Ci siamo. Oggi è il giorno fatidico del ventennale della tragica alluvione del 1994. Un evento che rimarrà indelebile per tutta la vita nel ricordo degli alessandrini che l’hanno vissuto, e che in qualche modo forse giustifica anche l’imponente quantità di eventi, manifestazioni, commemorazioni di queste ore. Proprio in beffarda concomitanza, tra l’altro, con una nuova ondata di maltempo che sta colpendo tutta la provincia.
Però, lasciatecelo dire, una città che celebra in pompa magna un disastro ambientale e lo erge quasi a proprio simbolo, tra passato e futuro e compagnia briscola, beh forse qualche problemuccio serio lo ha davvero. E chissà cosa ne pensano i ragazzi di oggi, che peraltro dell’emergenza, non solo ambientale, hanno ormai fatto obtorto collo uno status, una condizione permanente di esistenza.
Comunque sì: rimaniamo convinti che sarebbe più stimolante e in qualche modo di buon auspicio che Alessandria individuasse qualche momento di autocelebrazione un po’ più galvanizzante, anche senza voler fare gli ottimisti a tutti i costi. O no?
Oggi però è il momento della commemorazione, del ricordo e dell’amarcord, e stiamo anche noi alle regole. Se, come me e Andrea, avete la sventura di ricordarvelo benissimo quel giorno, e quel periodo, perchè tanto giovani non siete più, dove eravate, cosa facevate, quanto siete stati ‘segnati’ direttamente dall’evento?
Perchè, anche se non è bellissimo sottolinearlo (ma i ‘santini’ elegiaci li lasciamo ad altri: qui proviamo a confrontarci riducendo la retorica al minimo), non è mica vero che l’alluvione travolse tutta la città. Chi viveva in Fraschetta (dove l’acqua non è mai stata un’insidia, ma ci si consola con chimica e agricoltura) tutto sommato uscì quasi indenne da quell’esperienza, e così tutta la parte della città che va verso la Pista, e il Cristo, e forse anche qualche altra zona di Alessandria.
Se ripenso a quella domenica 6 novembre 1994 ricordo:
– le telefonate (rigorosamente su telefono fisso, i cellulari già c’erano, formato ‘padellone’, ma erano roba da ricchi) agli amici alessandrini visti la sera prima per il solito cinema, a cui chiedevo se davvero la situazione fosse così complicata. E loro, chiusi in casa, chiedevano a me se fossi alluvionato, per dire la confusione. Poi si seppe che uno del gruppo, più sventurato che temerario, era stato sul lungo Tanaro ad osservare la situazione fino a poche decine di minuti prima del disastro.
– i servizi tv eroici di Telecity,
con il grande Dino Crocco e Franco Capone in prima linea insieme a vigili del fuoco e ad altri soccorritori (ho nitidi nella memoria i servizi da un elicottero, e da un gommone tra le vie degli Orti diventate fiume), per raccontarci in tempo reale quel che stava succedendo. Anche lì: Internet non c’era, e la differenza non è poca.
– Via via la percezione della drammaticità dell’evento: non un semplice fiume che straripava (ora si dice esondazione), ma le vittime, e un intero quartiere travolto e distrutto, e una città incredula, sbigottita, annichilita.
– tanto volontariato locale (ma anche gente che ha continuato, con i piedi asciutti, a farsi gli affari propri, e al più a curiosare: “agli Orti non andiamoci per ora, che magari si respirano veleni”), e tanta solidarietà vera, concreta, da tutta Italia.
All’epoca frequentavo la scuola di giornalismo a Milano, vivevo (come vivo) in Fraschetta, prendevo quotidianamente il treno a Tortona. La mia vita non subì traumi insomma, e neppure quella degli amici citati: nessuno dei quali abitava agli Orti, o comunque in aree alluvionate. I colleghi milanesi i primi giorni mi trattavano come un sopravvissuto, e dovetti spiegare più volte che, per mia fortuna, non avevo subìto danni di alcun tipo.
Ma ricordo anche, nei giorni e mesi successivi:
– Una città che si rimboccò le maniche e reagì con forza e dignità, senza piagnistei.
– Un sindaco, Francesca Calvo, che si prese sulle spalle (oltre ad una serie di polemiche sui famosi fax di allerta e conseguente iter di accertamenti) una situazione di grande criticità, e seppe guidare la ricostruzione in maniera rapida ed efficace.
– L’impegno straordinario dei cittadini, via via poi anche organizzatisi in comitati per confrontarsi con il moloch della burocrazia pubblica: e la signora Graziella Zaccone Languzzi, oggi nostra blogger oltre che lettrice, costantemente ci ricorda cosa ciò ha significato.
– uno Stato che comunque ancora c’era, e anzichè trattare le periferie (soprattutto del nord, si dice) essenzialmente come vacche da mungere, come fa oggi, ci mise del suo, in termini di robusti finanziamenti per la ricostruzione. E, ancora merito dell’amministrazione locale dell’epoca, al di là di marginali ‘truschini’ da quattro lire (l’euro era di là da venire), scandali per ruberie significative non ce ne furono.
E voi, cosa ricordate di quei tragici giorni? Ma, soprattutto, oggi per Alessandria lo scenario è davvero diverso, ed è stato fatto in questi vent’anni tutto quanto necessario per metterla davvero in sicurezza, e scongiurare nuove tragedie? Alla luce di quel che è successo anche in queste settimane (e ultimi giorni) in buona parte della provincia, l’impressione è che il territorio sia assai più mal messo e abbandonato a se stesso di vent’anni fa. Ma, se non altro, ne abbiamo tutti assoluta consapevolezza.