«Allora Fabrizio, queste sono le chiavi dello studio 6 della Dear: ricordati di venire un po’ prima, così apri tu e… in bocca al lupo!»
Carlo Conti a Fabrizio Frizzi, L’Eredità
Stasera tocca a me. Alle 18,50 su RaiUno sarò uno dei sei concorrenti de L’Eredità. Non sto a raccontare come ci sono arrivato. Posso dire che la puntata di stasera l’ho registrata il 5 novembre, in un piovoso pomeriggio negli studi Dear del Nomentano, a Roma. Gli stessi della Prova del Cuoco, o di Tale e Quale Show. E ‘sticazzi, direbbero a Roma.
Com’è andata a finire non lo posso scrivere. Sarebbe scorretto e toglierei il gusto di seguire la puntata a chi avrà tempo e voglia di farlo. Certo, posso scrivere altre cose. Per esempio che ho trascorso con mia moglie due bellissimi giorni a Roma, incontrando due amici (uno addirittura di Alessandria) che non vedevo da diverso tempo.
Ho mangiato un piatto strepitoso di tonnarelli cacio e pepe da Felice al Testaccio, grazie all’amico romano che mi ci ha accompagnato (per gli “stranieri” pare non ci sia mai posto, ma se chiama la persona giusta un tavolo si trova sempre). E ho fatto e visto tante altre cose da turista di provincia nell’Urbe.
Tornato a casa, provo a fare due considerazioni sul dorato mondo della televisione, vista dall’interno. Prima considerazione. La tivù è finzione, tendoni scuri, trucco e parrucco, telecamere, luci e microfoni. Un gioco, insomma, un mezzo che è diventato messaggio, come insegnava McLuhan. Una rappresentazione deformata della realtà; anzi, la rappresentazione di una realtà che non esiste. Al punto che l’unica raccomandazione che gli autori fanno in continuazione è “sorridete”. Come se fosse facile.
E’ un mondo a parte, un Giardino dell’Eden plastificato, in cui inevitabilmente ci si rispecchia e ci si rilassa se si commette l’imp(r)udenza di accendere l’apparecchio. Il tempo, in tivù, non esiste. Esiste solo l’orario di quando si andrà in onda. Non ci sono finestre, non si sa se c’è il sole o se piove. Si sta lì, come Pinocchio con Lucignolo nel Paese dei Balocchi, aspettando di “passare”. Per dire, sono entrato in Rai alle 14,30 e la registrazione è iniziata alle 18,30. Che cosa ho fatto in quelle quattro ore?
Seconda considerazione. La tivù crea dipendenza. Non solo a guardarla, ma anche (e soprattutto) a farla. Chi sta in tivù vuole restarci, anche solo a fare il tronista di terza classe di un programma che va in onda alle due del mattino. Il video è una droga, e non è un caso se alla fine nelle varie trasmissioni girano sempre le stesse facce. Trattasi di terapia per aumentare l’autostima, e sono certo che molti pagherebbero per stare davanti a una telecamera.
Vanità, narcisismo. Aspettando il mio turno di “trucco e parrucco”, avevo davanti a me l’attrice Paola Minaccioni (qualcuno la conoscerà, immagino). Mentre la pittavano come la Madonna di Pompei, era tutto un “tesoro”, “cara”, “bellissima, vedrai come starai bene”… Ditemi, come si fa a stare senza? Sì, anch’io vorrei stare tutti i giorni in un posto così, dove ti coccolano e da casa non vedono l’ora che tu dica “Signore e signori, benvenuti a…”. A ‘sticazzi n’artra vorta, direbbero a Roma.
Dimenticavo: il presentatore de L’Eredità adesso è Fabrizio Frizzi, che sostituisce Carlo Conti dall’inizio di novembre. “Com’è Frizzi? Simpatico o antipatico?”, mi hanno chiesto alcuni amici. “E’ simpatico e non se la tira”, ho risposto. Con un’avvertenza, però: l’ho conosciuto in tivù, dove tutto è possibile. Nel mondo reale, chissà…
Stasera, RaiUno, 18,50, L’Eredità.
Zazzarazzà.