino nuove emergenze e – come ha dichiarato il presidente Rossi della Regione Toscana – giungono agli amministratori richieste di derogare alle regole e di concedere la lottizzazione dove non si può. Così, a iniziare dal dopoguerra, governi di ogni colore hanno chiuso gli occhi per non vedere che l’Italia è il Paese più fragile d’Europa, col 10% del territorio ad elevato rischio idrogeologico, il 44% a elevato rischio sismico, mezzo milione di frane in movimento. Ad essere coinvolto è l’82% dei Comuni e sono oltre 5 milioni e 700 mila i cittadini che vivono in aree di potenziale pericolo. Mentre il costo complessivo dei danni provocati in Italia da terremoti, frane e alluvioni, dal 1944 a oggi, è pari a 242,5 miliardi di euro, circa, 3,5 miliardi all’anno! Quanto avremmo risparmiato con una saggia prevenzione? Parecchio, visto che il citato rapporto per mettere in sicurezza l’intero territorio italiano stima la spesa di 1,2 miliardi l’anno, per vent’anni. Dunque l’opera di prevenzione non rappresenta solo un investimento, ma un notevole risparmio.
La storia della cementificazione del Paese si può far iniziare dal 1963, quando la Democrazia Cristiana rinnegò l’ottima legge urbanistica di Fiorentino Sullo e spense gli ambiziosi disegni riformatori del primo centrosinistra. Da allora per effetto di leggi nazionali e regionali, piani casa, piani regolatori, condoni e cospicui interessi sono stati occupati 5 milioni di ettari di suolo agricolo. Ma – come ha sostenuto Salvatore Settis – nessun governo ha finora avuto il coraggio di fare una spregiudicata analisi degli errori. E pure l’attuale, nel recente “Sblocca-Italia”, prevede per la manutenzione del territorio un contentino di 110 milioni, a fronte di quasi 4 miliardi di spese in nuove “grandi opere” che accresceranno la fragilità del territorio. D’altronde se si affida il ministero dei lavori pubblici a Maurizio Lupi non ci si può che aspettare questo, visto che, ancora recentemente, ha dichiarato alla Camera (10 novembre c.a.) di essere tuttora favorevole alla realizzazione del Ponte sullo Stretto. Quando l’unica, vera “grande opera” di cui il Paese ha urgente bisogno e che, in più, creerebbe moltissimi posti di lavoro, è la messa in sicurezza del territorio.
In questo difficile contesto un segnale positivo viene dalla Regione Toscana con l’approvazione il 29 ottobre della nuova Legge Urbanistica che pone uno stop al consumo di suolo, al via libera dato dai comuni a milioni di metri cubi di volumetrie solo per compensare, attraverso gli oneri di urbanizzazione, i tagli dello stato. Le nuove edificazioni non si potranno realizzare oltre il perimetro della città e nuovi interventi di edilizia residenziale dovranno essere fatti attraverso la rigenerazione, il riuso, la ristrutturazione dell’esistente, con consumo zero di territorio, mentre il suolo agricolo è tenuto integro per l’agricoltura e per le generazioni future. Commentando le politiche errate del passato sull’utilizzo del territorio il Presidente Rossi ha dichiarato che: “Comuni, Province, Regioni e lo stesso governo nazionale debbano chiedere scusa ai cittadini”. In particolare, poi, la sinistra “dovrebbe riappropriarsi della cultura della legalità e del governo del territorio dove, in questi anni, non è stata all’altezza di una elaborazione culturale”.
Per Alessandria un nuovo Piano Regolatore
Per una realtà, sotto il profilo idrogeologico e idrografico, particolarmente complessa e vulnerabile come quella presente nel territorio del Comune di Alessandria la richiesta di arrestare il consumo di nuovo suolo, di dire basta a nuove aree urbane e alle costruzioni nelle aree a rischio, significa definire con sollecitudine un nuovo piano regolatore e, insieme, dare applicazione a un punto previsto nel programma di mandato del Sindaco. Per arrestare una disordinata, sfrangiata e periferica cementificazione di suolo agricolo con nuove costruzioni, inutili villette a schiera che richiedono nuove strade, parcheggi e servizi, destinate a rimanere, in larga parte, invendute e inoccupate o abbandonate da costruttori falliti. Visto che la popolazione della città non cresce e già vi sono migliaia di alloggi vuoti. Mentre si incrementa il dissesto idrogeologico, causa prima di ogni alluvione, visto che un ettaro di suolo non urbanizzato trattiene 3,8 milioni di litri d’acqua. E così può capitare che con una piena non eccezionale del Tanaro finisca sottacqua, come è successo, la chiesa di San Michele che si era salvata nel ’94.
E se i fenomeni alluvionali e delle piene del 13 e del 15 novembre hanno, questa volta, soprattutto, interessato il bacino della Bormida che, ingrossata dai suoi affluenti, ha raggiunto in altezza, nel passaggio in città, nuovi record, la possibilità di piene contemporanee con il Tanaro non si può escludere. Per questo la garanzia fornita dai responsabili di Aipo per il nodo idraulico di Alessandria con i 3500 metri cubi al secondo riferiti alla piena del Tanaro, ottenuti attraverso il sistema degli argini e la chiavica per il rio Loreto, non tranquillizza e non risulta sufficiente. Infatti i calcoli delle diverse e numerose stime della portata del fiume nel novembre ’94 concordano nel ritenerla di almeno 4000 metri cubi. Occorre quindi ridurre a monte della città le piene, rispettare rigorosamente le aree golenali e realizzare le tre casse di esondazione, previste dal Piano dell’Autorità di Bacino e presenti nel PS45, tra Asti e Alessandria. La disputa sui costi eccessivi riproposta dal responsabile territoriale dell’Aipo va verificata nel merito, ma non regge a fronte dell’obiettivo della sicurezza e stona se si valutano i costi sin qui sostenuti specie per l’abbattimento e il rifacimento di ponti – come quello degli Orti e lo stesso Cittadella – che non si è mai dimostrato, sotto il profilo scientifico, fossero necessari per il conseguimento della sicurezza idraulica della città.
*Capogruppo SEL Comune di Alessandria