Giuseppe Ratto ci ha lasciato.
Avrebbe compiuto ottant’anni nel settembre del 2015: era nato a Ovada il 1° settembre 1935 e ogni volta che se ne parlava Pino ricordava come pochi giorni prima della sua nascita (13 agosto) si era verificato il disastro della diga di Ortiglieto che aveva coinvolto drammaticamente Molare e Ovada. Se n’è andato con il suo amato ovadese ancora in emergenza, proprio come settantanove anni fa.
Laureato in Farmacia, ha esercitato la professione a Genova prima di immergersi in quella che era l’attività tradizionale della sua famiglia: la vitivinicoltura. Ratto ha fatto della coltivazione del vigneto e della produzione di vino la sua filosofia di vita, una filosofia fatta d’innovazione nel rispetto della tradizione, forse un po’ anarchica, forse particolare, sicuramente differente da tanti vignaioli della sua zona, caratteristiche che ne facevano un personaggio unico e particolare, testardo e contrario ai compromessi.
Il Dolcetto era la sua passione, un’opera d’arte che produce con grande passione ma bisogna ricordare anche il Braquette e di questo vino amava ripetere che il metodo di vinificazione altro non era che quello adottato da un suo antenato, cantiniere degli Spinola, che con l’andare del tempo si era però perso e che lui aveva riscoperto e fatto rivivere nelle sue bottiglie.
“La Repubblica” nel 2009 affermava in un articolo il cui titolo era “L’uomo che ascolta il Dolcetto nelle cantine piene di silenzio” che per Pino Ratto la definizione vignaiolo era riduttiva.
Di Pino Ratto non bisogna dimenticare le amicizie, non quelle di facciata ma quelle vere.
Da Luigi Veronelli ai jazzisti di fama internazionale, conosciuto e apprezzato in molti ambienti, sia legati alla sua attività di vignaiolo sia a quelli delle sue passioni. E proprio Veronelli, nel suo libro “Vignaioli storici” del 1988 aveva definito così Pino Ratto: “Uomo di frontiera che sa sperimentare, rispettando la sacralità della Tradizione”.
Amante del jazz – suonava il clarinetto e aveva fatto parte di grandi orchestre, spesso ricordava di aver suonato con Joséphine Baker – e uomo dall’immensa cultura aveva fatto della sua casa un
punto di incontro dove il vino andava a braccetto con la musica e la cultura in generale.
A volte nel sentirlo parlare sembrava di avere di fronte una persona che se la tirava per le esperienze e le amicizie, ma conoscendolo a fondo si capiva cosa c’era veramente sotto: una grande fonte di cultura a cui bisognava saper attingere.
Nella sua vita tra i vigneti si annidavano anche le più assurde stranezze ma non poteva essere altrimenti: dai giapponesi ospitati da lui per capire come coltivare la vigna e produrre il vino alla proposta di terrazzare le colline con allevamenti di gamberi di acqua dolce affinché quando il terreno smottava andava a riempire queste “vasche” dove i gamberi riaffioravano ma il terreno non scendeva a valle trascinando i vigneti.
Pino Ratto è stato, anche, negli anni ‘90 vice presidente provinciale della Confcoltivatori, ora Cia.