Sull’altra sponda del Mediterraneo (5)
Hakim è uno degli esponenti di maggior rilievo dell’Associazione Marocchina per i Diritti Umani (AMDH), nonché organizzatore delle protesta pacifica svoltasi a Rabat il 16 novembre. Capelli ricci e folta barba dall’odore di sigaretta, carismatico e dalla tempra rivoluzionaria, non smette un istante di mantenere viva la protesta attraverso il suo megafono.
Terminata la manifestazione, è impossibile avvicinarsi ad Akhim: tutti vogliono parlargli, salutarlo, ringraziarlo o anche solo fargli domande. Io mi lancio in mezzo alla folla, facendo a spallate per potergli parlare, e nel frattempo cerco anche di pensare quali domande porgli.
Finalmente riesco ad avvicinarmi e incomincio a fare domande in un originale quanto imbarazzante mix di arabo classico, darija (marocchino) e francese. Lui, sorridendomi, mi risponde in un perfetto al-fusha (classico) e io a poco a poco mi perdo nella verbosità del suo discorso che ho potuto riportare grazie alla registrazione sul cellulare che una mia amica fotogiornalista ha gentilmente tradotto in inglese.
Hakim, quante persone ci sono oggi?
Qui presenti? Abbiamo una stima, circa 1000. Tra i 700 e i 1000.
Che cosa manca in Marocco in materia di diritti? Che cosa difendete oggi?
Prima di tutto, siamo un’associazione marocchina (AMDH, ndr) e siamo quelli che hanno organizzato la protesta oggi. Principalmente perché ci è stato proibito di fare ogni tipo di attività, soprattutto i meeting dove possiamo prendere decisioni. Il governo sta danneggiando la reputazione del Paese in tutto il mondo. Quindi questa associazione lavora per poter prendere decisioni valide e ragionevoli. E abbiamo collaborazioni con associazioni conosciute in tutto il mondo come Amnesty International e Human Rights Watch. Il governo sta provando a tenerci lontani dal processo decisionale. Questa protesta è per manifestare che non siamo autorizzati a fare attività pubbliche. Negli ultimi tre mesi ci hanno proibito di riunirci e di incontrarci fuori dai nostri uffici. Non possiamo radunarci in strada.
Quante cose vi sono state proibite negli ultimi tre mesi?
Uscita pubblica annuale, raduno in spazi pubblici e non abbiamo il permesso per rendere le nuove associazioni legali e riconosciute.
A propositi di Diritti Umani, cosa ne pensi della situazione dei migranti Sub-Sahariani che vivono a Nador e Oujda?
Noi difendiamo l’idea di rinunciare ai confini (in merito alla contesa territoriale per Ceuta e Melilla, ndr) e permettere ai migranti di muoversi legalmente nel paese. I sub-sahariani devono essere liberi moralmente di restare in Marocco. Il governo non dovrebbe decidere per loro.
Perché il Marocco ha evitato la Primavera Araba?
Il Marocco è stato presente nella Primavera Araba con il “Movimento 20 Febbraio” che è ancora operativo. Loro difendono gli stessi diritti degli altri paesi del Maghreb, ovvero che il Parlamento dovrebbe essere libero, il governo dovrebbe essere libero e la Costituzione democratica. Il motivo principale per cui non è avvenuta una vera Primavera Araba è che il governo non ce l’ha permesso. Minacciava il popolo intimando di non protestare altrimenti avrebbero dovuto pagarne le conseguenze. Ci hanno minacciato con quello che stava succedendo in Siria, dicendo che il Marocco avrebbe fatto la stessa fine se avesse preso parte alle proteste, quindi, ovviamente, la gente non ci ha provato.
Che cosa manca alla vostra protesta? Qual è il vostro punto più debole? Sei ottimista se pensi al futuro?
Prima di tutto, questa è solo una delle tante associazioni in Marocco. I partecipanti arrivano da tutto il paese per protestare contro queste proibizioni. Noi non cederemo finché il governo non ci avrà concesso i diritti che meritiamo, ovvero la libertà, la democrazia e la costituzione. È uno scontro con lo Stato e avviene da molto tempo e se saremo notati allora avremo una possibilità che le nostre voci vengano ascoltate.