Andrea Ribaldone: “Non mi piacciono i cuochi ‘superstar’: in cucina gli ingredienti giusti sono cuore e passione!”

Ribaldone 1di Debora Pessot

Il suo volto è noto al grande pubblico grazie alla trasmissione ‘La prova del cuoco’ condotta da Antonella Clerici, dove da anni dispensa ricette e consigli culinari. Il papà avrebbe voluto che seguisse le sue orme e diventasse ingegnere, ma a vent’anni decide di lasciare Milano, sua città natale, e di tornare alle radici paterne. Così, da Lu Monferrato, inizia la fortunata avventura di Andrea Ribaldone.

Andrea, quali sono state le tappe del tuo percorso professionale?
Ho cominciato professionalmente quando avevo poco più di 20 anni, con il Ribaldo in Alessandria: una birreria con musica dal vivo …. È stata una follia perché a quell’età avevo fatto con i miei soci, Paolo (n.d.r. Quartero) e Viviana (n.d.r. Ivaldi), purtroppo mancata molto giovane, circa 250 milioni delle vecchie lire di debiti, però noi ci credevamo fortemente ed è andata bene. È stato un vero successo: facevamo i concerti, musica dal vivo, organizzavamo il festival ‘Lustando’ …
Dopo tre anni così però rischi la pelle – dice sorridendo – perché lavori solo di notte e, quando inizi ad avere qualche anno in più, capisci che forse è arrivato il momento di provare a cambiare: e così ho fatto …

Da piccolo giocavi con le pentole? Sei diventato cuoco per caso, oppure era già scritto nel tuo DNA?
Giocavo con il Dolce Forno – ammette ridendo – Si, si, giocavo anche con le pentole …
Diciamo che ho sempre avuto una passione per la cucina. Mia madre era un’ottima cuoca e, come lei, anche mio nonno, lui era un pastaio … aveva un pastificio importante e quindi si forse ce l’ho nel DNA.
Dopo il Ribaldo è iniziata per me una nuova avventura professionale: all’epoca ero clienteRibaldone Aiachini della Fermata (allora era in Via Vochieri) e non so quante volte ho cercato di convincere Ricky (n.d.r. Riccardo Aiachini) a prendermi da lui come stagista, ma continuava a dirmi di no, perché era un ‘orsone’ abituato a lavorare da solo. Finché un giorno l’ho invitato a casa e dopo averlo ubriacato di vino e di parole per convincerlo mi ha detto si! La mattina dopo mi sono presentato alla Fermata ed è iniziato un connubio durato circa 14 anni, tolto l’anno in cui ho provato a cimentarmi con la cucina francese e ho lavorato a Parigi da Lucas Carton, ristorante 3 stelle Michelin molto noto.
Una volta tornato a casa, dopo questa esperienza, ho detto a Ricky: ora basta, dobbiamo prendere la Stella Michelin! Ci siamo buttati e nel 2003 siamo riusciti finalmente a prendere questa benedetta stella! Allora eravamo ancora alla vecchia Fermata. Nel 2006 facciamo una ‘follia’ e decidiamo di trasferire La Fermata a Spinetta Marengo, una struttura con camere, zona dedicata ai matrimoni … l’idea era quella di crescere. Si è rivelata una follia positiva perché ai tempi girava tutto bene, non c’era la crisi che purtroppo è arrivata nel 2009. Così, nel 2012, il nostro sodalizio si interrompe. A differenza di ciò che si diceva però, ossia che avessimo litigato, in realtà Ricky ed io ci siamo separati solo professionalmente, ma siamo comunque rimasti molto amici. Io avevo bisogno di crescere un po’, di provare altre strade e, al tempo stesso, la tipologia di locale che avevamo creato aveva bisogno di una nuova forza economica.
Per cui ho intrapreso un nuovo percorso. Ho fatto il consulente e l’executive chef per Eataly Tokyo dove gestivo 11 punti vendita e dettavo le linee guida della cucina. Un vero e proprio tourbillon: viaggiavo avanti e indietro, mi fermavo venti giorni e poi rientravo perché comunque io qui ho famiglia … è durata un anno e mezzo.

