Inutile nascondercelo, la situazione è davvero difficile, il clima pesante. Mentre il premier Renzi spiega a Repubblica perché il suo Pd è un partito di sinistra (senza più il trattino ‘centro-sinistra’ ad attenuarne la natura, “e progetto condiviso da milioni di persone”), e altri sostengono invece che il suo è un approccio ai problemi da classica destra liberale filo industriale, noi proviamo a partire dalle cose, dalla realtà che ci circonda. E a bocce ferme, naturalmente, torneremo anche sulle elezioni regionali di ieri: in cui il 62% di astenuti in Emilia Romagna, nella regione del grande Pci e di Prodi, qualcosa di decisivo a Renzi lo sta dicendo, e il ragazzo farebbe bene ad ascoltare e riflettere.
Ma per oggi stiamo, appunto, su casa nostra. “Non possiamo neanche più consolarci, come faceva Berlusconi, dicendo che i locali sono pieni”, ironizzava venerdì sera un amico guardandosi attorno, in un bel locale alessandrino semivuoto. E poi, da persona più dentro del sottoscritto ai meccanismi degli enti locali e dell’associazionismo professionale, partiva con l’elenco delle dismissioni, delle chiusure, delle risorse del 2015 che nella sua realtà sono 1/3 di qualche anno fa, e non bastano neppure per stipendi e mutui. Poi si è passati a Confapi che chiude, Confindustria che emigra, le Camere di Commercio delle diverse province che boccheggiano e via così.
“A casa tutti bene?” ci siamo detti ad un certo punto, tanto per sdrammatizzare un po’. Ma l’impressione è proprio quella di un Paese che dismette, e di un premier che fa il suo (difficile, nessuno lo nega) mestiere con un po’ troppa disinvoltura, faciloneria, superficialità. Non sappiamo, non conoscendolo, se Renzi ci fa o ci è proprio, e se attorno a lui davvero il livello è basso, come sempre più si sussurra in giro, e come diceva il mitico Pazzaglia trent’anni fa a Quelli della notte, accompagnando l’affermazione con un sospiro, e un gesto emblematico.
Però certamente basta pensare alle emergenze ambientali dell’ultimo mese (non casuali, ma conseguenza logica di scelte ed errori del passato), al mercato del lavoro che giace moribondo, ma anche ai diritti civili dei deboli sempre più calpestati (la vicenda Eternit è eclatante da questo punto di vista, ma anche il numero sempre maggiore di persone senza casa e senza cibo dovrebbe far riflettere), per capire che davvero qualcosa di tragico già si sta compiendo. L’impressione è che, da parte di chi governa Stato e Regione (meno gli enti locali, che sono i soggetti terminali più consapevoli, perchè a vivo contatto con la realtà), ancora si pensi di poterne uscire con mezze misure, traccheggiamenti, qualche trucchetto qua e là. Soprattutto, è imbarazzante constatare come, ogni volta, vengano annunciate riforme risolutive che poi si rivelano modesti maquillage, che smontano ‘pezzi di esistente’ senza sostituirli con nulla. La classica ‘toppa’ peggiore del buco. Così però è difficile che si concretizzi uno Stato più leggero o meno opprimente: in compenso il rischio/quasi certezza è di andare dritti verso il caos, a velocità accelerata.