L’edilizia sta morendo, viva l’edilizia. Questa la prima riflessione che viene in mente a fronte del gran numero di convegni, summit, riunioni, proposte, accuse e controaccuse che si agitano in questi giorni attorno al comparto edile. Da sempre spina dorsale del nostro territorio, e di gran parte d’Italia, come ci siamo detti tante volte. Ma da diversi anni in caduta libera, con un numero di addetti in provincia ormai dimezzato rispetto ai ‘tempi d’oro’, e un’asfissia che continua. Altro che fine del tunnel, come teorizzava quando era premier il senatore a vita Monti, che nei giorni scorsi è passato ad Alessandria in veste accademica, a spiegarci in sostanza ciò che non è stato in grado di fare. Com’era il vecchio adagio? Chi sa fare fa, e chi non sa fare…
Ma stiamo sul mattone: venerdì scorso ci sono stati due importanti appuntamenti a Novi (Terzo Valico) e ad Alessandria (il rilancio della buona edilizia), oltre ad un summit sull’emergenza post alluvione in Prefettura, in cui è emerso che, sul solo versante pubblico, gli interventi urgenti (strade, fognature, danni alle infrastrutture nei diversi comuni) necessitano di almeno 46 milioni di euro. Per non parlare naturalmente dei danni ai privati, per i quali campa cavallo.
E, badate bene, il fronte ripristino del territorio è certamente una leva attraverso la quale il comparto edile potrebbe ricominciare a respirare, riprendendo quota e fiducia. Ma perchè questo succeda davvero (e non tra dieci anni: oggi) la mano pubblica dovrebbe essere in grado di pianificare interventi strutturali importanti, non le briciole che enti finanziariamente decotti come la Provincia o i vari comuni cercano pur meritoriamente di individuare nelle pieghe sempre più esangui dei loro bilanci.
Venerdì mattina, al convegno sulla ‘buona edilizia’ organizzato dai sindacati, la star indiscussa è stato il viceministro Morando, che ha preso da par suo ‘il toro’ sindacale per le corna, e ha illustrato una serie di innovazioni fiscali e normative (prima fra tutte, il taglio dell’Irap) che dovrebbe sulla carta consentire un rilancio del comparto edile.
Ci permettiamo però di obiettare (e lo fa anche, in parte, il segretario generale Cgil Paparatto) nell’intervista che pubblichiamo oggi) che anche qui come sull’articolo 18 l’impostazione del governo Renzi rischia di incagliarsi sulle norme: non è vero che oggi il comparto edile sta crollando per colpa delle normative inadeguate, e dell’oppressione fiscale. Boccheggia, invece, perchè non c’è domanda, non ci sono richieste di interventi di peso, sia pubblici che privati. In altre parole, l’economia italiana è ferma e sfiduciata, e investimenti non ce ne sono.
Quindi si può discutere (anche se di tempo in parole se ne è già perso troppo in questi anni, e non ce n’è più) su quali siano le priorità di un intervento ‘pubblico’ pesante sul territorio alessandrino, ma va preso atto che, senza quello, il comparto edile è e sarà al palo.
Perchè non bastano incentivi e sgravi fiscali (decennali: e qualcuno di voi si fida su quel che garantisce oggi lo Stato, a 10 anni o anche solo a 2?) per ridare fiato a investimenti e ristrutturazioni private che oggi tutti, se non davvero indispensabili, data l’aria che tira rinviano volentieri a tempi migliori.
E, sul fronte pubblico, la questione diventa: grandi opere (ossia, a casa nostra, Terzo Valico), o interventi massicci e diffusi sull’edilizia pubbblica del territorio, dalle strade alle frane, dalle scuole agli ospedali e alle altre infrastrutture? Certo, sulla carta nessuno vieta di essere ambizioni, e di dire: l’uno, e gli altri. Ma nei fatti rimane ancora da capire chi paga, da dove arriveranno le risorse. A partire, appunto, dai 46 milioni di euro necessari per fare in modo che l’emergenza post alluvione non debba diventare la regola di ogni autunno, con effetti sempre più devastanti.
Ai lettori di azzardare una previsione: come saranno le condizioni dell’edilizia alessandrina, tra 12 mesi? Migliori o peggiori di oggi?