Ribaldone cucina 1Sei definito cuoco stellato, ma come funziona il percorso della Stella Michelin?
La Stella Michelin viene assegnata al ristorante e al cuoco insieme, quindi io senza ristorante in realtà non l’avrei. Vengo definito cuoco stellato perché sono stato dieci anni alla Fermata con la stella, questo implica che un certo tipo di percorso lo hai fatto. Qui a ‘I Due Buoi’ ci puntiamo sicuramente, anche se ti confesso che dopo dieci anni non ho più l’ansia per queste cose. Capisco i ragazzi giovani che per forza vogliono arrivare a quel traguardo, perché sottolinea tutta una carriera. Per me oggi l’importante è che il cliente sia contento, che il ristorante funzioni … è chiaro che se arriva mi fa piacere, ti aiuta nel lavoro.
Comunque, la stella va riconfermata ogni anno, non è un riconoscimento che hai in eterno. La guida Michelin è considerata la più seria del settore, perché alle spalle ha un’azienda molto solida e importante. All’interno non ha pubblicità, il che le permette una grande autonomia e indipendenza da qualsiasi discorso economico. Tanti dicono che la stella si compra: ti assicuro che non è vero. Sono rigorosi: l’ispettore viene al ristorante, non si dichiara e mangia come un cliente normale e, se trova le caratteristiche giuste, che sono un posto elegante, una bella carta dei vini, un servizio accurato, una tavola raffinata, e soprattutto una cucina importante, allora assegna la stella, magari dopo la visita di altri ispettori … al ristorante ‘I Due Buoi’ quest’anno sicuramente non arriverà, perché abbiamo aperto troppo tardi, vediamo se ce la meriteremo per il prossimo.

Le esperienze che vivi fuori dall’Italia influenzano la tua cucina, i tuoi sapori? Oppure sei legato alle tradizioni?
Si certo, è importante, altrimenti sarebbe noioso. Io non penso che la tradizione sia così fondamentale, anzi …

La tradizione si può adattare al presente?
Non penso neanche questo: credo che la tradizione tenda a bloccare le situazioni in assoluto.Ribaldone 2 Ti faccio un esempio: noi italiani siamo propensi a pensare che per il turismo basti il Colosseo, ciò che ci arriva dal passato, ci immedesimiamo in qualcosa che ormai è storia senza buttare un occhio al futuro.
Credo invece che si debba andare avanti e creare qualcosa che sia anche novità. Continuare a fare gli stessi piatti rischia di diventare un po’ noioso. Infatti le cucine moderne, innovative, d’avanguardia e che funzionano, oggi sono al Nord Europa, perché là sono liberi di sperimentare e di cercare qualcosa di buono e che piaccia, senza avere una tradizione da perseguire. Se ci pensi poi non si tratta di tradizione, di innovazione o di rileggere la storia, quelle sono baggianate: un piatto è buono o cattivo. Se vieni a mangiare da me trovi piatti diversi: qui a ‘I Due Buoi’ voglio cucinare quello che mi piace e che spero piaccia ai miei clienti.

Il cuoco che più ammiri?
Riccardo (n.d.r. Aiachini) sicuramente perché è una persona seria, onesta intellettualmente e buona, non ‘attaccata’ ai soldi, non dipendente dalla sua immagine. Per me è veramente colui che mi ha insegnato a lavorare, ma anche a vivere, a stare al mondo. Gli devo veramente tanto. E poi René Redzepi che forse in questo momento è quello che innova di più, anche lui è una persona molto semplice. Io non credo nel cuoco super star, quello che non puoi raggiungere perché sembra di parlare con una rock star … dai sei un cuoco, non sei uno che fa operazioni al cervello… (sorride, nd).

 
Ribaldone cucina 2Non trovi che la cucina sia arte?
No, non penso. Penso sia invece alto artigianato. Il lato artistico magari sta un po’ in secondo piano, anche perché gli artisti fanno un’opera ed è finita lì, noi dobbiamo riprodurla tutti i giorni per due servizi al giorno, quindi è un po’ diverso. È più artigianato. Poi magari hai un pensiero creativo …. ma la creazione del piatto non è comunque qualcosa che nasce dal singolo, è la squadra che lo fa.
Ferran Adrià, per alcuni anni il più grande cuoco al mondo, è stato il primo a fare un gruppo creativo, ossia a lavorare con i ragazzi su alcune linee guida dettate da lui, lasciandoli poi liberi di divertirsi e di sperimentare: questo è l’unico modo per far nascere dei nuovi piatti. Il gruppo creativo secondo me è indispensabile per la cucina, anche perché da solo arrivi fino ad un certo punto, poi il tuo ‘imbuto’ si stringe … il tuo sentire, la tua intelligenza, le tue qualità sono sempre in quella direzione, se invece hai tante persone intorno ognuno di loro mette un pezzettino di qualcosa e tutto diventa molto più interessante.

