Proprio mentre la riforma della legge elettorale sembra entrare nella fase decisiva (sia pur tra manfrine, tensioni vere e finte, tattiche esasperate), ecco ‘la bomba’ del week end: le possibili dimissioni del presidente Napolitano a fine anno.
E anche chi di sfogliare i petali della margherita ‘si dimette, non si dimette, si dimette, non si dimette’ farebbe volentieri a meno, deve per forza fare i conti con le ripercussioni che l’atto porterebbe con sé. Ossia, secondo alcuni ciò significherebbe ipso facto congelare ogni ipotesi di elezioni anticipate almeno per un po’, forse fino al 2016.
Anche perché la ricerca di un nome ‘convergente’ richiederebbe un’intesa tutt’altro che scontata tra le diverse forze in campo (ricordiamoci come andò la vicenda della riconferma obtorto collo dell’attuale Capo dello Stato), in un momento tra l’altro tragico per l’economia italiana. Anche se secondo alcuni ci sarebbe già un accordo Renzi Berlusconi sul nome di “Uolter” Veltroni, detto l’africano. In più, dice la stessa scuola di pensiero, “Renzi ha ormai in mano il Paese: perchè dovrebbe rimettersi in discussione alle urne se non è obbligato?”
Personalmente invece continuo a ritenere le elezioni anticipate opzione assai probabile, per un semplice fatto: l’Italia non ha ancora toccato il fondo, e Renzi lo sa bene. L’attuale ‘scivolamento’ rischia prima o poi di trasformarsi in crollo, per una serie articolata di motivazioni legate essenzialmente al mondo del lavoro e della produzione di ricchezza, il famigerato Pil, ma anche di palese insostenibilità dei conti del moloch pubblico nazionale, e delle sue diverse articolazioni territoriali. Tante delle quali più o meno tecnicamente fallite, se si prova a dare un’occhiata ai bilanci e non ci si ferma agli slogan. A partire dalla Regione Piemonte, per arrivare alle società di servizi pubblici locali.
Ebbene: se questo è lo scenario (e se è illusorio sperare che sia l’Unione Europea a farsi carico in eterno dei nostri problemi: perchè mai dovrebbe, una volta che le banche straniere saranno rientrate di una parte significativa dei loro investimenti in Italia?), è chiaro che la ‘fascinazione’ renziana sul corpo elettorale non può aver vita lunga. Siamo, è vero, fra i popoli d’Occidente uno dei meno preparati, consapevoli e ‘partecipativi’, e per noi la politica è spesso tifo puro, in stile calcistico. Per cui se arriva uno dall’eloquio più brillante della media politica, e dotato di ottimismo contagioso (poco importa se finto o vero: mica dobbiamo andarci a cena o a letto con il leader, ci bastano pochi slogan ad effetto), ci facciamo sedurre facilmente.
Epperò questo schema, diciamo da complici ignoranti (ma complici, appunto) regge in tempi di vacche grasse. Oggi non sono quei tempi, oer cui prima che una serie di nuovi provvedimenti ‘punitivi’ (dall’aumento smisurato del’Iva alla sanità a pagamento, a vedremo che altro) diventino indispensabili per evitare l’inabissamento della baracca, il premier potrebbe essere fortemente tentato dall’idea di presentarsi davanti all’elettorato dicendo: “ora basta, levatemi dai piedi tutta la vecchia zavorra che non mi lascia lavorare, e datemi una delega in bianco, che tempo non ne abbiamo più”.
Succederà nel 2015? Io dico di sì, a prescindere dall’evoluzione della vicenda Napolitano.
E quale scenario emergerà dalle urne? Questo è un po’ più complicato prevederlo, anche perchè dipende appunto da quale legge elettorale sarà approvata, o comunque adottata. Oltretutto, il Senato sarebbe ancora elettivo? Probabilmente sì, se non si completasse nel frattempo l’iter, non breve, della sua trasformazione in Camera delle Regioni (con senatori nominati dalla politica, come già succede ormai per le Province).
In ogni caso, all’orizzonte si profila un Matteo ‘pigliatutto’. Piace moltissimo, Renzi, al vasto elettorato moderato di centro destra, che ha preso atto che Berlusconi è ‘decotto’, e che in quel vasto deserto viva e vitale c’è solo la Lega (“ma la Lega non è moderata e di centro destra, è invece un mix di istanze popolari da vecchia sinistra: crescerà molto, ma prenderà voti dai 5 Stelle e appunto a sinistra, non tra noi”, mi ha detto un osservatore sveglio, ex elettore di Silvio).
La questione, allora, è se davvero può reggere un Partito Nazione che tiene insieme appunto gli ex berlusconiani e l’elettorato di sinistra. La risposta è no, e la commedia degli equivoci è chiaro che deve finire. Certo, bisogna capire se a sinistra nascerà un soggetto forte, non solo in termini di leadership ma anche di progetto, e capace di guardare avanti e non indietro. Oppure se ci sarà l’ennesimo tentativo di rifondare un passato che non torna, e di riciclare leader e leaderini in cerca di poltrona e rivincita. In questo secondo caso, la marginalità sarebbe assicurata, e a stappare la bottiglia di champagnino sarebbe appunto solo Renzi: con un bel partitino da 4-5% alla sua sinistra, a certificare la (balbettante) dialettica democratica.
E il Movimento 5 Stelle? Paga oltremodo, in questa fase, una serie di tentennamenti interni dovuti ad inesperienza, e soprattutto l’ostracismo sistematico dei media, e di gran parte del mondo delle professioni (differenza questa di non poco conto, rispetto alla Lega delle origini). Però c’è, persino i sondaggi istituzionali (o di regime, come preferite dire voi) lo accreditano di un 20% dei consensi, che non è poco. Certo, da un lato una Lega di nuovo vitale e aggressiva, con Salvini che sa lanciare messaggi efficati su temi concreti (euro, lavoro, immigrazione), dall’altro un ipotetito Partito del Lavoro a guida Landini potrebbero ‘svuotare’ parte del serbatoio di Grillo e Casaleggio, o almeno provarci.
Sintesi finale sullo scenario politico dell’Italia 2015, ad un passo dal baratro: da eventuali elezioni con sbarramenti vari (ora si parla del 5%) potremmo ritrovarci con cinque soli partiti rappresentati in Parlamento. Il Partito pigliatutto di Renzi (ancora Pd, o PdN, Partito della Nazione: ci faranno sapere), che comunque governerà il Paese. Una Forza Italia comunque sopra lo sbarramento, ma in caduta libera. Una Lega, forse non più solo Nord, destinata ad essere il vero contraltare allo strapotere renziano. Un Partito del Lavoro tutto da costruire (e con il rischio del reducismo, o della scialuppa per chi sarà calato in mare da Renzi), e un Movimento 5 Stelle al bivio decisivo tra consolidamento e rapido declino.
A voi di contraddirmi, naturalmente: parliamone.