Sulla sanità alessandrina (e non solo, naturalmente) tira un’aria sempre più gelata. E se per gli addetti ai lavori ha certamente un forte interesse la prossima ‘infornata’ di nomine che, al più tardi in primavera, ridisegnerà il ‘risiko’ del potere nel settore, le comunità locali sono invece già sul piede di guerra, ed intenzionate ad opporsi con ogni mezzo di una serie di tagli, razionalizzazioni, ridimensionamenti di presidi ospedalieri che, nelle prossime ore e giorni, si trasformeranno da voci in atti amministrativi.
Oggi a Torino Chiamparino e la sua giunta voteranno infatti il piano di riordino ospedaliero che, giovedì prossimo, lo stesso presidente della Regione e il suo assessore Saitta presenteranno al Ministero.
Obiettivo: rispettare i parametri fissati dal ‘patto per la salute’ approvato all’epoca dal governo Monti (ministro della Salute era l’alessandrino Balduzzi), che per il Piemonte vuol dire scendere, subito e senza indugi, da una spesa di 8 miliardi e 300 milioni di euro ad una di 8 miliardi tondi tondi.
Ma davvero per recuperare 300 milioni serve una quasi rivoluzione? Così pare. Il che significa, per casa nostra, il declassamento delle strutture di Tortona e Acqui Terme, mentre Novi e Casale rimangono comunque ospedali di riferimento, e si salva anche Ovada, in quanto area disagiata.
Sul tema, botta e risposta a distanza, venerdì, tra Mimmo Ravetti, consigliere regionale alessandrino del Pd (ma soprattutto presidente della commissione Sanità della giunta Chiamparino) e l’ex dominus della sanità piemontese targata centro destra, Ugo Cavallera.
Mentre Riccardo Molinari, segretario provinciale della Lega Nord, ma anche assessore regionale fino a pochi mesi, punta il dito sulle incongruenze e responsabilità del Pd, e anche sulla sua debolezza a livello alessandrino.
Ravetti venerdì scorso, con il garbo e l’equilibrio che lo contraddistingue, ha spiegato ad un qualificato (anche se un po’ agè, occorre riconoscerlo) uditorio di operatori del settore, presenti al convegno alessandrino organizzato dai sindacati, che “abbiamo ereditato dalla giunta Cota una casa che sta crollando, e non è più tempo di discussioni, ma di interventi strutturali veri e seri, che garantiscano ai piemontesi una sanità pubblica di qualità per i prossimi 50 anni. Dobbiamo riuscire a non abbassare il livello dei servizi, riducendo però i costi”.
Secondo Ravetti, “gli ospedali di Tortona e Acqui non corrono alcun rischio di chiusura. Perdono, questo sì, alcume specialità legate al Dea, ma continueranno ad essere un riferimento per il loro territorio”.
Dura però spiegarlo alle comunità territoriali di riferimento: e se nella cittadina termale a mobilitarsi è anche il vescovo, a Tortona Ravetti (che per il momento rimane anche segretario provinciale del Pd: l’elezione dei nuovi organismi è posticipata al prossimo gennaio) ha la ‘gatta da pelare’ aggiuntiva di un Pd locale che minaccia ricorsi al Tar e alla Corte dei Conti, e le dimissioni in massa dal partito (si fa per dire naturalmente: le masse ai partiti non sono più iscritte da tempo).
C’è poi appunto anche Ugo Cavallera a voler dire la sua: la querelle a distanza con Ravetti è proprio sulle responsabilità della politica: secondo l’ex assessore del Pdl il centro sinistra dopo aver tanto ‘sbraitato’ fino a pochi mesi fa di tutela del territorio, appena arrivato nella stanza dei bottoni ‘taglia’ senza tanti complimenti.
Ravetti, al contrario, venerdì ha dato da intendere che la responsabilità del ridimensionamento degli ospedali di Tortona e Acqui Terme (“ormai irreversibile”) è da ascrivere soprattutto a chi non si oppose con la dovuta determinazione: ossia ai sindaci e alle maggioranze che reggevano le due città nel momento in cui le decisioni furono prese (all’epoca entrambe di centro destra: nel frattempo, a maggio, Tortona ha cambiato sindaco e maggioranza, oggi di centro sinistra).
Di più. Il presidente della commissione Sanità della Regione ha ribadito: “personalmente ero e sono contrario ai ridimensionamento dei presidi ospedalieri di una provincia vasta e variegata come la nostra, e ho grande stima per le battaglie dei comitati di cittadini. Ma oggi la politica deve avere anche il coraggio di guardare al futuro, e di assumersi le necessarie responsabilità: non mi interessa però la polemica, e la ricerca delle responsabilità, che in passato hanno certamente riguardato anche il centro sinistra. Il nostro compito oggi, come maggioranza in Regione, è quello di garantire una sanità pubblica di qualità a tutti i piemontesi per i prossimi cinquant’anni: confrontandoci apertamente con i territori, e ritenendo per quanto mi riguarda i sindacati un interlocutore di grandissimo valore, e da rispettare”.
La sostanza, dunque, è la solita, ma sempre più drammatica, coperta corta. Con un governo che affida alle Regioni il compito di far tornare i conti, ‘spremendo’ ulteriormente i cittadini là dove ancora si riesce (addizionale Irpef, ad esempio), e intervenendo sulla prima voce di spesa, che è appunto la sanità.
Che poi ormai questo Paese sia, a livello di stanze dei bottoni, un monocolore Pd da Roma a Torino fino ad Alessandria, fa sì che all’interno del Partitone (Partito Nazione no però, per favore: non si può proprio sentire) si scatenino inevitabili tensioni territoriali: anche perchè la faccia nel rapporto quotidiano coi cittadini ce la mettono comunque gli amministratori locali. Non Renzi, e neppure Chiamparino.
Naturalmente, in questo contesto parlare di progettualità, investimenti, realizzazione del nuovo ospedale di Alessandria e via dicendo diventerebbe pura fuga virtuale-allucinogena dalla realtà. Prepariamoci ad un 2015 da montagne russe.