Come descriveresti la tua cucina con 3 aggettivi o, se preferisci, con 3 ingredienti?
Spero buona: è la cosa principale. Oggettiva: ci sono delle realtà in cucina che creano il gusto totale, il gusto umami, che racchiudono tutta l’essenza data dal giusto equilibrio tra il punto di sale, il punto di dolce, il punto di acido e il punto di amaro e che fanno sì che un piatto sia oggettivamente buono. L’insieme di questi sapori in maniera oggettiva ti fanno salivare, ti creano quel senso di acquolina e di piacevolezza anche se tu non vuoi. Come il parmigiano … il tuo cervello risponde salivando. Infine leggera: una buona cena la riconosci anche dal giorno dopo. La sensazione di pesantezza non va bene, vuol dire che qualcosa non va, hai mangiato cibo in carica batterica, ergo … il cuoco ha lavorato male. Di solito quando vai al ristorante e dopo sei molto appesantito è perché le salse sono state scaldate e messe via più di una volta. Se le assaggi sono ancora buone, ma in realtà hanno formato una carica batterica molto alta. Noi cerchiamo di lavorare intelligentemente, cioè scaldiamo e poi abbattiamo le temperature in modo che non si formino cariche batteriche di alto livello. È molto importante lavorare in maniera tecnica e intelligente. Un cuoco deve conoscere la chimica degli alimenti. Tu andresti da un dottore non laureato? Infatti, non capisco perché ormai in Italia chiunque possa aprire un ristorante. Un cuoco deve essere un po’ macellaio, un po’ salumiere, un po’ pescatore … se vuole farlo bene. È un lavoro veramente di grande impegno, di grande attenzione e di grande studio … non ci si può improvvisare.

Quali son i tuoi tre ingredienti preferiti?
Il pesce in generale, quello azzurro in particolare, perché costa poco e, se lavorato bene, è fantastico.
I brodi, anzi i concentrati più che i brodi. E le verdure che a me piacciono molto, sono un po’ bistrattate in cucina, ma è arrivato il tempo delle verdure … assolutamente poco cotte!

Tu non sei di Alessandria?
Io sono di Milano, ho vissuto vent’anni a Milano e sono venuto qui perché mio padre è di Lu Monferrato. Io lì sento le mie radici, sono un provinciale per scelta. Non tonerei a vivere in città, perché si può tranquillamente stare in provincia e andare in città se ce n’è bisogno.

Quando torni dai tuoi viaggi all’estero come vedi Alessandria? C’è qualcosa cheDue Buoi e bistrot 014 cambieresti?
Guarda, probabilmente sono gli alessandrini che hanno questa visione negativa della loro città. Alessandria è una città di provincia, non sarà mai una grande città per quanto faremo e probabilmente non è nemmeno giusto che lo sia, resterà sempre di provincia. Dovremmo accettare tutto questo in senso positivo e viverla nelle cose belle, stando sereni. Che ti devo dire, a me piace, non la vedo grigia o fredda. A me piace perché giro tranquillamente, tutti mi conoscono … se vai a prendere un caffè, la gente ti fa un sorriso … Io la trovo una bella città, ci sto bene perché la sento a misura d’uomo. Se lascio la macchina aperta nessuno me la ruba. È un ambiente piacevole. Poi la decisione di stare qui dipende anche da esigenze famigliari: ho una figlia di 13 anni, bellissima, ma che soffre di una malattia che necessita di assistenza continua. Insomma, per tante ragioni anche personali ‘I Due Buoi’ oggi per me è assolutamente il posto più giusto. Non guardo mai al passato, non guardo mai a quello che potevo o avrei potuto … Io sono veramente un trita sassi e guardo a domani, ma nemmeno troppo … guardo a quello che c’è da fare ogni giorno perché mi va bene così. Comunque ho una vita felice, sono un uomo contento, mi piace molto quello che faccio.

Ribaldone ClericiLa tua esperienza televisiva?
È molto bella, al di là della notorietà … in primis ti aiuta per l’attività e poi perché ti sveglia. È un’esperienza che dovrebbero fare tutti. La diretta non ti permette di sbagliare, non puoi dire fermiamoci, per cui devi essere capace di esprimere e di raccontare qualcosa che non sia solo cucina ma un’emozione. Devi essere molto chiaro in quello che fai, il che comporta anche il fatto che tu sia capace di stringere i tempi, di cucinare e di finire con un piatto che ti rappresenti anche un po’. Da quest’anno, alla Prova del Cuoco, mi occupo di una rubrica, ‘Mari e monti’, con Gianfranco Pascucci, uno chef stellato di Roma, molto molto bravo. Lui prepara il pesce e io la carne.

Uno dei tuoi successi che ricordi con più affetto?
Te l’ho detto, non guardo mai indietro, io vado sempre avanti … ma se proprio di devo rispondere ti dico la Stella Michelin con Riccardo. Si, è stato un bel successo!